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2 Gennaio 2024
12:56

Le morti invisibili degli allevamenti: 52 milioni di tonnellate di carne che viene buttata

Lo spreco alimentare non comprende soltanto la fase del consumo, ma è ormai diffuso anche nella produzione e nella distribuzione di alimenti. In particolare nel settore produttivo di carne ci sono più di 18 miliardi di morti inutili di una filiera che sempre più urgentemente deve fare i conti con la sostenibilità e il rispetto degli animali.

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Lo spreco alimentare è un problema diffuso dalla produzione alla distribuzione, fino al consumo. Le implicazioni di questo fenomeno sono enormi: dallo spreco di risorse preziose all'aumento di inquinamento e ai cambiamenti climatici. Ma la dimensione più sconvolgente di questo spreco è la perdita di vite animali. Morti invisibili ma soprattutto inutili di una filiera che sempre più urgentemente deve fare i conti con la sostenibilità e il rispetto degli animali.

Il numero è impressionante: circa 18 miliardi di polli, tacchini, maiali, pecore, capre e mucche che vengono uccisi senza mai arrivare nel piatto. A elaborare questi numeri su scala globale, per la prima volta, sono stati gli scienziati ambientali Juliane Klaura, Laura Scherer e Gerard Breeman.

I ricercatori hanno esaminato la produzione e il consumo mondiale di sei tra gli animali le cui carni sono le più consumate e hanno calcolato che 18 miliardi di animali vengono uccisi ogni anno, più o meno 52 milioni di tonnellate di carne priva di ossa che viene buttata: si tratta di circa un sesto di tutta la carne prodotta a livello globale. Il numero, basato su dati forniti dalle Nazioni Unite, riflette la situazione del 2019 per evitare l'impatto della pandemia COVID-19 sui consumi. Gli scenari rivelano che le vite animali sprecate e perse potrebbero essere ridotte di 7,9 miliardi se venissero integrate migliori efficienze regionali e di 4,2 se venisse attuato l'Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell'ONU. Ridurre questo numero, infatti, non solo eviterebbe inutili sofferenze agli animali, ma contribuirebbe anche alla lotta contro il cambiamento climatico.

Diverse sono le motivazioni dello spreco della carne. Nei Paesi in via di sviluppo le perdite si verificano tipicamente all'inizio del processo, come la morte del bestiame a causa di malattie durante l'allevamento o il deterioramento della carne durante lo stoccaggio o il trasporto. Nei Paesi industrializzati, invece, la maggior parte degli sprechi avviene a livello di consumo: i supermercati si riforniscono in eccesso, i ristoranti servono porzioni eccessive e le famiglie buttano via gli avanzi: è in questi paesi che lo spreco di carne è maggiore.

In Italia, scende del 12% rispetto a 1 anno fa lo spreco nelle case: nel 2022, anno di ripresa post pandemia, abbiamo gettato 75 grammi di cibo al giorno, ossia 524 g settimanali, poco più di 27 chili di cibo l’anno a persona. Un dato che si accentua a sud (+ 8% di spreco rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+ 38% rispetto alla media italiana).

L'obiettivo dei ricercatori è quello di mettere in luce l'impatto positivo della riduzione degli scarti di carne, sia in termini di benessere degli animali sia nella lotta ai cambiamenti climatici. Infatti, gli allevamenti intensivi prevedono sfruttamento su larga scala di animali, stipati in piccoli spazi e con ritmi di produzione accelerati rispetto al naturale decorso. Questo metodo si è sviluppato intorno agli anni 60 in concomitanza con l'aumento di consumo di carne che inevitabilmente ha portato all'aumento di produzione. In Italia circa il 90% delle produzione animali proviene da allevamenti intensivi.

Con l'aumentare degli allevamenti intensivi sono aumentati anche i dubbi legati a questo tipo di produzioni. In particolare nell'era delle lotte per il riconoscimento dei diritti degli animali ci si chiede sempre più se sia etico allevare in questo modo degli esseri viventi, considerando che gli animali che vivono ammassati sono essere senzienti. Inoltre un'altra questione riguarda i consumi che vengono fatti per sfamare gli animali degli allevamenti, consumi che potrebbero essere evitati ed indirizzati ad altri scopi. C'è un impatto ambientale considerevole che non pò più essere sottovalutato, anche per quanto riguarda l'aumento di gas serra del pianeta. Anche i liquami reflui degli allevamento potrebbero, per esempio, essere smaltiti diversamente e riutilizzati, ma gli allevamenti sono ancora molto indietro da questo punto di vista.

Secondo la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) oltre un terzo del cibo prodotto al mondo va perso. Gli alimenti sono persi o sprecati lungo l'intera catena di approvvigionamento alimentare: nell'azienda agricola, durante la trasformazione e la lavorazione, nei negozi, nei ristoranti e in ambito domestico. Oltre ai relativi impatti economici e ambientali, i rifiuti alimentari presentano anche un importante aspetto sociale: si dovrebbe agevolare la donazione delle eccedenze, affinché chi ne ha maggiormente bisogno possa ricevere alimenti sicuri e idonei al consumo.

Nel settembre 2015 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato gli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030, compreso un obiettivo che prevede di dimezzare gli sprechi alimentari pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumatore e di ridurre le perdite alimentari lungo le catene di approvvigionamento e di produzione. La revisione della direttiva comunitaria quadro in materia di rifiuti ha visto l’introduzione degli obiettivi di sviluppo sostenibile sullo spreco alimentare quali obiettivi tendenziali che l'Unione europea e i suoi Stati membri si impegnano a raggiungere.

La nuova direttiva quadro sui rifiuti chiama gli Stati membri a ridurre i rifiuti alimentari in ogni fase della catena di approvvigionamento, a monitorare i livelli di tali rifiuti e a riferirne al fine di agevolare lo scambio fra gli operatori in merito ai progressi compiuti. A tal proposito la Commissione europea sta sviluppando, attraverso un apposito atto delegato, una metodologia comune a livello comunitario per quantificare i rifiuti alimentari e definirne gli indicatori, creare una piattaforma e far incontrare gli Stati membri e tutti gli attori della catena alimentare per aiutarli a definire le misure necessarie a realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile relativi ai rifiuti alimentari e condividere le migliori pratiche e i risultati ottenuti.

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