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19 Gennaio 2021
9:19

L’altruismo nel mondo animale

Dalla pulizia reciproca, alla condivisione del cibo, fino al trucco dell’ala spezzata: gli animali non umani ci offrono tanti esempi di comportamenti altruistici. E così mostrano di essere individui tolleranti, capaci di empatia, e anche molto coraggiosi.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Il mio passato di medico veterinario condiziona ancora il modo con cui osservo gli animali e fa sì che difficilmente un animale all’apparenza in difficoltà sfugga alla mia attenzione. Tuttavia, da lungo tempo sono dedita allo studio del comportamento degli animali e, col passare degli anni, il mio occhio clinico si è trasformato in uno sguardo etologico, o meglio in un intreccio dei due. Così, se mi capita di vedere un fratino (Charadrius alexandrinus) che zoppica, trascinando un’ala, non posso fare a meno di chiedermi se ha davvero subito un trauma o sta solo fingendo.

Come molti uccelli che nidificano a terra, infatti, il fratino è noto per ricorrere al trucco dell’ala spezzata con lo scopo di convogliare su di sé l’interesse di un predatore, ad esempio una volpe o un cane vagante, che ha avuto l’ardire di avvicinarsi troppo al suo nido. Il predatore, convinto di trovarsi davanti a un boccone facile, inizia a seguire l’uccello claudicante; una volta che si è allontanato abbastanza dal nido, però, da questi viene prontamente beffato: all’improvviso, l’uccello spicca il volo e torna dai suoi pulcini, sabotando la sua battuta di caccia. Perché lo fa? Perché il fratino adulto sceglie di mettersi in pericolo per salvare la vita dei suoi piccoli? È la dura legge dell’egoismo del gene, si potrebbe pensare. Si potrebbe pensare, cioè, che lo faccia per proteggere i propri geni, assicurandosi di trasmetterli alla generazione successiva. In termini evolutivi probabilmente è così. L'evoluzione, lo sappiamo, lavora per selezione naturale e selezione naturale significa la sopravvivenza del più adatto: nel caso dei fratini, la selezione ha evidentemente favorito l’evoluzione di questi tratti altruistici perché essi, a loro volta, favoriscono il successo degli individui (o dei loro geni).

L’ossimoro scientifico: egoismo come movente per le azioni altruistiche

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Una colonia di pipistrelli vampiro (Desmondus rotundus)

L’egoismo come movente per le azioni altruistiche è un ossimoro scientifico senza dubbio affascinante, e per molti scienziati, da decenni, un rompicapo ancora tutto da sbrogliare. Se è vero che l’altruismo non è altro che l’espressione della tendenza egoistica dell’individuo ad aumentare la probabilità di generare una prole a sua volta in grado di riprodursi, come si spiegano, allora, i ben noti casi di animali che si aiutano e cooperano senza essere imparentati?  Evidentemente, in questa storia manca qualcosa.

Pensiamo, ad esempio, ai vampiri (Desmodus rotundus), pipistrelli che vivono in gruppo, negli alberi o all’interno di grotte. I membri di un gruppo si scambiano molti favori, dal toelettarsi a vicenda, facendo allogrooming, fino al condividere il cibo. Dotati di incisivi affilatissimi, i vampiri bucano la cute degli animali domestici, soprattutto i bovini e gli equini, e rapidamente ne bevono il sangue leccando la ferita. Se per tre giorni un pipistrello resta a digiuno, però, muore. In questi casi, un conspecifico, anche un estraneo non consanguineo, nel vedere l’amico perdere peso velocemente, gli offre un pasto di sangue, rigurgitando una parte di quello assunto durante la sua ultima caccia. Così facendo, probabilmente il pipistrello generoso sottoscrive una polizza assicurativa, che gli garantirà un pasto gratis il giorno in cui dovesse essere lui ad averne bisogno. Si tratta, infatti, di una forma di altruismo reciproco.

Una prova ancora più eclatante del fatto che la selezione di parentela non è sempre la molla per l’altruismo è rappresentata dai comportamenti altruistici che coinvolgono individui di specie diverse: può saperlo bene chi, come me, vive con un gatto. Ogni tanto, durante il giorno, riceviamo dal nostro micio amichevoli profferte di grooming, che si traducono in vere e proprie sedute a base di leccate e lievi mordicchiamenti. Talvolta – non sempre – e magari soltanto in un secondo momento, noi le ricambiamo con affettuose carezze; o almeno ci proviamo, perché spesso i gatti mostrano persino di non gradirle.

Tolleranza e empatia: che ruolo hanno?

Qualcos’altro, dunque, deve motivare l’altruismo, qualcosa che va oltre il mero calcolo opportunistico da parte dell’individuo donatore, che implicherebbe la sua reale consapevolezza del beneficio finale, sia esso la sopravvivenza dei suoi geni o un favore ricambiato subito. Sappiamo, ad esempio, che alla base del comportamento altruistico di un genitore vi è un meccanismo ormonale, legato, con tutta probabilità, al sistema dell’ossitocina e della vasopressina.

Un altro fattore noto per favorire l’altruismo è la tolleranza. Tornando per un momento ai pipistrelli vampiri, pare che il collante sociale tra loro sia il grooming reciproco: questo comportamento crea affiliazione, favorendo la tolleranza e lo sviluppo di rapporti di amicizia. Anche tra i primati la cooperazione è promossa dalla tolleranza sociale. L’individuo più tollerante è più disposto a collaborare, magari condividendo il cibo e accettando senza fare tragedie gli eventuali svantaggi connessi con questa azione: per esempio, che ogni tanto qualcuno ne ottenga di più. E poi c’è l’empatia, ossia la capacità di un individuo di sapere come si sente un altro, ed esserne influenzato. L’empatia può essere la molla per alcune forme di altruismo umano e di altri animali, in grado di indurre un soggetto ad aiutarne un altro, palesemente in difficoltà, e prendersene cura, in modo disinteressato, sulla spinta di un impulso spontaneo mediato dalle emozioni.

Insomma, sul piano evolutivo, quello cioè delle cause ultime, l’altruismo può essere visto come un paradossale atto di egoismo. Ma una volta evoluto, il comportamento, spesso, assume un'autonomia motivazionale, cioè la sua motivazione si scollega dai suoi obiettivi finali. E allora, se spostiamo la nostra attenzione verso le cause prossime, ossia le micce che lo innescano, scopriamo che i geni non sono i sovrani dell’individuo, e il movente egoistico per l’altruismo svanisce. Poi, già che ci siamo, impariamo anche che gli esseri umani non sono l'unica specie veramente altruista nel regno animale.

Bibliografia

F.B.M. de Waal (2008). Putting the Altruism Back into Altruism: The Evolution of Empathy. Annu. Rev. Psychol., 59:279–300.

Carter G.G. et al. (2020). Development of new food-sharing relationships in vampire bats. Curr. Biol., 30(7): 1275-1279.

Nel 2003 mi laureo in Medicina Veterinaria. Dal 2008 sono ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano, dove insegno Etologia Veterinaria e Benessere Animale. Studio il comportamento degli animali e la relazione uomo-animale.
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