Sta circolando molto in rete e tra i media la notizia dell'incontro avvenuto Thailandia tra il veterinario Pattarapol Maneeon e un elefante che lo stesso medico aveva curato ben 12 anni prima. I due si sono rincontrati per caso lo scorso marzo e il pachiderma, un maschio di 32 anni chiamato Plai Thang, avrebbe riconosciuto e salutato con la proboscide colui che gli aveva salvato la vita anni prima. Un incontro certamente emozionante, che esalta ancora una volta una delle più note capacità cognitive dei pachidermi: la memoria. Gli elefanti, sia le specie africane che quella asiatica, sono certamente tra i mammiferi dotati delle più complesse e sofisticate capacità cognitive e vengono spesso considerati da molti etologi tra gli animali con grandi capacità cognitive. Ma è vero che un elefante non dimentica nulla? Ed è possibile che sia riuscito a riconoscere l'uomo che gli aveva salvato al vita a distanza di così tanti anni?
Gli elefanti non dimenticano mai
L'intelligenza e il cervello degli elefanti vengono spesso paragonati per grandezza, complessità e capacità con quelli di cetacei e grandi scimmie, uomo compreso. È ormai abbastanza noto che questi enormi erbivori, al pari di pochi altri animali, siano in grado di esprime comportamenti ed emozioni molto complessi come la compassione, l'altruismo, l'autocoscienza, l'imitazione e persino il dolore per la perdita di compagni e familiari. Questi animali oltre ad avere particolarmente sviluppate le aree del cervello legate alle emozioni, possiedono anche i lobi temporali più grandi tra tutti i mammiferi analizzati in proporzione alle dimensioni del corpo. Queste parti del cervello sono legate soprattutto all'immagazzinamento dei ricordi e alla memoria, soprattutto quella di tipo spaziale.
Gli elefanti sono animali molto longevi, in grado di arrivare in natura anche oltre i 60 anni. Vivono in complesse strutture sociali di tipo matriarcale, guidate solitamente dalla femmina più anziana. È proprio la matriarca a decidere dove, come e quando il gruppo deve spostarsi, perché è proprio lei che ricorda esattamente la posizione e il percorso da seguire per raggiungere le secolari fonti di cibo e acqua che i pachidermi si tramandano generazione dopo generazione.
Parecchi studi hanno dimostrato non solo che i pachidermi sono in grado di riconoscersi e ricordarsi l'un l'altro, anche a distanza di anni, ma che la loro proverbiale memoria è uno dei segreti della loro sopravvivenza. Le matriarche più anziane, e quindi con maggior esperienza, ricordano a distanza di molti anni la posizione esatta di fonti di cibo e acqua scoperte durante eventi climatici avversi, come la siccità. Queste informazioni conservate nella memoria storica di uno o pochi esemplari hanno permesso a diversi branchi di sopravvivere anche agli eventi più estremi, mentre i gruppi che non possedevano tali esperienze hanno dovuto affrontare gravi e dolorose perdite.
Un elefante può ricordare le persone che lo hanno aiutato?
Gli elefanti sono quindi animali incredibilmente sociali, empatici e intelligenti. Vivono insieme, si muovono insieme, mangiano insieme e collaborano l'un l'altro. Per animali tanto complessi e longevi una buona memoria è quindi un adattamento evolutivo importante se non fondamentale. Le matriarche più anziane hanno una "memoria sociale" che consente loro di ricordare e riconoscere attraverso gli odori e le vocalizzazioni gli elefanti amici da quelli meno amichevoli e conservazionisti, veterinari e scienziati che lavorano quotidianamente al loro fianco sostengono con fermezza che i pachidermi sono certamente in grado di ricordare anche le persone amiche a distanza di anni.
Lo zoologo Iain Douglas-Hamilton, uno dei più noti studiosi di elefanti e fondatore di Save the Elephant, ha raccontato di essere riuscito a stabilire una relazione con un elefante africano in Tanzania talmente stretta da poter passeggiare tranquillamente al suo fianco. Alla fine dei suoi primi anni di studi, nel 1969, lasciò il parco nazionale del lago Manyar per farvi ritorno solamente dopo quattro anni. Quando però rivide lo stesso elefante conosciuto tempo prima, entrambi ripresero a passeggiare insieme come se non si fossero mai separati.
Iain Douglas-Hamilton, una vita per gli elefanti
La storia è più meno simile a quanto affermato anche Pattarapol Maneeon, che nel 2009 ha curato Plai Thang da tripanosomiasi, la cosiddetta malattia del sonno: «Ci siamo riconosciuti e salutati. È stato un momento molto speciale» ha affermato il veterinario. Se possiamo dare per certa la capacità degli elefanti di riconoscere e ricordare le persone, nel bene e nel male, con gli elementi che abbiamo resta difficile stabilire con certezza se il maschio salvato da Pattarapol Maneeonsi si sia effettivamente ricordato del veterinario o se, più semplicemente, dell'uomo in generale, associandolo per esperienza a una non minaccia. Ma potrebbe esserci anche un'altra spiegazione.
Il parere dell'etologa Federica Pirrone
Piuttosto prudente è anche la posizione di Federica Pirrone, ricercatrice presso l'Università degli Studi di Milano, etologa e membro del comitato scientifico di Kodami: «Ovviamente non è qualcosa che si può escludere totalmente. Certo, tecnicamente le capacità mnemoniche degli elefanti lo permetterebbero. Ho visto personalmente cani riconoscere persone dopo 6-7 anni che non le vedevano. Ma i cani sono animali sociali che sviluppano relazioni anche profonde con gli esseri umani e i casi riguardavano persone e cani con una storia di "amicizia". In questo episodio mancano (almeno a me) elementi fondamentali, tipo: quanto sono stati davvero a contatto l'animale e il veterinario, quando questi lo curò? Abbastanza da far sì che tra i due si sviluppasse una qualche forma di relazione interspecifica affiliativa?». Che cosa osserva in particolare dunque un'etologa in queste immagini? «Gli elefanti usano la proboscide per riconoscere gli stimoli- conclude Pirrone – siano essi oggetti o altri animali. La usano per annusarli e per toccarli. La memoria non è l'unica abilità formidabile che hanno: anche l'olfatto è portentoso. Io qui vedo un elefante curioso. Non altro».
Ciò non toglie che il legittimo dubbio non intacchi minimamente la magnificenza e la bellezza di questi straordinari e intelligenti mammiferi sociali. Non è il modo e la quantità con cui gli animali si relazionano con l'uomo, del resto, che li rende più o meno affascinanti o degni di rispetto. Ogni specie possiede caratteristiche peculiari, selezionate da milioni e milioni di anni di evoluzione e che le hanno rese "perfette" e uniche ognuna a proprio o modo e secondo la propria ecologia. Non è forse proprio scoprire queste unicità che prescindano da noi Homo sapiens la parte più bella del relazionarsi con gli animali?