Sulle motivazioni dello schianto della Freccia Tricolore a Caselle Torinese che ha trasformato le acrobazie della Pattuglia Acrobatica dell’Areonautica italiana in una tragedia in cui è rimasta uccisa una bimba di cinque anni, l’ipotesi più accreditata è che sia successo a causa del cosiddetto wildlife strike, ovvero l'impatto di un aereo con animali selvatici, solitamente uccelli.
A confermare che si tratta di un fenomeno, purtroppo, molto diffuso ci pensa il report annuale dell'Enac "Wildlife Strike Relazione Annuale 2022" dal quale si apprende di 2.168 impatti avvenuti l'anno scorso in gran parte nelle aree aeroportuali sotto i 300 piedi di altezza. In 1.917 casi non ci sono state conseguenze specifiche mentre sono stati 40 gli impatti con danni, 121 quelli multipli e 103 quelli con "indigestione", ovvero con un animale finito nei motori.
Il wildlife strike è peraltro in costante aumento in tutto il mondo sia per l’aumento progressivo del traffico aereo, sia per l'incremento del numero di tante popolazioni di animali selvatici nel corso degli ultimi decenni. In Italia, per esempio, il numero di incidenti è passato 348 nel 2002 a 2.168 nel 2022, ma dal 1980 a oggi la popolazione nidificante di gabbiano reale è più che raddoppiata, superando le 60mila coppie.
Il rischio di collisione è soprattutto legato al tipo e all’intensità dell’attività della fauna selvatica sia all’interno che nelle aree limitrofe dell’aeroporto. Gli animali attratti da specifiche opere o attività che si svolgono intorno all’aeroporto possono, infatti, spostarsi all’interno o attraversare i corridoi di movimento degli aeromobili incrementando il rischio di impatto. Inoltre, la presenza di discariche, aree umide e zone dove c’è alta disponibilità di acqua, cibo e siti dove ripararsi, riprodursi, aggregarsi e riposare, costituiscono un’attrattiva formidabile per gli animali selvatici, soprattutto gli uccelli.
Se, però, le conseguenze per i veicoli possono essere più o meno rilevanti a seconda delle zona impattata, per gli animali significa quasi sempre morte certa. Dai dati complessivi sulle specie coinvolte negli impatti negli aeroporti italiani emerge che anche nel 2022, come oramai di consuetudine, quelle maggiormente coinvolte sono state gheppi, gabbiani, piccioni e soprattutto rondoni, generalmente molto frequenti sulle piste degli aeroporti durante il periodo primaverile-estivo sul nostro territorio. Questi uccelli, che vivono praticamente sempre in aria dove cacciano insetti, si accoppiano e dormono si concentrano in precisi spazi aerei attirati dal cibo, il cosiddetto “plancton aereo”, ovvero moscerini e piccoli insetti che volano nei bassi strati dell’atmosfera.
La specie, vista la sua abbondanza nei periodi di presenza, a livello statistico risulta essere tra le più impattate al mondo ma, viste le loro piccole dimensioni, non arrecano di solito danni significativi se non a loro stessi. Purtroppo non esistono sistemi di allontanamento validi per questi uccelli che di solito abbandonano l’area di alimentazione dopo qualche ora, non appena finiscono gli insetti. L'unica pratica attuabile all’interno degli aeroporti è semmai di limitare le concentrazioni di insetti, evitando lo sfalcio delle piste durante il giorno, quando gli uccelli sono attivi, e compiendo le operazioni nelle ore notturne.
Un’adeguata gestione ecologica anti-fauna del sedime aeroportuale e del territorio circostante è senza dubbio il più efficace sistema di mitigazione del rischio di wildlife strike, insieme all’utilizzo di specifici strumenti tesi all’allontanamento degli animali. Per questo negli aeroporti sono in vigore specifici piani di controllo e mitigazione del rischio operati dal personale specializzato della Bird Control Units, e per lo stesso motivo l’Organizzazione mondiale dell’aviazione civile e le altre organizzazioni e autorità che si occupano di navigazione aerea, hanno identificato una distanza di sicurezza dagli aeroporti, 13 chilometri, entro la quale limitare alcune attività e opere in grado di attrarre fauna selvatica.