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2 Dicembre 2022
17:07

L’Australia si rifiuta di considerare la barriera corallina in pericolo

L'Australia combatte da anni contro la perdita della Grande barriera corallina, ma secondo l'IUCN i risultati non sono stati sufficienti.

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Da anni l'Australia combatte contro lo sbiancamento e la perdita della Grande barriera corallina e nel tempo i costi che la nazione ha sostenuto sono stati notevoli. Secondo però l'IUCN, ovvero l'Unione internazionale per la conservazione della natura, organizzazione non governativa internazionale riconosciuta dall'ONU, i risultati non sono stati sufficienti.

Se l'Australia vuole evitare che la regione dove risiede la barriera venga classificata tra le zone "in pericolo" del patrimonio mondiale deve fare di più, molto di più. Almeno questo è quanto emerge dal rapporto realizzato da due esperti dell'UNESCO, creando una accesa discussione fra il governo di Canberra e le due istituzioni internazionali.

Per quanto ne possa dire l'Australia, è ormai sotto l'occhio di tutti come nel mondo le barriere coralline stiano arrancando nei confronti dei diversi problemi che affliggono gli oceani. Il deterioramento fisico della barriera, dovuta dai flutti e dalle maree, è ormai accompagnato dai tanti altri fattori che favoriscono il logoramento dell'ecosistema, dal riscaldamento climatico a l'inquinamento legato all'agricoltura, dal surriscaldamento delle acque alla pesca.

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Lo sbiancamento è fra tutti però il fenomeno che mette più a soggezione di fronte alla salute dei coralli, in quanto non esiste area del pianeta che non ne sia già caduto vittima e  non abbia lasciato cumuli di detriti. I biologi del governo australiano tra l'altro hanno riferito che a maggio oltre il 90% dei coralli della Grande Barriera Corallina esaminati presentava negli ultimi 12 mesi un segno di sbiancamento. Da qui l'invito rivolto al governo australiano nello sforzarsi ulteriormente, stabilendo nuovi obiettivi e sforzi atti nel salvare la barriera corallina australiana (la più grande del mondo) nella sua interezza.

La risposta però del governo australiano alle richieste dell'IUCN e dell'UNESCO non sono state quelle che tutti si aspettavano, da uno dei paesi maggiormente coinvolti dalle conseguenze del cambiamento climatico in atto.

Una risposta piccata che fa molto rumore

Il ministro dell'ambiente australiano, Tanya Plibersek, ha detto martedì che il suo governo agirà contro le affermazioni provenienti dall'UNESCO , in quanto ritengono che aggiungere la Grande barriera corallina a un elenco di siti del patrimonio mondiale in via di estinzione sarebbe falso e controproducente. Tali affermazioni hanno fatto gridare allo scandalo molte delle associazioni ambientaliste che da anni lottano per salvaguardare la Grande barriera corallina australiana, non erano però impreviste. Da anni infatti la nazione respinge le accuse quasi utilizzando le stesse parole. Ricordiamoci però che il governo della Plibersek controlla il parlamento solo da pochi mesi e inoltre sostiene che le critiche all'inerzia del governo sul cambiamento climatico da parte della popolazione sono solo il prodotto di opinioni obsolete, che ormai non si rispecchiano più con la realtà politica e climatica della regione.

Il rapporto è una riflessione relativa al precedente governo conservatore australiano, ha dichiarato la Plibersek, in una intervista che ha sostenuto con alcuni giornalisti dell'ufficio stampa del suo ministero. Governo che si è disinteressato nel rassicurare le organizzazioni internazionali sul reale stato di salute della barriera. «Faremo capire molto chiaramente all'UNESCO che non è necessario isolare la Grande Barriera Corallina in questo modo, ovvero inserendola in un elenco a rischio di estinzione ed impedendone l'accesso in nuove aree. Il motivo per cui l'UNESCO in passato ha individuato un luogo a rischio è perché voleva vedere maggiori investimenti del governo o maggiori azioni del parlamento e, dal cambio di governo, entrambe le cose sono accadute».

Secondo la Plibersek il nuovo governo australiano ha legiferato per impegnare la nazione a ridurre le sue emissioni di gas serra del 43% rispetto al  2005 entro il 2030 e ha anche impegnato 1,2 miliardi di dollari australiani ($ 798 milioni) per prendersi cura dell'ecosistema.

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Dal canto loro UNESCO e IUCN  hanno pubblicato comunque lunedì un rapporto che avverte come senza un'azione climatica condivisa, che sia "ambiziosa, rapida e sostenuta", la più grande barriera corallina del mondo è destinata a scomparire nel corso di pochi decenni. Il problema però si pone quando si viene a creare un conflitto fra gli argomenti a sostegno della conservazione della barriera e la realtà politica locale che crede che una riduzione del 43% delle emissioni basti a salvaguardala. Anche perché le dimensioni della sfida che si prospetta l'Australia è notevole. La Grande Barriera Corallina rappresenta infatti da sola circa il 10% degli ecosistemi di barriera del mondo e copre 348.000 chilometri quadrati. Si tratta tra l'altro dell'ecosistema più ricco di biodiversità nell'oceano. Individuare soluzioni efficaci e poco onerosi per l'economia di un stato per risolvere il problema è dunque straordinariamente difficile.

Scongiurare però l’inserimento nella lista per limitare i danni di immagine e al turismo è una scelta politica che porterebbe a spese economiche ed umane ancora maggiori. Alla fin dei conti non è neppure detto che inserendo la barriera fra i siti più a rischio, il turismo naturalistico debba per forza ridurre le sue prospettive di guadagno. Sono tanti i paesi che ospitano areali e paesaggi a rischio di scomparire per colpa della cementificazione come per la scomparsa di una specie bandiera. Fra questi abbiamo il Madagascar, che ha pochissime ormai aree boschive, per colpa dello scriteriato consumo del suolo e dell'aziende internazionali del legname. Eppure annualmente il Madagascar ospita decine di migliaia di turisti, che vengono sull'isola per vedere e studiare i lemuri, l'aye aye, come le rare specie botaniche che lì vi sono presenti. Parte del ricavato del turismo potrebbe poi essere speso per arginare i danni provocati alla barriera corallina, come in realtà accade già per alcune aree maggiormente visitate del paese.

La prossima riunione del comitato UNESCO che dovrebbe rispondere nuovamente alle affermazioni e alle politiche del governo australiano dovrà tenersi a metà 2023. Fino ad allora, i movimenti ambientalisti si aspettano di vedere nuove proposte da parte di Canberra, utili soprattutto per stemperare le critiche e arginare così, ancora una volta, lo "smacco" di vedersi considerare simili al Brasile di Bolsonaro, che ha rischiato di rendere l'intera Foresta Amazzonica come probabile candidata per entrare sempre nella suddetta lista di aree naturali in pericolo.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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