Un filo rosso che collega due cani e un uomo e una corsa contro il tempo fra i ghiacci dell'Alaska per salvare numerose vite. Queste le immagini che saltano alla mente quando si parla dei Siberian Husky Balto e Togo e di Leonhard Seppala.
Il 2 febbraio si celebra proprio il giorno in cui la spedizione è riuscita a concludere la propria missione arrivando alla città di Nome.
Questa storia è stata rappresentata in diverse opere sul grande schermo, prima fra tutte il film d’animazione del 1995 "Balto" della casa produttrice Amblimation. Nel 2019 è stata girata anche una seconda pellicola chiamata "Togo – Una grande amicizia", un film drammatico diretto da Ericson Core. Nonostante in queste versioni la storia sia stata a volte romanzata e rivisitata, comunque rimane uno splendido esempio di relazione fra uomo e animale e di come questa possa essere persino elemento fondante di missioni vitali per centinaia di persone. Per capire come questo sia possibile, però, è necessario indagare chi fossero realmente i protagonisti di questa storia guardando oltre la rappresentazione cinematografica.
Chi era Leonhard Seppala
Togo e Balto erano dei Siberian Husky legati a Leonhard Seppala, un musher, ovvero un conducente di una muta di cani da slitta, norvegese naturalizzato statunitense. Egli aveva addestrato i due cani nei primi del 900 proprio per il traino della slitta, preparandoli per un compito eccezionale: dovevano far parte di una spedizione al Polo Nord per esplorare una terra ancora in parte misteriosa.
Il 1914, però, portò con se le avvisaglie di una guerra che da lì a breve avrebbero fatto scaturire il primo vero conflitto mondiale. La spedizione venne quindi annullata e Seppala e il suo equipaggio impiegarono le loro forze in altri progetti. Nel gennaio 1925, però, Nome, la città del musher, venne colpita da un'epidemia di difterite, una malattia un un tasso di mortalità che si aggira dal 75% al 99,99%, e per questo molti bambini e adulti non esposti in precedenza al batterio furono seriamente a rischio di morte.
Persino l'unica figlia di Seppala, Sigrid, contrasse la malattia e l'unico trattamento disponibile all'epoca era un'antitossina scarsamente efficace. In ogni caso a Nome l'antitossina, o siero come venne definita successivamente, non era sufficiente per coprire l'intera città e l'unico modo pratico e veloce per recuperare più siero possibile era affrontare una missione altamente rischiosa: gettarsi fra i ghiacci dell'Alaska in uno degli inverni più rigidi degli ultimi 20 anni organizzando una staffetta lunga 1085 chilometri. L'obiettivo era recuperare il medicinale nella città più vicina per poi tornare indietro.
Cos'è la "Corsa al siero"
Il siero doveva essere prelevato più precisamente alla stazione del in treno di Nenana. Da lì partì una squadra per incontrare Seppala che veniva da Nome, incontrandosi al centro nella città di Nulato. Il musher partì il 28 gennaio e decise di percorrere una scorciatoia per recuperare un intero giorno di viaggio passando per Norton Sound. Il ghiaccio in quella zona, però, era in costante movimento a causa delle correnti provenienti dal mare ed era stato reso estremamente scivoloso dalla continua azione del vento.
Dopo 3 giorni di viaggio e 270 chilometri percorsi Seppala incontrò l'altro musher proveniente da Nenana, Henry Ivanoff, ma non se ne rese neppure conto. La fretta di Seppala era talmente tanta che non si volle fermare per controllare chi realmente fosse e il secondo musher fu costretto a correre dietro Seppala per diverso tempo gridando: «Il siero! Il siero! Ce l'ho qui!»
Quando finalmente il siero passò a Seppala la notte calò e dovette decidere se rischiare tornando per Norton Sound con venti forti e al buio, oppure prendere una strada più lunga. Il musher optò dunque per la scorciatoia e correndo verso Isaac’s Point i venti divennero così intensi da rallentare incredibilmente lo sforzo dell'intera spedizione.
Il giorno successivo la burrasca si era intensificata ancor di più con una profonda bufera di neve che accecò Seppala e i cani. Le condizioni del ghiaccio che stava attraversano la slitta erano pericolose, con punti in cui il ghiaccio era ridotto a una lastra sottilissima. L'abilità di Seppala e la forza dei cani, però, ebbero la meglio: con Norton Sound alle loro spalle la muta dovette affrontare la sfida finale, attraversare una cresta ghiacciata di 13 chilometri. Tuttavia gli instancabili protagonisti della storia riuscirono ad avere la meglio anche in questo caso e alle 3 del pomeriggio dello stesso giorno riuscirono a consegnare il siero al musher successivo della staffetta che percorsi altri 126 chilometri riuscì finalmente a portare il medicinale a destinazione: erano le 5.30 del mattino del 2 febbraio 1925.
Chi erano veramente Balto e Togo
Nella storia ad essere evidente è il ruolo dei due cani: Togo nacque nel 1913 e originariamente si chiamava Cugu, che significa "cucciolo" in lingua sami settentrionale e solo successivamente fu chiamato Togo come l'ammiraglio giapponese, Tōgō Heihachirō.
Togo era da giovane un cane piuttosto malaticcio e gracile e nulla avrebbe mai fatto presagire che un giorno sarebbe riuscito a portare a termine una sfida così ardua come la Corsa al siero. Non ritenuto adatto come cane da slitta a 6 mesi di età venne dato in adozione a un altro uomo, ma il cane saltando fuori dalla finestra sfondandone persino il vetro, percorse diversi chilometri per tornare nuovamente indietro da Seppala. Questo gesto sciolse il cuore del musher che volle tenerlo come membro permanente della squadra.
Balto, invece, era di 6 anni più giovane di Togo. Non si distinse mai particolarmente per il suo passato da cane da slitta e l'unico motivo per cui salì alla storia fu l'impresa della Corsa al siero che guidò in testa alla muta nell'ultimo tratto. La sua storia venne raccontata ovunque negli anni successivi, ma pochi ad oggi sanno che passò i suoi ultimi anni al Cleveland Zoo fino alla sua morte il 14 marzo 1933, all'età di 14 anni.
La storia dei cani da slitta
Su Kodami abbiamo già parlato della lunghissimastoria dei cani da slitta a fianco degli esseri umani. I primi ritrovamenti di resti di cani e slitte, sono avvenuti a nord della Siberia e sembrano risalire a 33.000 anni fa. Sappiamo che gli antenati dei cani di cui parliamo, erano una specie di lupoide ormai estinta. Però, non è chiaro se il ritrovamento del cane accanto alla slitta sia la prova che venisse già addomesticato per quel compito. Quello che possiamo ipotizzare per ora, grazie ad analisi di sequenziamento genomico di ritrovamenti della Groenlandia, è che l’addestramento a trainare slitte era presente però più di 9.500 anni fa.
Nonostante la lunga storia di convivenza, ci sono idee contrapposte sull'etica di questa pratica. Le prime slitte da cani non sembravano esattamente come le slitte trainate da cani oggi, c’erano carichi minimi da trasportare con quindi meno cani per farlo. È stato particolarmente attraente per gli avventurieri polari, che hanno visto il valore dell'utilizzo di questi animali nelle loro ricerche. Sebbene i cani da slitta siano ancora utilizzati per il trasporto in alcune comunità rurali, il loro ruolo principale ora risiede nelle corse, dette "mushing".
Proprio a causa di questo aspetto più sportivo, si è aperto il dibattito: lo sleddog (sled=slitta + dog=cane) non nasce come uno sport ma come una necessità, un mezzo di trasporto che consisteva in slitte trainate da gruppi di cani per lo più di razza nordica (Siberian Husky, Groelandese, Alaskan Malamute, Samoiedo). Riuscire a fare quello per cui si è stati allevati sembra essere un piacere per questi cani. La loro motivazione è ammirevole ma non si dovrebbe sfruttare lì dove non c’è più necessità ma solo divertimento umano. Diverso è invece per quelle comunità – come gli Inuit, i Sami o altre popolazione dell’Artico – la cui sopravvivenza è fortemente legata ai cani da slitta. In questi casi, le motivazioni dell’appartenenza al branco e alla corsa all’aria aperta senza grossi pesi, convogliano nella relazione e convivenza reciproca.