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11 Luglio 2023
12:32

La sfortunata storia di M89, il cucciolo di orso salvato pochi giorni prima della morte di Andrea Papi

È stato chiamato M89 ed è un giovane orso che ha avuto la sfortuna di venire salvato negli stessi giorni della morte di Andrea Papi. Ora ha cinque mesi, si trova in un recinto faunistico e sta meglio, ma il suo destino rimane incerto.

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©Carlo Frapporti – Archivio Servizio Foreste e Fauna (PAT)

Pochi giorni prima della tragica morte di Andrea Papi, la Provincia Autonoma di Trento stava già gestendo un'altra emergenza che aveva come protagonista un cucciolo di orso di due mesi, ribattezzato M89. La notizia, però, non è stata comunicata ufficialmente, probabilmente proprio a causa degli eventi drammatici che, di lì a pochi giorni, avrebbero sconvolto il Trentino.

Tutto è iniziato in Val d'Algone, sulle Dolomiti di Brenta meridionali, dove un guardiacaccia, intento ad osservare da lontano i movimenti dell'orso, lo ha visto cadere da un albero rimanendo immobile. Si è quindi assicurato che la mamma si fosse allontanata e poi si è avvicinato con cautela all'animale, trovandolo vivo, ma immobile e con gli occhi chiusi.

L'uomo ha quindi informato i servizi faunistici provinciali e la Pat ha deciso di trasferirlo presso la clinica veterinaria di Cles, in Val di Non, dove è rimasto addormentato per qualche giorno, mentre il medico veterinario Roberto Guadagnini, convenzionato con l'Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari per la gestione dei grandi carnivori, rilevava problemi alla colonna vertebrale e a una zampa. M89 non era in grado di alimentarsi autonomamente, ma non era nemmeno in pericolo di vita e l'eutanasia non è stata quindi presa in considerazione.

Gli sono bastati pochi giorni, infatti, per risvegliarsi ed è stato quindi trasferito verso un luogo più adatto per le successive cure. Il posto prescelto, in cui si trova ancora oggi, è il recinto di quarantena (chiuso al pubblico) del Belpark, il parco faunistico di Spormaggiore, in Trentino, dove gli operatori che se ne occupano fanno quotidianamente il possibile per ridurre al minimo il rapporto del giovane orso con gli esseri umani, in modo da non aumentare il rischio di futuri comportamenti confidenti nei confronti della nostra specie.

La Pat ha inoltre stipulato una convenzione con il Parco Naturale Adamello Brenta, che ora offre appoggio nell'ambito della ricerca scientifica, come conferma a Kodami Andrea Mustoni, Coordinatore Tecnico del progetto Life Ursus (terminato nel 2004) e oggi Responsabile della ricerca scientifica del Pnab: «Ogni giorno l'ente mette a disposizione del Belpark un operatore che si occupa dell'animale, insieme a un secondo esperto dell'associazione "Rase". Inoltre, grazie all'ausilio delle fotocamere, che sono sempre attive, ne vengono registrati i comportamenti, in modo da favorire la ricerca».

Sebbene l'orso, che ha raggiunto circa i cinque mesi di età, sia in buone condizioni di salute il suo destino è ora molto incerto. La sfortuna, infatti, ha voluto che l'incidente della Val d'Algone avvenisse proprio negli stessi giorni della tragedia di Caldes, un fatto storico e drammatico che ha fissato per sempre un "prima e un dopo" sul tema della convivenza con la specie sulle Alpi e ha spostato, soprattutto nel primo momento, ogni altro argomento in secondo piano, compresa la storia del giovane orso, il quale, però, nel frattempo si stava riprendendo.

Fuori dal recinto di Spormaggiore, intanto, la Giunta Provinciale, guidata dal leghista Maurizio Fugatti, dava il via a una nuova strategia politica di gestione della specie, iniziando a firmare ordinanze di abbattimento per gli orsi JJ4, Mj5 e M62 (che nel frattempo è morto) e dichiarando di voler dimezzare la popolazione di plantigradi trentini, trasferendone settanta altrove.

Secondo quanto affermato da Fugatti, infatti, il progetto di reintroduzione dell'orso sulle Alpi centrali, il LifeUrsus, prevedeva una popolazione massima di 40/60 orsi, ma questo dato è inesatto. Lo studio di fattibilità, realizzato da Ispra prima dell'inizio del progetto, prevedeva invece di raggiungere un numero minimo di 40/60 plantigradi. In caso contrario la popolazione non sarebbe stata considerata vitale e nessun documento tecnico, fino ad ora, ha mai definito alcun numero massimo.

«Per quanto riguarda il giovane orso, si è sempre operato con l'idea di poterlo rilasciare in natura – spiega Mustoni – Ad oggi, però, considerando il contesto in cui ci troviamo, credo che l'ipotesi si sia trasformata in un'utopia. Sebbene l'orso abbia avuto pochi contatti con l'uomo, infatti, sarebbe illogico dichiarare di volerne eliminare settanta e, contemporaneamente, liberare un cucciolo. La decisione non è mia, ma dei servizi provinciali e, in particolare, di chi ne ha in carico la gestione. Sono curioso di scoprire cosa succederà, ma a mio parere resterà in cattività all'interno di un recinto».

Foto in copertina ©Carlo Frapporti – Archivio Servizio Foreste e Fauna (PAT)

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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