Negli ultimi anni diversi volontari e ricercatori scozzesi sono stati impegnati in un progetto di recupero di un'antica popolazione di aquile reali (Aquila chrysaetos) delle regioni meridionali che rischiava di scomparire per colpa della presenza dell'uomo. Fortunatamente questo territorio oggi conta ancora il numero più alto di aquile da secoli, ma la morte di un esemplare a febbraio ha sottolineato come esistono delle avversità che i naturalisti devono affrontare perché le aquile possano volare tranquille.
Il progetto possiede dunque un alto valore conservazionistico: è un vero esempio di come le reintroduzioni in natura possono realmente giovare al benessere degli ecosistemi, motivo per cui è interessante ripercorrere insieme i passi che hanno portato questo lavoro di conservazione fino a qui.
I primi esemplari rilasciati in natura per rimpolpare la popolazione sono stati portati nelle Moffat Hills dalle Highlands, un altopiano a nord-ovest del Regno Unito, nell'agosto del 2018 e facevano parte del South of Scotland Golden Eagle Project (SSGEP), un progetto che è nato proprio per permettere a questi rapaci di riottenere il loro ruolo all'interno degli ecosistemi scozzesi. A quel tempo c'erano solo 4 coppie riproduttive nel sud della Scozia, tra cui una composta da aquile troppo vecchie per far nascere nuovi pulcini.
Cat Barlow, project manager della SSGEP, ha descritto quel periodo come un momento molto significativo, che ha rischiato di condannare la popolazione all'estinzione se non fossero arrivati i volontari: «Abbiamo cercato di aumentare la popolazione in perenne diminuzione e di assicurarci un futuro in cui sarà possibile osservare uno dei più maestosi uccelli nei cieli del sud della Scozia».
Nonostante la morte di qualche giovane aquila reale, un fenomeno che si deve tener conto quando si ha a che fare con progetti di reintroduzione o di ripopolamento di una specie selvatica, il gruppo ha continuato a lavorare negli ultimi anni con l'intenzione di migliorare le condizioni ecologiche di quei territori in cui rilasciavano gli individui. «Così abbiamo deciso di portare altri esemplari giovani dalle Highlands e nell'agosto del 2021 abbiamo spostato otto pulcini verso sud, insieme ad alcuni biologi e a diversi veterinari che collaborano con la nostra associazione», continua l'esperta.
Sono 12 ora le aquile che sono state ricollocate all'interno delle Moffat Hills e per quanto il progetto abbia subito dei ritardi causati dalla pandemia da Covid-19, Barlow e i suoi collaboratori sono entusiasti nel chiarire che l'attuale popolazione è quasi raddoppiata di numero nell'arco di soli tre anni.
Secondo un censimento concluso nel 2022, le aquile attualmente presenti in tutta la Scozia sono 39 e grazie alla maggiore tutela degli ambienti naturali voluta dall'amministrazione di Edimburgo, molti degli esemplari oggi presenti hanno condotto una vita serena e oggi hanno una età compresa fra i 5 e i 12 anni, probabili futuri riproduttori della specie. Nel frattempo, migliaia di abitanti sono stati coinvolti dal SSGEP attraverso una serie di iniziative a favore della conservazione dei rapaci e a Moffat è stato organizzato addirittura un festival per celebrare l'aquila reale.
La morte misteriosa di un soggetto trovato a febbraio, però, ha di nuovo riacceso i riflettori su questi grandi predatori dei cieli. L'animale non presentava segni di avvelenamento o di influenza aviaria e secondo gli scienziati nel decesso potrebbero essere implicate le numerose turbine eoliche presenti nella regione. La Scozia, infatti, è una delle regioni d'Europa maggiormente coinvolte nella produzione di energia eolica e da qui al 2032 è prevista l'istallazione di molti altri parchi eolici come forma di lotta contro il cambiamento climatico. Purtroppo però le aquile spesso si trovano a volare nei pressi delle pale durante i loro lunghi spostamenti e l'impatto con queste strutture potrebbe incidere pesantemente sulla loro sopravvivenza.
Proprio per limitare il numero di decessi, la stessa azienda che voleva costruire 75 turbine a Scoop Hill, la Community Windpower, ha deciso di ridurre il numero degli impianti. Barlow spera solo che altre aziende seguano l'esempio della Community Windpower e che il caso di febbraio risulti isolato. «Sebbene siamo ovviamente molto tristi per la morte dell'aquila di febbraio, è rassicurante sapere che l'indagine approfondita a cui è stata sottoposta non abbia trovato prove di influenza aviaria o di altre potenziali malattie. Il sospetto però che fosse morta per colpa delle centrali eoliche ha indicato negli scorsi mesi un percorso. Una strada maestra che dobbiamo seguire insieme alle stesse aziende vincitrici degli appalti, per garantire alle aquile la giusta quantità di cielo libero».