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10 Maggio 2022
9:22

Le storie degli animali premiate al Trento Film Festival

Si è concluso il Trento Film Festival e tra i vincitori ci sono anche opere che parlano degli animali e del nostro rapporto con loro, con un'attenzione particolare verso la tutela dell'individualità di ogni soggetto.

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Dopo più di una settimana di proiezioni, domenica 8 maggio si è conclusa la settantesima edizione del Trento Film Festival, una delle rassegne cinematografiche più antiche del nostro paese che, da sempre, mette al centro le storie della montagna e del rapporto tra gli esseri umani e la natura.

Tra i vincitori del Festival di quest'anno ci sono film di alpinismo e avventura ma, come sempre, non mancano anche i premi assegnati ai film e ai documentari dedicati agli animali. Primo tra tutti La panthère des neiges, premiato come miglior film d'avventura. Un documentario di produzione francese che, fin dall'inizio delle proiezioni, ha scatenato entusiasmo nel folto pubblico in sala.

La frequentazione dell'orso, il docufilm sul rapporto tra gli esseri umani e gli orsi, che il regista ha raccontato a Kodami prima dell'inizio del festival, è stato invece premiato con il riconoscimento del Premio Rai, riservato al miglior film di attualità. «La ricezione del film è stata ottima e le sale erano piene durante tutte le proiezioni – racconta a Kodami Federico Betta, regista del documentario, al termine del festival – Sono felice che la Rai ci abbia premiati, perché è la dimostrazione che siamo in tanti a pensare che il dibattito non debba fermarsi».

La lupa Naya, infine, protagonista di Naya, der Wald hat tausend Augen, ha ricevuto il premio degli studenti delle università di Trento, Bolzano e Innsbruck.

In occasione delle premiazioni, anche noi di Kodami abbiamo visto i tre film e vi possiamo anticipare qualche dettaglio delle storie selezionate dalle giurie dell'evento.

"La panthère des neiges" è il miglior film di esplorazione e avventura

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Quella di La Panthère des Neiges, il documentario d'esordio della regista francese Marie Amiguet, girato sulle alte montagne del Tibet, è una vera e propria vittoria annunciata. Fin dalla prima proiezione è stato apprezzato e commentato con entusiasmo dai tanti appassionati di fauna selvatica che hanno frequentato il festival in questi giorni. Molte persone presenti tra il pubblico, domenica 8 maggio in occasione dell'ultima proiezione, infatti, erano tornati ad assicurarsi il proprio posto in sala per una seconda (o addirittura una terza) visione.

E lo confermiamo anche noi: la qualità e l'intensità delle immagini rapisce fin dal primo minuto, quando un gruppo di Yak, osservato dall'alto, viene aggredito dai lupi. La regista mette, così, immediatamente le cose in chiaro: da queste parti non bisogna pensare che esista un giusto e uno sbagliato, un buono e un cattivo. Quassù non siamo noi umani a dettare gli equilibri dell'ecosistema.

Il documentario entra poi nel vivo del racconto, i cui protagonisti sono Vincent Munier e Sylvain Tesson, due fotografi naturalisti che si muovono tra le creste desertiche del Tibet, alla ricerca del leggendario leopardo delle nevi.

Trascorrono giornate intere appostati e mimetizzati nel tentativo di individuare l'animale, ma nelle gelide notti stellate delle montagne e durante le lunghe giornate aride si succedono solo gatti di pallas, avvoltoi, volpi tibetane, cervi e pika.

In sottofondo, le parole di uno dei due fotografi accompagnano gli spettatori in un viaggio profondo e maestoso, dove non hanno più senso le regole che conosciamo negli ambienti urbanizzati: «In questo luogo c'è quell'armonia che noi umani non abbiamo più – sussurra Vincent al collega – Noi che abbiamo rinunciato alla libertà, all'autonomia e alla conoscenza dell'ambiente, durante questa ricerca torniamo ad impararle grazie agli animali».

I fotografi condividono la propria esperienza estrema con una famiglia del posto, che li ospita durante le lunghe settimane di appostamenti, in un luogo così remoto da rendere selvatiche non solo le specie animali, ma anche le relazioni tra gli umani. Nelle folate di vento, che confondono gli infiniti paesaggi, appaiono anche i pacifici Mastini Tibetani, i grandi cani dell'Himalaya, ancora oggi fedeli compagni degli umani del posto e portatori di quella che il protagonista definisce come la più importante e dimenticata virtù dell'occidente: la pazienza.

"La frequentazione dell'orso" e il documentario belga "Naya, del Wald hat tausend Augen"

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Ne avevamo parlato con il regista prima del festival e le interviste che si succedono durante il docufilm di Federico Betta hanno confermato le aspettative. Il racconto de La frequentazione dell'orso, grazie agli interventi di esperti e appassionati, e alle numerose immagini di repertorio, permette anche a chi non vive in Trentino, di immergersi nella percezione popolare di questa convivenza. Una condivisione del territorio che, da queste parti, è un tema di costante attualità.

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Si succedono le voci e le esperienze di allevatori, faunisti, fotografi e appassionati, ma portano la propria versione anche una storica dell'arte, che racconta gli eventi degli orsi trentini nel Medioevo, e una psicoterapeuta appassionata di trekking, che ha dovuto imparare ad accettare questo nuovo abitante, di cui un tempo aveva paura. All'uscita dalla sala, un'ora dopo le prime immagini, si ha l'impressione di avere messo insieme i pezzi di un complesso puzzle con la forma di una nuova opinione autonoma e avere gli strumenti necessari per leggere con più chiarezza il conflitto tra le amministrazioni locali e chi difende gli orsi. Un argomento che, come viene ripetuto nel documentario, a più di vent'anni dal reinserimento della specie sul territorio, non deve più essere bianco o nero ma, attraverso il dialogo, può superare le opposizioni eccessive e fondersi, diventando grigio.

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In ultimo, viene premiato anche il cortometraggio Naya, der Wald hat tausend Augen, del regista olandese Sebastian Mulder, che ha ricevuto il premio conferito dagli studenti dell'Università di Trento, Bolzano e Innsbruck. Il racconto ha come protagonista la prima lupa tornata nelle Fiandre dopo 100 anni dalla scomparsa della specie in Belgio e le immagini scelte dal regista mettono l'attenzione sulla sua percezione che, questo animale selvatico ed elusivo ha dell'uomo durante il viaggio verso l'Europa occidentale. «Attraverso il materiale del documentario, il regista riesce a mettere luce sulla volontà ossessiva dell’uomo di controllare l’ambiente – afferma la giuria durante la premiazione – Chiusa in questa morsa, la lupa Naya è costretta a ricercare uno spazio proprio».

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Naya, la protagonista del film premiato dagli studenti dell’Università di Trento, Bolzano e Innsbruck

Al termine delle premiazioni dell'importante evento trentino, che è tornato ad accogliere migliaia di ospiti dopo due anni in versione ridotta a causa della pandemia, ciò che rimane più impresso è la profondità con cui viene trattato il tema dell'empatia necessaria nella convivenza con ogni specie. Nelle parole dei registi e dei protagonisti delle storie, infatti, vi è un messaggio costante che riguarda l'importanza dell'osservare l'individualità in ogni singolo animale. Siano essi leopardi delle nevi, orsi, cani o lupi, sono prima di tutto esseri viventi, con una propria personalità che possiamo osservare, ascoltare e, forse anche comprendere.

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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