In redazione abbiamo ricevuto una segnalazione proveniente dai colli piacentini: un piccolo gruppo di cani liberi, che vive in una cascina, presto sarà sfrattato perché la proprietà sulla quale si trovano è stata venduta. Il loro destino, dopo una vita di lavoro con il bestiame e in libertà si trasformerà in una gabbia del canile. Avete già sentito storie del genere? Immaginiamo di sì. La libertà per loro presto sarà vietata, ma ci possono essere delle alternative al canile? Andiamo per gradi e vediamo cosa è successo.
Un tracollo annunciato, la storia dei cani di Bettola
Il signor Giovanni viveva con la madre e il fratello in questa proprietà sulle colline nei pressi del comune di Bettola, nel piacentino. Gestiva un’azienda agricola con vacche, galline e pecore aiutato dai suoi 27 cani. Un numero esorbitante di individui per un’azienda così piccola. Nel 2019 le volontarie del nucleo Guardie Zoofile di OIPA Paola Monga e Cristina Damasi, supportate dalla dottoressa Elena Castelli (l’attuale responsabile del canile di Piacenza) ricevono una segnalazione per una cucciolata presso quella struttura.
Al tempo i cani non erano sterilizzati e questo aveva causato in breve il sovrannumero. Il branco era di circa 27 individui, tra i quali meticci di cane da pastore e di segugi. Sì: perché il fratello del signor Giovanni era un cacciatore. La situazione era dunque problematica, soprattutto per i vicini di casa: la vecchia e fatiscente azienda agricola è situata in un minuscolo agglomerato di pochi edifici, in parte abitati, e circondato da una strada che risale la collina, frequentata spesso da podisti e ciclisti.
«I vicini, da tempo, fanno segnalazioni a causa della presenza dei cani: è il branco che li preoccupa, fa un brutto effetto… le persone temono di essere aggredite», spiega Cristina Damasi. Questa situazione aveva mosso anche la stampa locale, come ci dice Paola Monga: «Ne hanno parlato i giornali. Un articolo apparso sul giornale “Libertà” di Piacenza, dove veniva riportata una lettera al direttore dove si definivano i cani: “quelle belve”, e naturalmente ci si chiedeva cosa stessero facendo le istituzioni locali a tal proposito».
In quell'articolo, che la volontaria ci mostra, si riportava anche la testimonianza di un residente che addirittura diceva di temere di uscire da solo la sera a causa di quei cani (che al tempo erano ridotti ad una decina). Di fatto quella situazione prima o dopo andava risolta, ma fatta eccezione per le due volontarie e la veterinaria, preoccupate per la sorte dei cani, nessuno si è mosso, almeno per imporre al signor Giovanni di farsi carico effettivamente della gestione dei cani da lui lasciati incustoditi e liberi di vagare.
Ma tra il 2020 e 2021, nel pieno della pandemia, purtroppo viene a mancare il fratello e meno di un anno dopo anche l’anziana madre del proprietario dei cani a causa della Covid-19. «Il tracollo dell’azienda era però annunciato da anni, infatti la proprietà era già all’asta da tempo», racconta Paola.
L’intervento delle volontarie
Quando le volontarie e la dottoressa arrivano alla struttura per cercare di aiutare si rendono conto della situazione di degrado. «La situazione era insostenibile: abbiamo chiesto l'intervento del Comune per far microchippare i cani a nome del proprietario – spiega Paola Monga – poi con l'aiuto della veterinaria e grazie al supporto di una associazione animalista di Piacenza, Angeli Randagi, abbiamo sterilizzato le femmine del gruppo».
Alcuni cani, intanto, scompaiono e non se ne sa più nulla. Altri vengono fatti adottare grazie al lavoro delle volontarie e alla loro rete di contatti. Altri, ancora, vengono feriti o uccisi dai lupi che bazzicano nelle zone collinari. Intanto il bestiame del signor Giovanni viene sequestrato, come ci raccontano le volontarie: «Non era più in grado né di gestire il bestiame né di mantenerlo dal punto di vista economico. Insomma, una tragedia su tutti i fronti». E arriviamo così ad oggi, al coinvolgimento di Kodami.
La situazione attuale e l’emergenza
Non ci si aspettava che la proprietà, alla fine, fosse venduta dopo molte aste andate in bianco, ci confessano con rammarico le due volontarie dell'OIPA. «Speravamo di avere ancora un po' di tempo per trovare una soluzione… Ma prima o dopo sarebbe accaduto». Intanto il signor Giovanni si è dovuto trasferire lasciando “le rovine” dell’azienda agricola, che sono ancora la casa dei nove cani rimasti.
Lo sfratto definitivo impone che questi cani vengano portati via. Sì, ma dove? In questi casi, dato che il loro umano non è assolutamente in grado di prendersene cura la risposta è una sola: «Arrivati a questo punto non pare esserci alternativa al canile», dice sconsolata Cristina. «Ma per dei cani che hanno sempre vissuto liberi non è la soluzione migliore». No, certo che no, ma per quali cani lo sarebbe? viene da chiedersi.
Così le volontarie che ancora se ne prendono cura e che ci hanno chiesto di raccontare questa storia, da tempo cercano di ottenere un supporto dall’amministrazione comunale di Bettola. Inizialmente chiedevano un aiuto per la costruzione di una recinzione più solida, meno fatiscente, della proprietà, per evitare sia che i cani si disperdessero troppo nel vicinato sia che i lupi ne facessero il loro pasto.
Le volontarie, del resto, mettono in evidenza un fatto incontestabile: «Abbiamo anche cercato di far presente al Comune che trovare una soluzione come recintare un'ampia zona di terreno costa molto meno che mantenere nove cani, per anni, nel canile di Piacenza», osserva Paola Monga. Indubbiamente il loro mantenimento graverebbe sulle casse comunali, non certo sull'umano di riferimento dei cani al quale è già stato sequestrato il sequestrabile. Questi costi, a conti fatti, superano immensamente quelli della costruzione di una recinzione che consenta ai cani di vivere in uno stato di semi-libertà e non separati in vari box di un canile, dal quale poi, probabilmente, non uscirebbero mai più.
Ma adesso che la proprietà è stata venduta deve essere liberata il prima possibile, quindi nemmeno una recinzione è più una soluzione percorribile. Al tempo avrebbe risolto in parte i problemi, che forse le amministrazioni pensavano si sarebbero risolti da soli, ma ora il destino di quei nove cani sembra segnato.
C'è qualcuno che può dare una mano? L'appello tramite Kodami
O forse no? È ancora possibile trovare un altro posto dove costruire una grande recinzione per tamponare la situazione e guadagnare tempo nel tentativo di trovare una nuova sistemazione a questi cani. Ecco il motivo del coinvolgimento di Kodami, ossia quello di provare a fare da megafono per aiutare queste persone che tanto si danno da fare, ma che da sole non ce la possono fare. Già l’appello d’adozione per il Pitbull Eron lo ha portato ad avere una nuova vita. Ora forse qualcuno ha un terreno sul quale portare a vivere questi cani, e forse l’amministrazione comunale potrà dare una mano per quella benedetta recinzione, anche nel loro stesso interesse, per evitare il canile a vita ai nove.
Questa storia, purtroppo, non è certo eccezionale. Ce ne sono migliaia di altre situazioni così su tutto il territorio nazionale, non ultima quella dei cani di Satriano, più drammatica, certo, ma con molte cose in comune.
Allora perché raccontarla? Perché forse queste storie potrebbero essere diverse se si cambiasse il modo di pensare, se non si agisse solo e soltanto quando ci si trova in uno stato di emergenza. Se si cominciasse a lavorare veramente in prevenzione. Come abbiamo già visto in altri articoli qui su Kodami, il canile non può più essere il tappeto sotto il quale si nascondono gli errori della società, errori umani che poi tutti quanti si trovano a pagare, in un modo o nell’altro, soprattutto i cani che sono poi gli ultimi ad avere delle responsabilità in tutte queste vicende.
Vi terremo informati sul destino di questi cani, ma nel frattempo se pensate di poter essere d’aiuto in qualche modo per dare un lieto fine, almeno a questa storia tra tante, potete contattare Paola Monga alla mail: guardiepiacenza@oipa.org