L'Italia dice no alla produzione e la commercializzazione di carne sintetica, e lo ha fatto attraverso il Disegno di Legge appena approvato in Consiglio dei Ministri sul divieto di vendita, produzione, importazione, distribuzione e somministrazione di alimenti frutto di un processo di coltivazione cellulare in laboratorio a partire da cellule animali staminali. Nonostante tutto ciò rappresenti non solo una valida e più sostenibile alternativa agli allevamenti e all'uccisione di animali, ma anche un fonte di cibo sicura per la salute umana.
Con tutta probabilità quindi, non potremo mangiare nemmeno le polpette di carne di mammut coltivata in laboratorio, appena annunciate dell'azienda australiana Vow, il cui vero obiettivo, oltre a dimostrare le potenzialità della carne sintetica, è in realtà quello di sensibilizzare e spingere verso una produzione di carne più sostenibile e rispettosa degli animali. Il mammut è infatti uno sei simboli della drammatica perdita di biodiversità e della lotta contro i cambiamenti climatici e riuscire a mangiarlo – senza che ci sia più in giro nemmeno un esemplare di questa specie – è la prova più eloquente che si può produrre carne senza dover uccidere nemmeno un animale.
Come hanno infatti spiegato il CEO della compagnia George Peppou e il cofondatore Tim Noakesmith in esclusiva al Guardian «Dobbiamo ripensare la maniera in cui mangiamo. Dobbiamo trovare delle alternative alla carne. Si ritiene che sia stata la caccia da parte degli esseri umani a far estinguere il mammut, coadiuvata dal riscaldamento della Terra in seguito all’era glaciale». Un messaggio forte e chiaro da parte dell'azienda. Ma per riuscire a produrre la carne di un animale che non c'è più non è stato affatto facile, ci è voluto molto tempo e un lavoro di ricerca e sperimentazione che è durato anni.
La compagnia che produce, tra l'altro, anche carne di alpaca, bufalo, coccodrillo, canguro, pavone, quaglia e pesci, è partita dal DNA di mammut lanoso che conosciamo grazie ai resti di animali quasi perfettamente conservati e congelati nel permafrost. Il materiale genetico è stato poi completato "tappando i buchi" con quello degli elefanti, il parente vivente più prossimo ai pachidermi estinti. Questa sequenza è stata poi inserita nelle cellule staminali delle fibre muscolari di una pecora, che si sono replicate e riprodotte fino a raggiungere i 20 miliardi di cellule, successivamente utilizzate dall'azienda per coltivare la carne di mammut.
E il sapore? Non essendo per il momento destinata al consumo umano, ancora nessuno l'ha assaggiata: «Parliamo di una proteina che non si vede in giro da migliaia di anni, quindi non abbiamo idea di come il sistema immunitario potrebbe reagire e che sapore ha. Ma se dovessimo produrla ancora, potremmo sicuramente riuscire a renderla più appetibile e digeribile», ha dichiarato Ernst Wolvetang dell'Australian Institute for Bioengineering dell'Università del Queensland che ha lavorato con Vow. L'idea iniziale, in realtà, era però quella di produrre carne di dodo, simbolo ancora più forte dell'impatto dell'uomo sulle altre specie viventi. Tuttavia, il team non riuscito a recuperare il materiale genetico necessario per la coltivazione in laboratorio.
Ma animali estinti a parte, la carne convenzionale prodotta in laboratorio che tanti altri paesi continueranno a sviluppare e commercializzare (e noi a quanto pare no), potrebbe davvero aiutare a rendere le nostre vite più sostenibili e rispettose della vita animale. Gli allevamenti intensivi sono tra le principali cause della perdita di biodiversità e di inquinamento e, secondo le stime della FAO, generano il 14,5% delle emissioni totali di gas serra. Anche leggendo i dati raccolti in Italia nel report ISPRA sulle emissioni da agricoltura e allevamento emerge che il settore allevamenti pesa sulle emissioni di gas climalteranti per il 79% del totale.