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16 Giugno 2023
10:23

L’australopiteco Lucy era in grado di camminare come noi: nuove ricostruzioni lo confermano

La ricostruzione digitale dei muscoli delle gambe di Lucy hanno permesso agli antropologi di confermare una vecchia teoria: l'australopiteco era in grado di camminare come noi.

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Lucy, l'esemplare di Austrolopitecus afarensis scoperto nel 1974 nella depressione di Afar, in Etiopia, è probabilmente tra i fossili più famosi della storia dell'intera paleontologia, oltre che uno dei reperti meglio conservati e studiati dei nostri antenati risalenti a 3,2 milioni di anni fa. Il suo scheletro, dopo tanti anni, continua a essere studiato e approfondito.

E dopo aver subito diversi anni fa delle scansioni tramite tomografia computerizzata e altri sistemi è divenuta protagonista di una nuova ricerca, che aveva lo scopo di ricreare digitalmente per la prima volta i tessuti muscolari mancati, per comprenderne meglio il funzionamento. Questo lavoro è stato svolto dalla dottoressa Ashleigh Wiseman dell'Università di Cambridge ed è stato pubblicato fra le pagine della rivista della Royal Society.

Nel nuovo modello l'equipe della Wiseman è riuscita a riprodurre ben 36 muscoli per ciascuna gamba, la maggior parte dei quali formavano la parte anteriore e posteriore della coscia e l'intersezione dei legamenti di caviglia e ginocchia. La cosa straordinaria è che i muscoli finora ricreati partendo dallo scheletro di Lucy si sono rivelati molto più grossi rispetto ai muscoli che presentano gli umani moderni, tanto che occupavano anche una superficie maggiore ed erano considerevolmente più potenti.

Non dobbiamo però immaginare gli antichi australopiteci come dei culturisti, spiegano i ricercatori. Il semplice fatto di possedere muscoli più grossi era infatti collegato alla capacità di questi nostri antichi parenti sia di camminare in posizione eretta che di arrampicarsi efficacemente sugli alberi. Il problema però che si sono posti gli antropologi coinvolti nel progetto è stato "quanto erano in grado questi primati di camminare in maniera simile all'uomo?"

Tale domanda è in realtà una delle più longeve della storia della paleoantropologia. Già infatti gli scopritori dell'australopiteco Lucy, tra cui Donald Johanson e Mary Leakey, si chiesero all'epoca quanto fosse simile alla nostra specie. Il nuovo metodo sviluppato dalla Wiseman e dagli altri autori che hanno scansionato il reperto hanno però definitivamente dato una risposta a tale quesito, che rischiava di restare irrisolto ancora a lungo.

«La capacità di Lucy di camminare in posizione eretta può essere conosciuta solo ricostruendo e indagando quale sia il percorso e lo spazio che un muscolo avrebbe dovuto occupare all'interno del suo corpo – ha chiarito la Wiseman – Con il nostro metodo finalmente siamo riusciti a farlo e possiamo dire che i muscoli di Lucy suggeriscono che la sua specie fosse abile nel bipedismo quanto noi».

Per quanto infatti le differenze marcate nella struttura scheletrica e muscolare avrebbero potuto far credere che Lucy fosse in grado di camminare solo compiendo un movimento ondulatorio, simile a quello che è possibile osservare oggi nei gorilla, i nuovi dati a disposizione della ricerca hanno permesso di capire come ossa e tessuti lavoravano all'unisono, per permettere a questi nostri antenati di camminare efficacemente senza il bisogno di ondeggiare.

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Ricostruzione scheletrica e muscolare delle gambe di Lucy

Per quale ragioni però gli austrolopiteci avrebbero dovuto abbandonare le chiome degli alberi per spingersi a camminare nelle calde savane africane? Sono ancora gli antropologi a spiegare le motivazioni che hanno spinto questi ominidi a compiere forse la scelta più difficile. «L'Australopithecus afarensis avrebbe vagato per aree di praterie boscose aperte e foreste molto fitte nell'Africa orientale circa 3-4 milioni di anni fa. Queste ricostruzioni dei muscoli di Lucy suggeriscono che sarebbe stata in grado di sfruttare efficacemente entrambi gli habitat – chiariscono gli scienziati da Cambridge – La loro natura però li costringeva a migrare spesso, nel tentativo di raggiungere nuove risorse. Inoltre, all'epoca la foresta equatoriale stava affrontando una grave crisi climatica, che spinse molti alberi a rifugiarsi verso nord, lontano dall'aree della Rift Valley in cui sono state ritrovate molti resti dei nostri antenati».

Quindi la fame, la difficoltà a trovare cibo, la possibilità di muoversi efficacemente in un territorio in perenne cambiamento, la crisi climatica e l'opportunità offerta dalla vista in posizione bipede, capace di intercettare per prima i predatori, spinse gli australopiteci ad affinare la loro arte di camminare in posizione bipede, mantenendo comunque la possibilità di essere in grado di salire sugli alberi per trovarvi rifugio o cibo. Giunse però un momento in cui la storia evolutiva della nostra famiglia dovette affrontare un bivio e decidere se continuare a vivere una "vita di mezzo" o affinare ulteriormente il bipedismo, abbandonando la capacità di vivere sugli alberi e sfruttando meglio le armi che avevamo a disposizione – le mani e il cervello – per produrre qualcosa che non si era mai visto, ovvero una scimmia in grado di sviluppare una tecnologia capace di affrontare la grande megafauna africana.

Un ramo degli australopiteci imboccò questa direzione, cominciando tra l'altro anche a mangiare più carne e a sfruttare rudimentali strumenti come armi di offesa. Lo studio effettuato sulle gambe di Lucy non è però l'unico ad essere stato eseguito sui resti di una specie fossile. «Le ricostruzioni muscolari sono già state utilizzate per misurare la velocità di corsa del T. rex e di altri animali estinti, per esempio – ha spiegato la Wiseman – Applicando tecniche simili ai nostri antenati ancestrali vogliamo solo rivelare lo spettro del movimento fisico che ha spinto le varie specie a dirigersi verso la nostra direzione, ottenendo capacità che in qualche caso abbiamo anche perso».

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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