La Sicilia è in leggera difficoltà. Tra cinghiali che scorrazzano liberamente fra le strade periferiche e di collegamento dei comuni delle Madonie e l'arrivo della peste suina, che potrebbe mettere in serio pericolo sia la fauna selvatica che gli allevamenti di suini presenti in particolar modo nei Nebrodi, sono in molti oggi a chiedere alla Regione di partire con un piano di abbattimento, per limitare i potenziali danni provocati dalla malattia e dall'eccessiva presenza di questi animali nelle aree forestali.
L'isola sfortunatamente è anche una delle poche regioni del Mediterraneo che non presenta grandi predatori come i lupi che potrebbero limitare l'espansione di questi erbivori, che sottoposti anche ad una gestione complicata, hanno visto spesso anche dei nuovi ingressi nel corso dei decenni. Animali che si sono poi riprodotti a loro volta e che hanno cominciato a colonizzare anche le aree precedentemente libere da cinghiali dell'isola.
Visto il pericolo rappresentato dalla peste suina e l'elevato numero di richieste per permettere i primi abbattimenti, soprattutto nell'area delle Madonie inserite all'interno di un Parco regionale, la Regione ha cominciato a discutere con gli esperti per capire come muoversi in un contesto così complesso come quello siciliano. Così ha promosso una riunione presso l'Istituto Zooprofilattico Antonio Mirri di Sicilia (IZS), dove si sono riuniti i principali studiosi per fornire un parere tecnico.
«L’Istituto darà il massimo contributo per portare avanti un’opera di prevenzione utile per evitare la diffusione della peste suina africana in Sicilia, in considerazione del grave danno economico che può provocare a tutti gli allevatori» ha affermato Salvatore Seminara, commissario straordinario dell’Istituto dopo che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il piano nazionale degli abbattimenti e delle catture dei cinghiali. Tale piano coinvolgerà tutte le regioni italiane, ad eccezione della Sardegna, chiarisce Vincenzo Caputo, commissario straordinario nazionale per la peste suina africana. Anche perché se adeguatamente diradato, il patogeno responsabile della malattia può essere più facilmente gestito e la sua espansione bloccata.
La peste suina africana è comparsa in Italia lo scorso anno, diffondendosi in Piemonte, Lazio, Liguria, Campania, Calabria e Basilicata e tale piano opera principalmente all'interno delle politiche di biosicurezza negli allevamenti. Oltre agli abbattimenti degli animali selvatici, prevede delle campagne di informazione per gli agricoltori e gli allevatori ed eventuali azioni di contenimento anche all'interno degli allevamenti colpiti dalla malattia.
Si tratta di una emergenza nazionale, dichiarano gli esperti, ma sono diverse le associazioni e realtà animaliste che guardano con diffidenza questo piano che prevede l'abbattimento di migliaia di esemplari, anche al di fuori della stagione di caccia e all'interno delle aree protette. Per esempio, Carlo Callegari – dirigente nazionale del Partito Animalista Italiano – ha dichiarato che l'abbattimento non è la soluzione e anzi avrà soprattutto dei contraccolpi negativi. Ed in un lungo suo commento a delineato perfettamente quello che pensano molti animalisti e ambientalisti che fanno parte delle varie WWF, Legambiente e Lipu.
«Nel caso dei cinghiali l'abbattimento non è sufficiente a limitare il numero degli esemplari, tutt'altro. Secondo diversi studi questo metodo finisce infatti per ripopolare la specie. Un meccanismo biologico che fa sì che quando vengono a mancare gli adulti i giovani si riproducono prima di quanto farebbero in condizioni normali, mettendo al mondo più cuccioli. Così invece di riprodursi a tre anni, lo fanno ad un anno e mezzo. Le soluzioni a questo problema esistono: fare il censimento della popolazione dei cinghiali con l'aiuto delle associazioni animaliste, dare da mangiare ai cinghiali in luoghi e orari precisi, fuori dalle aree urbane, consentirebbe di allontanarli dalle zone abitate oltre a permettere di nutrirli con un granone medicato che influisce sulla fecondità delle femmine. Questo meccanismo permette, inoltre, di catturare e sterilizzare i maschi di cinghiale. Sempre per quanto riguarda la sterilizzazione, si potrebbero costruire dei recinti di cattura che vanno montati per qualche settimana e lasciati aperti in modo che i cinghiali prendano confidenza. E per ultima analisi bisogna ricordare che buona parte dei cinghiali italiani sono stati introdotti per favorire gli amanti delle scampagnate col fucile, ma le fucilate non si sono rivelati utili per contenere la diffusione di questi esemplari, ma solo a soddisfare gli appetiti sadici di chi ama uccidere gratuitamente animali innocenti».
In Sicilia si aspetta ancora di conoscere quale sarà il piano e come hanno deciso di muoversi gli esperti riunitisi all'Istituto Zooprofilattico gestito da Seminara. Con il fatto però che dallo scorso 3 luglio si è dato modo ai cacciatori di sparare all'interno della provincia di Messina, l'esito di tale riunione sembra scontato. Le doppiette continuano ad avere un certo peso, all'interno della Sicilia come altrove.