Queen nuota. Nell’azzurro intenso del mare Mediterraneo. Nella profondità delle acque che di notte diventano buie e di giorno si illuminano dei raggi del sole che le attraversano. Queen, Caretta caretta quasi adulta, pinne intatte e pancia bianca e piatta, scivola fra le onde, dopo aver preso respiro e ossigeno in superficie, e scende fino al fondo del mare in cerca di scogli dove rifugiarsi per dormicchiare un po’, in un’apnea che può durare fino a un’ora e mezza. Queen nuota e nuota, a volte lentamente ma altre più veloce, quando è in grande forma può scivolare tra le onde anche fino a 40 chilometri orari.
Da giorni ormai, senza saperlo, trasporta sul suo guscio durissimo, che la protegge dai tempi del Mesozoico quando apparve sulla faccia della terra circa 220 milioni di anni fa, un GPS che i volontari del CRTM Centro Recupero Tartarughe Marine di Brancaleone le hanno attaccato con la resina dopo averla salvata. Ed è proprio da lì, dal piccolo centro di recupero a metà fra la costa ionica e quella tirrenica della Calabria, che è ripartita per il suo lungo viaggio. Guidati da infinite sequenze di numeri che arrivano dal satellitare e che gli esperti stanno trasformando, giorno per giorno, nelle posizioni toccate da Queen ogni volta che riemerge e il suo GPS invia i segnali radio, è bello immaginarla solitaria e silenziosa mentre nel blu raggiunge e supera lo stretto di Messina, continua girovagando fra le Isole Eolie e poi punta verso nord e ad un certo punto, più o meno davanti a Palinuro, vira a sinistra e punta verso il centro. Quali saranno le prossime mete: Sardegna, o addirittura Stretto di Gibilterra?
Così muoiono le tartarughe marine: impigliate nelle reti dei pescatori
«Alcuni pescatori l‘hanno vista galleggiare ancora legata ad amo e lenza e ci hanno chiamati. Era rimasta impigliata nel classico palangaro, una tecnica utilizzata per pescare tonni e pesci spada assolutamente letale per le tartarughe. Di solito, quando le recuperano incastrate in amo e lenza, le ributtano agonizzanti in acqua. Questa volta invece i pescatori ce l’hanno segnalata». A parlare è Tania Il Grande, fondatrice, volontaria e anima del CRTM, da sempre in prima linea malgrado i mille problemi di sopravvivenza del centro. «Quindi è scattata la routine: visita veterinaria e esami diagnostici, in particolare una radiografia per capire dove si trovava esattamente l’amo. Ci è venuto in aiuto ancora una volta il professor Antonio Del Bello del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari e veterano di interventi come questo con un’esperienza trentennale nel Mediterraneo. E grazie alla chirurgia Queen si è ripresa velocemente. E viste le dimensioni, essendo un esemplare quasi adulto, si è deciso di installare un GPS sul suo guscio per averne informazioni fondamentali sul tragitto che avrebbe compiuto una volta rilasciata in mare».
A cosa serve il GPS e cosa racconta delle tartarughe
Le tartarughe infatti tornano alle aree predisposte all’alimentazione e alla riproduzione oppure nella zona di riproduzione delle uova. «Quindi grazie al GPS e ai segnali che ci invia ogni volta che Queen è in emersione sapremo ad esempio se rimarrà nel Mediterraneo o, attraverso lo stretto di Gibilterra, arriverà nell’Atlantico. Sappiamo che degli incontri tra tartarughe provenienti da queste due aree ci sono già stati e proprio da questi incontri è stata favorita una ricombinazione genetica tra le due popolazioni. Ma sono eventi rari e per questo è ancora più importante documentarli. E grazie a questo progetto Sat-Cal, nato dalla collaborazione tra WWF Italia – Unica – Unipi – CRTM di Brancaleone, e guidato dal professor Paolo Casale dell’Università della Calabria, ne sapremo molto di più».
Ma i progetti scientifici come questo costano, così come anche la gestione di un centro dove le tartarughe recuperate in condizioni critiche vengono curate e assistite anche per mesi prima di essere nuovamente riportate al mare. «La situazione è veramente disperata – racconta Tania – siamo in due a gestire una struttura che avrebbe bisogno di venti persone. Abbiamo lanciato appelli disperati per trovare volontari ma sembra che l’unica cosa che interessi sia la spettacolarizzazione. Tutti vogliono vedere la schiusa delle uova e il momento in cui vengono riportate in mare, ma nessuno vuole occuparsi del lavoro che c’è tra questi due momenti».
La plastica, altra nemica delle tartarughe marine
«La verità – conclude Tania- è che in questi anni la situazione è molto peggiorata, manca ancora la giusta sensibilità che ci permetterebbe di recuperare le tartarughe quando ancora non sono degli zombie o quando è addirittura troppo tardi. Il 99% dei recuperi riguarda tartarughe quasi uccise dalla pesca, il restante sono esemplari quasi uccisi dalla plastica. Eppure i pescatori raramente ci avvisano quando saremmo ancora in tempo per salvarle, preferiscono ributtarle in acqua quando si accorgono che non sono pesci spada o tonni. E a quel punto, quando arrivano da noi, c’è bisogno del miracolo!».
Il viaggio di Queen (e del suo GPS) potrebbe durare, se tutto va bene, anche un paio d'anni. «Sperando che non incappi in qualche guaio sotto forma di elica, di amo o di plastica – conclude Tania – ma è un viaggio lungo e costoso. Per questo abbiamo deciso che chi vuole può contribuire adottandola. Riceverà tutti gli aggiornamenti periodici via email: il punto esatto del suo lungo viaggio e cosa starà facendo durante la sua rotta migratoria».