«Sentire le loro voci, i loro passi sulle grate. Pensare che verranno uccise per una pelliccia, è veramente ingiusto». Comincia così, con la voce rotta dall’emozione della giovane investigatrice di Essere Animali che si è introdotta in un’allevamento di volpi per documentare lo stato di salute degli esemplari ammassati nelle gabbie, la video inchiesta sotto copertura che l’associazione italiana per la protezione degli animali, ha filmato a inizio febbraio 2023 in Polonia e divulgato in questi giorni.
Un’ennesima prova delle condizioni di vita inammissibili a cui questi animali vengono sottoposti per soddisfare le richieste di pellame da parte di un’industria sempre più in caduta libera, dopo che tanti fra i brand più importanti della moda hanno scelto l’alternativa fur free, cioè hanno eliminato la pelliccia dalle loro produzioni.
Le immagini di Essere Animali, in una video-inchiesta drammatica
Gli spazi angusti, gli occhi sbarrati delle volpi nel buio più opprimente, la sporcizia, le zampe obbligate al contatto continuo e doloroso con le grate, i movimenti ripetuti all’infinito sbattendo come farfalle impazzite sulle pareti di ferro delle minuscole e inospitali gabbie, il cibo da leccare faticosamente da una mensola incrostata attraverso le maglie delle reti. Tutto in un allevamento intensivo da pelliccia come quello ripreso dalle telecamere di Essere Animali sembra più un film dell’orrore che la realtà.
Eppure nulla a confronto con la consapevolezza che stiamo parlando di animali che in natura hanno una vita sociale complessa, formano coppie e gruppi familiari e sono abituate a scavare tane con numerosi tunnel e muoversi in un raggio molto ampio (fino a 20-30 km quadrati per le volpi artiche). Le volpi rosse sono in grado di camminare anche 10 km al giorno, mentre le volpi artiche, tra i pochi animali che vivono al Polo Nord, nelle stagioni migratorie coprono fino a 100 km in un singolo periodo. Un allevamento intensivo come questo, confrontato ai comportamenti naturali di cui priva gli animali che lo popolano, è una sorta di campo di concentramento, un luogo di tortura infinita che finisce solo con la morte.
Una firma che mette in moto la presa di posizione della comunità Europea
Non si tratta di una novità. Le inchieste sotto copertura negli anni si sono moltiplicate e volpi, visoni, maiali o polli hanno raccontato sempre la stessa cosa: sono costretti ad una vita miserabile per alimentare abitudini, affari e tradizioni umane. Ma ognuna di queste indagini è un passo lungo il cammino che punta al divieto totale e definitivo di questi allevamenti.
Questa inchiesta prodotta da Essere Animali si inserisce all’interno della campagna europea Fur Free Europe, promossa da oltre 60 associazioni per i diritti animali in 23 Stati membri, che in poco più di nove mesi hanno raccolto più di 1 milione e mezzo di firme di cittadini europei – compresi gli italiani – che vogliono vedere la fine di un sistema di produzione crudele, superfluo e non etico. La raccolta firme non è ancora terminata e si chiuderà il 1 marzo 2023.
«Fur Free Europe è già un’iniziativa da record – spiega Brenda Ferretti, campaigns manager di Essere Animali – che dimostra la sensibilità delle persone su questo tema. Ma è importante che migliaia di cittadini firmino ancora l’Iniziativa dei Cittadini Europei, mostrando così alla Commissione europea quanto sia urgente legiferare a tutela di questi animali e vietare la produzione, l’importazione e il commercio di pellicce in Europa». L’iniziativa non è infatti una semplice raccolta di firme per testimoniare una posizione, ma un mezzo molto più efficace: se le firme dei cittadini di tutta Europa – raccolte online inserendo i propri dati in un sistema sicuro e certificato – saranno validate dagli Stati membri entro luglio, la Commissione UE sarà chiamata a decidere nei prossimi mesi circa l’introduzione di questo divieto a livello europeo.
«In questi allevamenti vengono negati tutti i comportanti naturali agli animali, in nulla diversi da nostri animali d’affezione – continua Ferretti – e non possiamo non chiederci se eticamente possiamo accettare ancora tutto questo. La nostra risposta è ovviamente no: in un mondo in cui abbiamo tante alternative più sostenibili alle pellicce animali e numerosi brand che hanno deciso di abbandonare le pellicce è tempo di voltare pagina per sempre e indicare anche ai produttori una strada migliore e più futuribile, priva di sfruttamento animale».
L'Italia ha già detto no agli allevamenti di animali da pelliccia: ma rimangono 4 allevamenti attivi
Il divieto di allevare animali da pelliccia in Italia, una vera a propria vittoria storica, è entrato in vigore il primo di gennaio 2022, e a breve si attende l'emanazione del decreto interministeriale per avviare concretamente lo svuotamento degli ultimi 4 allevamenti italiani di visoni dove ancora sono stabulati e ammassati, in minuscole gabbie, più di 3.600 animali. L’Italia è inoltre uno dei 12 paesi europei che recentemente hanno chiesto alla Commissione Europea di studiare opzioni per un divieto permanente della produzione di pellicce e di presentare una proposta legislativa in tal senso.
Un percorso lungo che si è articolato in anni e anni di proteste, di raccolte firme, di investigazioni negli allevamenti italiani e di immagini forti e disturbanti diffuse anche attraverso trasmissioni televisive che hanno suscitato indignazione ma, soprattutto, scoperchiato una realtà misconosciuta o, ancora peggio, negata. «La Commissione europea sta attualmente revisionando la legislazione sulla tutela degli animali – spiega Ferretti – Questa revisione presenta l’opportunità per introdurre un divieto sia sulla produzione che il commercio di pellicce».
Tutte le foto del servizio sono di @EssereAnimali