Un bruco mangia gli aghi di un abete in Canada e i lupi aumentano mettendo a rischio la sopravvivenza dei caribù. È la nuova versione dell'effetto farfalla – o meglio, effetto falena – e cioè l'espressione ideata dal matematico e meteorologo Edward Lorenz per indicare l'incredibile sensibilità alle più piccole variazioni dei sistemi complessi non lineari. In altre parole, anche il più piccolo cambiamento nelle condizioni di partenza può causare enormi variazioni a lungo termine su un sistema complesso.
Questo vale ovviamente anche per gli ecosistemi e la loro intricata rete di interazioni ecologiche tra piante, animali e ambiente. Un nuovo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS ha dimostrato che esiste un effetto a cascata causato dall'aumento del tarlo dell'abete rosso in Canada che potrebbe minacciare la sopravvivenza dei caribù di foresta, sottospecie già a serio rischio di estinzione. La serie di sfortunati eventi scatenata dall'aumento dei bruchi coinvolge vegetazione, alci e lupi, in un rocambolesco effetto domino che si ripercuote su tutta la piramide trofica.
Come l'aumento dei bruchi mette in pericolo i caribù
In ecologia l'espressione cascata trofica viene usata per spiegare le conseguenze causate da un disturbo all'interno della rete trofica – o catena alimentare – che si ripercuote su tutti gli altri livelli di un ecosistema. Reazioni a catena del genere sono piuttosto note per effetti positivi che hanno per esempio con l'aumento del numero di predatori in un ecosistema: i lupi si moltiplicano, le prede vengono tenute sotto controllo e la vegetazione cresce più rigogliosa e diversificata. Se gli effetti sull'ambiente dall'alto verso il basso della piramide trofica sono ormai abbastanza chiari, poco si sa sulle conseguenze prodotte a partire dai livelli più bassi dell'ecosistema. Questo nuovo studio ha permesso quindi di dimostrare per la prima volta l'enorme impatto che può avere l'aumento demografico di una popolazioni di bruchi su tutti i livelli dell'ecosistema.
Il tarlo dell'abete rosso (Choristoneura fumiferana) è una piccola falena bruna il cui bruco è particolarmente ghiotto di foglie di abete. Le popolazioni di bruchi in Canada e Stati Uniti orientali posso esplodere numericamente e causare una moria di abeti su vasta scala. I ricercatori hanno dimostrato che questi piccoli insetti possono persino alterare la struttura vegetazionale dell'intero ecosistema, che innesca una serie di effetti a catena che mettono a rischio la sopravvivenza dei caribù di foresta (Rangifer tarandus caribou). Quando le abetine scompaiono a causa dei bruchi lasciano il campo libero alla vegetazione decidua composta da latifoglie, che avanza rimpiazzando le conifere. A beneficiare dell'aumento di queste piante sono invece le alci (Alces alces), che a differenza dei caribù che si nutrono soprattutto licheni e muschi, mangiano perlopiù foglie e germogli. L'arrivo delle alci nelle stesse aree in cui ci sono i caribù attira però anche i lupi (Canis lupus), che sono i principali predatori di questi cervidi.
In natura tutto è interconnesso, persino elementi apparentemente molto distanti tra loro come un piccolo bruco e un grosso cervide.
La cascata trofica che rimbalza
Questa rocambolesca serie di eventi, che potrebbe tranquillamente essere considerata una versione naturalistica della canzone Alla fiera dell'est, è stata chiamata dagli autori cascata trofica che rimbalza. Gli effetti causati da questo aumento demografico non si ripercuotono in maniera lineare verso il basso o verso l'alto, come è stato ampiamente studiato in altri casi, ma generano conseguenze che si muovono tra i vari livelli dell'ecosistema. I bruchi, consumatori primari, alterano la vegetazione, che occupa il gradino più basso della piramide trofica, quello dei produttori. Il passaggio da una flora sempreverde a quella decidua, si ripercuote poi sugli altri consumatori ai piani più alti: gli erbivori e i carnivori. L'aumento dei bruchi scatena quindi una serie di effetti a cascata che rimbalzano giù e su tra i vari livelli della piramide trofica. Si tratta della prima volta in assoluto che vengono studiate su larga scala le alterazioni delle interazioni ecologiche tra consumatore-produttore-consumatore, e gli autori ritengono possa essere un fenomeno molto più comune in natura.
I pericolosi focolai di tarlo dell'abete si ripetono più o meno con cadenza ciclica, ogni 30 anni. Il loro effetto sull'ambiente è paragonabile a quello di un incendio, e secondo i ricercatori potrebbe anche peggiorare nel tempo. I cambiamenti climatici in corso potrebbero rendere molto più frequenti queste esplosioni demografiche nel prossimo futuro, aggravando ancora di più la già critica situazione dei caribù delle foreste, sottospecie in rapido declino e considerata purtroppo in serio rischio di estinzione, come sempre a causa dello zampino dell'uomo.
Il declino dei caribù in Canada
I caribù delle foreste sono la sottospecie di renna nordamericana più grossa tra tutte. Vivono nelle foreste boreali mature ricche di licheni, soprattutto tra le paludi e le torbiere. In passato questi habitat erano molto più estesi in Canada, ma a causa delle attività dell'uomo stanno scomparendo rapidamente. Gli incendi, la deforestazione, la costruzione di strade e l'estrazione del petrolio dalle sabbie bituminose, proprio come il tarlo stanno alterando irrimediabilmente questi habitat, favorendo l'espansione degli altri ungulati e (di nuovo) quella del lupo, che a quanto pare ha imparato a sfruttare persino i corridoi creati dalle strade per espandere il suo areale e cacciare in maniera più efficiente.
L'alto tasso di predazione innaturale da parte dei lupi è quindi favorito indirettamente non solo dalla voracità dei piccoli bruchi, ma anche e soprattutto dalle attività umane. Se le foreste boreali continueranno a regredire con questa velocità i caribù potrebbero estinguersi entro il 2100. Uno degli animali più iconici di tutto il Nord America non se la sta passando molto bene, quindi. Se non si interviene rapidamente per ripristinare questi delicati equilibri ecologici perderemo per sempre questo magnifico cervide.