Libertà o salvataggio? Soccorrere un animale deve risolversi sempre per il destinatario dell'intervento a una vita da recluso, anche quando si tratta di un animale abituato a vivere senza vincoli e che preferisce quel tipo di vita? La risposta, forse, ci arriva dalla storia di un gatto nero. Non a caso Jennifer, la ragazza che gli ha salvato la vita, lo ha chiamato Black.
Questo giovane micio di circa un anno e mezzo di età viveva libero in una zona vicina alla strada principale che collega Taviano e Racale, due località in provincia di Lecce. «L’avevo visto qualche giorno prima stare bene – racconta Jennifer a Kodami – dopo 2-3 giorni mi ero imbattuta di nuovo in lui. Era visibilmente zoppicante. Sembrava molto magro e gli mancava il pelo su tutto un lato del corpo. Insieme a mia madre l’abbiamo avvicinato con del cibo e messo in un trasportino. Ad oggi è stata l unica volta che siamo riuscite a toccarlo. Lo abbiamo portato dal veterinario convenzionato e abbiamo fatto gli accertamenti. Il medico ci ha detto che aveva la testa del femore rotta ed è stato necessario intervenire chirurgicamente».
L’intervento riesce perfettamente e Black può essere dimesso. Ovviamente non lo si può rilasciare sul territorio. Il micio ha bisogno di tutte le cure post operatorie: «Aveva bisogno di un po’ di tempo per riprendersi e per essere sottoposto a una terapia antibiotica – continua a raccontarci la ragazza – L’abbiamo così portato a casa dov'è rimasto per più di un mese. Black però si aggirava per le stanze sempre nascosto da qualche parte. Era perfino difficile scattargli delle foto perché era sempre nascosto da qualche parte e se ci avvicinavamo si spaventava e diventava aggressivo. Soffiava e voleva graffiarci. Si vedeva che voleva tornare libero. Noi tra l’altro non potevamo tenerlo, perché abbiamo già altri nove gatti. In queste condizioni non si sarebbe mai adattato a stare chiuso in casa. Del resto in tutto questo tempo non si era mai fatto fare una carezza e non si era mai avvicinato».
Così Jennifer capisce che per Black il desiderio più grande era quello di ritrovare la libertà: «Quando abbiamo visto che stava bene – racconta – abbiamo deciso di lasciarlo libero di girare vicino al nostro giardino e tra le case del vicinato. Lui non si è fatto vedere per più di dieci giorni ma una sera è tornato. Si è messo vicino alla finestra e gli abbiamo dato da mangiare. Da allora è sempre qui. Gli lasciamo sempre del cibo e gli abbiamo fatto costruire una casetta perché si ripari dal freddo e abbia un posto per dormire. Per lui c’è stato un grande cambiamento da quando l’abbiamo trovato ferito, denutrito e sofferente. Adesso è un gatto vigoroso, pieno di pelo, libero e felice. Si avvicina mentre gli mettiamo da mangiare ma se proviamo a fargli una carezza prende le distanze. In ogni caso quando arriva l'ora del pasto si fa sentire per avere la sua porzione».
Black ha scelto la libertà. Una decisione che bisogna sempre saper accettare. Il rispetto dimostrato da Jennifer, del resto, è stato comunque ripagato. Questa storia è di esempio per le storture che talvolta portano animali liberi alla cattività senza che ve ne sia una ragione plausibile. Per esempio quando i gatti salvati in regime di pronto soccorso rimangono in gabbia perché non è stata predisposta una procedura efficiente per la liberazione. O quando un cane che potrebbe vivere da animale libero viene rinchiuso senza dovute ragioni in canile. La vicenda di Black ci insegna che la libertà è un diritto. Anche per un animale.