In un mondo sempre più modificato dalle attività umane, conoscere in che modo le stesse incidano sul comportamento delle specie animali coinvolte è di cruciale importanza per comprendere sia rischi a cui le stesse sono esposte sia le migliori strategie di conservazione da attuare per salvaguardarle.
Nella località di Bulindi, in Uganda, esiste uno scenario perfetto per investigare come la presenza e l’attività dell’uomo possano modificare in maniera diretta il comportamento e le dinamiche sociali di una specie di primate, lo scimpanzé.
Qui infatti l’habitat naturale di una popolazione di circa 300 scimpanzé, la foresta pluviale, è frammentata fra una moltitudine di villaggi e terreni agricoli coltivati dall’uomo, uno scenario che inevitabilmente pone le basi per una continua interazione fra gli scimpanzé e l’uomo.
In un recente studio pubblicato sulla rivista Animal Behaviour, i ricercatori del dipartimento di ecologia e conservazione dell’Università di Exter hanno cercato di studiare come l’interazione diretta con l’uomo potesse influenzare sia il comportamento sia le dinamiche sociali degli scimpanzé, con l’obiettivo di evidenziare sia la loro plasticità di adattamento sia i potenziali rischi legati alla loro conservazione.
Come già dimostrato in altri studi, gli scimpanzé hanno imparato presto ad associare la presenza dell’uomo a quella di notevoli disponibilità di cibo, in questo caso legato alla presenza di terreni coltivati con il giaco, un frutto tropicale dall’alto contenuto di carboidrati e dunque una risorsa ecologica preziosa per gli scimpanzé.
Questa nuova attività di foraggiamento dovuta alla plasticità comportamentale degli scimpanzé, non è però esente da rischi: non è difficile immaginare perché i coltivatori del posto non siano felici di vedere gli scimpanzé alimentarsi a loro spese. In questo scenario, l’interazione quotidiana fra uomo-scimpanzé assume dei contorni spesso e volentieri conflittuali con esiti potenzialmente pericolosi per entrambe le parti in gioco.
Raccogliendo dati sulla composizione dei vari sottogruppi in cui si scinde quotidianamente una comunità di scimpanzé, i ricercatori hanno scoperto come le dimensioni di tali gruppi diminuivano in prossimità delle aree antropizzate (caratterizzate da un rischio di interazioni conflittuali più elevato) mentre aumentavano in prossimità delle aree a basso rischio, la foresta pluviale, dove la presenza umana era assente.
I sottogruppi che andavano a “contatto” con l’uomo, non solo erano più piccoli, ma erano quasi esclusivamente a componente maschile, sia dal punto di vista della numerosità dei due sessi sia della centralità sociale degli individui dei due sessi presenti; le femmine erano più presenti e più centrali nel network sociale principalmente nelle aree a basso rischio.
L’ipotesi discussa dai ricercatori per spiegare questa differenza riguarda l’esistenza di una divergente percezione del rischio fra i due sessi.
Le femmine di scimpanzé potrebbero rispondere con una strategia di evitamento alla percezione del rischio di incontri conflittuali con l’uomo principalmente per il rischio aggiuntivo dato dalla presenza dei loro figli. Infatti, nei sottogruppi seguiti in questo studio le femmine di scimpanzé erano madri con a seguito infanti o giovani scimpanzé.
Viceversa, i maschi sembrano avere una diversa motivazione ad affrontare il rischio, che non significa che non lo percepiscano come tale, ma che siano maggiormente motivati ad affrontarlo anche a seguito di esperienze pregresse negative con l’uomo stesso.
Questa differenza fra i due sessi nei confronti dell’interazione conflittuale con l’uomo nelle aree potrebbe inoltre affondare le sue radici nelle differenze comportamentali intraspecifiche degli scimpanzé.
In un contesto intra-specifico, i maschi di un gruppo si impegnano quotidianamente in attività di “pattuglia” del territorio e sono pronti ad affrontare attivamente eventuali intrusioni esterne, mentre le femmine, specialmente con figli al loro seguito, tendono a rimanere nel cuore del loro home-range di riferimento.
Gli scimpanzé potrebbero dunque affrontare l’interazione con l’uomo nel momento in cui diventa conflittuale, almeno sul piano motivazionale, proprio come se si trattasse di una classica interazione agonistica fra gruppi diversi di scimpanzé.
Questi risultati ci mostrano chiaramente da una parte come gli scimpanzé possano adattarsi in maniera plastica in un ambiente condizionato dalla presenza umana, dall’altra come tale adattamento plastico possa in realtà avere risvolti negativi per la loro conservazione.
Oltre ai rischi diretti derivanti dall’interazione conflittuale con l’uomo, questi cambiamenti delle loro dinamiche sociali fra i due sessi indotti dalla presenza dell’uomo potrebbero avere ulteriori risvolti negativi per la loro conservazione.
Ad esempio, la riduzione delle dimensioni dei sottogruppi e della componente femminile sia come numero sia come centralità nel network sociale potrebbe danneggiare i lunghi e delicati processi di apprendimento sociale delle varie tecniche che i giovani scimpanzé affrontano continuamente nel corso della loro crescita, con un impatto potenzialmente negativo per la loro sopravvivenza nella loro vita adulta.