La maggioranza degli animali esotici e selvatici presenti nelle nostre case provengono da allevamenti, da quella che tecnicamente viene definita “riproduzione in ambiente controllato”. Un tecnicismo per dare un’apparenza di scientificità a un concetto che, semplificato, significa soltanto che sono stati fatti riprodurre animali tenuti in cattività, senza ricorrere al prelievo in natura come veniva fatto massicciamente nel secolo scorso. Un vantaggio per la conservazione, agevolata dal minor prelievo di specie selvatiche dal loro ambiente per scopi commerciali, che non si traduce però in un maggior benessere per gli animali oggetto del commercio, che non possono essere mai considerati come domestici.
La domesticazione degli animali è stato un processo molto lungo, iniziato molte migliaia di anni addietro, che ha portato l’uomo a creare, modificandole, molte specie animali e vegetali per poterle utilizzare per lavoro, utilità oppure come fonte di proteine. Il primo fra gli animali domestici fu il cane, che piano piano si “staccò” dal suo progenitore, il lupo, per iniziare, circa 12.000 anni fa, il suo viaggio accanto agli uomini. Nonostante questo lunghissimo lasso di tempo il cane non ha comunque mai del tutto dimenticato le sue origini, come testimonia il comportamento di girare più volte su stesso prima di accucciarsi, mimando l’azione di schiacciare l’erba prima di sdraiarsi al suolo, tipica del suo progenitore.
Questo per far comprendere che non bastano pochi decenni di riproduzione in cattività per poter considerare domestico un animale selvatico, ma al massimo potrà essere correttamente identificato come un animale “addomesticato”, cioè reso in qualche modo adatto a poter vivere nelle nostre case. Questa differenza fra domestico e addomesticato può sembrare sottile soltanto se non si conoscono i comportamenti degli animali e le necessità di poter svolgere il loro etogramma (l’insieme delle necessità etologiche di ogni specie) per essere messi in una situazione di reale benessere. Per comprendere meglio potremmo partire proprio dal cane, uno degli animali che conosciamo meglio e con cui conviviamo da più tempo, senza renderci conto molto spesso delle sue necessità, tanto da mutuare il suo benessere attraverso la soddisfazione dei nostri bisogni.
Un cane non è felice solo perché può starci vicino sul divano o perché viene con noi in automobile ma ha bisogni specifici come esplorare il territorio, sentire gli odori, avere rapporti con i suoi conspecifici e potersi relazionare con il suo branco umano. Ha bisogno di rotolarsi nell’erba, di marcare il territorio di vivere, insomma, una vita da cane, cosa che spesso, per malinteso amore, gli viene negata. Se questo avviene frequentemente con i cani pensate quale possa essere il livello di attenzione e di comprensione dei bisogni degli altri animali, molto più difficili da capire e da interpretare.
La verità è che se noi fossimo in grado di comprendere i loro bisogni, se gli riconoscessimo il “diritto alla felicità”, non potremmo tenere un pappagallo in una gabbia, spesso privato completamente della possibilità di poter volare, di esercitare un bisogno primario per qualsiasi che non significa solo gioco, attitudine ma è strumento di un benessere negato a tutti gli uccelli tenuti in gabbia.
I pappagalli poi sono animali di stormo, abituati a vivere in chiassose comunità che si spostano in continuazione alla ricerca di cibo, capaci di comunicare fra loro. Animali sociali che noi costringiamo a vivere nelle nostre case dove, anche se non sono più catturati in natura, non possono vivere in armonia con l’ambiente che li circonda perché restano animali selvatici, con bisogni diversi da quelli che noi possiamo soddisfare. Animali condannati alla prigionia per colpe non commesse, come quelle di avere un piumaggio sgargiante, di essere capaci di articolare parole con un preciso senso, perché nonostante quello che si creda non ripetono frasi a pappagallo, ma reagiscono a stimoli in modo complesso. La realtà è che gli umani antepongono spesso la soddisfazione dei loro bisogni a quelli degli animali che detengono e, per questo si interessano poco alle sofferenze che causano solo per il piacere di condividere la loro vita con un animale prigioniero.
Prima di acquistare un animale, specie se la sua vita sarà destinata a essere spesa dentro una gabbia, sarebbe importante avere l’umiltà di compiere uno sforzo di conoscenza, per capire, prima di prenderlo in casa, se questo essere vivente potrà mai essere tenuto in condizioni di benessere. Cercando risposte vere, comprendendo le sue necessità e interrogandosi su quale sarebbe la sua vita se non fosse un prigioniero. Non bisogna pensare che gli animali selvatici siano riprodotti e venduti perché possono vivere bene con noi. La realtà è molto diversa e, se le persone volessero davvero vederla, le gabbie sarebbero vuote.