Nel corso degli ultimi decenni le balene franche australi (Eubalena australis) hanno dovuto lottare molto per la loro sopravvivenza, ma grazie soprattutto ai divieti di caccia alle balene e a regolamentazioni molto più stringenti delle attività umane, questa specie è riuscita a riprendersi e a non essere più considerata oggi a rischio estinzione. Tuttavia, da un po' di tempo un nuovo e inaspettato predatore ne sta minacciando la sopravvivenza, o perlomeno sta rendendo parecchio più complicata la vita di questi maestosi cetacei: i gabbiani che attaccano e mangiano "vive" le balene.
Puerto Pirámides, in Argentina, è il luogo in cui questi imponenti giganti dei mari migrano ogni anno per riprodursi. Nel 1984, quando la caccia commerciale minacciava ancora la loro esistenza, le balene franche australi vennero anche dichiarate Monumento Naturale Nazionale, ma oggi, nonostante i numeri in ripresa e la loro imponente stazza di 15 metri di lunghezza e un peso di quasi 50 tonnellate, queste balene sono messe in pericolo dal mugnaiaccio australe o zafferano meridionale (Larus dominicanus), una specie di gabbiano diffusa lungo le coste dell'emisfero sud.
Secondo i dati del Whale Conservation Institute, la popolazione locale di balene si attesta attualmente sui circa 5.500 individui, numeri incoraggianti che tuttavia, potrebbero essere ancora più alti se i gabbiani non mettessero a rischio soprattutto la sopravvivenza dei piccoli di balena franca australe. Secondo uno studio pubblicato nel 2015, infatti, gli attacchi da parte di questi uccelli marini sono aumentati considerevolmente negli ultimi anni, così come il numero delle balene ferite o addirittura morte in seguito a questi attacchi.
Il pericolo proviene dal fatto che le balene nuotano lentamente a pelo d'acqua, offrendo un'opportunità irresistibile per i gabbiani affamati. I mugnaiacci atterrano infatti sul dorso dei cetacei per beccarli, nutrendosi prevalentemente di alghe e parassiti che crescono sulla loro pelle. Purtroppo, durante questa "pulizia", i gabbiani e i loro becchi robusti e taglienti provocano lacerazioni e ferite anche gravi alle balene, beccando non solo la loro pelle ma anche la carne, che hanno "imparato" a mangiare sempre più di frequente.
Negli anni 70, solo il 2% delle madri con piccoli mostrava lesioni inferte gabbiano. Oggi, non si trova quasi un solo esemplare senza segni di attacchi. I danni sono evidenti, soprattutto nei piccoli, che non sono in grado di difendersi adeguatamente. Si stima infatti che le balene dedichino fino al 25% della loro giornata a cercare di evitare agli attacchi dei gabbiani quando emergono in superficie. Gli attacchi stanno crescendo parallelamente all'aumento della popolazione di questi uccelli marini, che prosperano grazie soprattutto ai rifiuti e agli scarti alimentari.
Le balene, per difendersi, stanno addirittura modificato il loro comportamento, adattando la loro respirazione, la velocità di nuoto e persino la posizione di riposo. Rimangono sommerse per la maggior parte del tempo e emergono solo brevemente per respirare, con la testa appena fuori dall'acqua, in una posizione che comporta uno sforzo energetico maggiore ma che espone meno superficie del copro agli attacchi degli uccelli. Il biologo marino Mariano Sironi, direttore scientifico del Whale Conservation Institute, ha recentemente sottolineato nuovamente la gravità della situazione.
«Uno degli effetti più preoccupanti degli attacchi è il dispendio energetico aggiuntivo per le balene. Nel caso dei neonati, invece di poter riposare o nutrirsi tranquillamente, passano molto tempo a sfuggire dagli attacchi, causando così livelli di stress elevati», ha detto. Si tratta chiaramente di un comportamento del tutto naturale che però, come ha sottolineato lo stesso Sironi, è stato accentuato e aggravato dalle attività umane, che hanno favorito la crescita esponenziale del numero di gabbiani un po' in tutto il mondo.
La situazione è peggiorata soprattutto negli ultimi anni, con lesioni dieci volte più gravi nei cuccioli dal 1996 al 2011. I piccoli sono diventati il bersaglio preferito dei mugnaiacci ed è così aumentata la mortalità dei cuccioli nella penisola di Valdés tra il 2003 e il 2014. Sironi ha concluso affermando che, sebbene esista una componente naturale nel comportamento dei gabbiani, le responsabilità umane sono altrettanto importanti. Una migliore gestione dei rifiuti marini (come gli scarti di pesce) deve infatti diventare priorità per invertire questa tendenza e preservare la sopravvivenza delle balene franche.
Alcuni scienziati e governi pensano anche che occorrerebbe intervenire in maniera ancora più massiccia, riducendo con abbattimenti la popolazione di gabbiani per evitare che questo comportamento si diffonda ulteriormente. Solo però con un impegno congiunto e trasversale tra scienziati, pescatori, governi potremo però riuscire a evitare che i gabbiani si riproducano ulteriormente, riducendo le risorse alimentari legate ai rifiuti della pesca e i siti di nidificazione nelle aree urbane che contribuiscono a far proliferare questi uccelli marini.