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20 Dicembre 2020
12:00

La nutria è vittima della fretta e di una cattiva reputazione

La nutria è arrivata In Italia nella prima metà del ‘900 come animale da allevamento per le pellicce. Negli anni ‘70 però l’uomo ha cominciato a liberarle, permettendogli di diffondersi in quasi tutta la penisola. Le normative regionali ne regolano l’eradicazione in Lombardia, ma lo fanno senza prendere in considerazione soluzioni alternative all’abbattimento.

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Nutria nuota

Nei primi decenni del secolo scorso, molte famiglie della Pianura Padana scelsero di dedicarsi all’allevamento di un roditore originario del sud dell’Argentina: la nutria (Myocastor Coypus). I cosiddetti “castorini” venivano allevati per le pellicce, ma tra gli anni ‘70 e ‘80 il mercato subì un drastico calo delle richieste, costringendo i piccoli imprenditori a chiudere i battenti. Le famiglie, rimaste ormai senza lavoro, per evitare le spese legate all’eutanasia dei castorini, li liberarono nelle campagne intorno ai loro terreni, creando così le prime colonie di nutrie in Italia, dove questo animale non era mai stato di casa. Da quel momento la nutria ha iniziato a vagare per i canali della penisola con il suo muso appuntito, i dentoni arancioni e la lunga e riconoscibile coda. E lungo gli argini costruisce le sue tane, scendendo verso l’acqua e risalendo sulla terraferma per proteggersi dai predatori. E quelle vie tra acqua e terra le consuma, perché è abitudinaria e sceglie sempre gli stessi sentieri e così le sue traiettorie sembrano quasi scivoli verso l’acqua, avvistabili da lontano in molti fiumi italiani.

Il caso del cimitero di Lambrate

Da anni il cimitero di Lambrate è teatro di un conflitto tra le nutrie e gli utenti, infastiditi dai segni della loro presenza. A seguito di numerosi reclami da parte della popolazione, il Comune ha deciso di intervenire con la cattura e l’uccisione delle nutrie mediante gassificazione. La legge regionale 7 dell’8 ottobre 2002 elenca infatti questo metodo tra le strategie possibili per l’eradicazione della nutria. «Nella lista è presente anche un’opzione non cruenta: la sterilizzazione controllata, la quale non è stata neanche presa in considerazione – racconta Stefano Azzolina di Lav Milano – ed è assurdo, visto che il comune ha stanziato 21.000 euro per risolvere il problema delle nutrie all’interno del cimitero e con la sterilizzazione ne avrebbe spesi molti meno. I costi della sterilizzazione, infatti, non superano i 50€ per individuo».

«L’uccisione è ancora il metodo di gran lunga più utilizzato – continua Azzolina – anche se risulta ormai evidente che per ogni individuo abbattuto, un altro arriverà per rimpiazzarlo. Inoltre, molto spesso, le femmine con i cuccioli non escono dalla tana, riuscendo così ad evitare i cacciatori e diminuendo ulteriormente l’efficacia del metodo».

Il piano di eradicazione della nutria nella provincia di Mantova

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La zona di Mantova è oggi uno dei luoghi in cui la nutria si è diffusa con maggiore capillarità. La Provincia infatti ha stabilito un piano di intervento che prevede di prelevare tramite cattura e abbattimento con pistole ad aria compressa oltre 100 mila individui all’anno. L’obiettivo è quello di abbattere le nutrie per ridurre i danni alle coltivazioni intorno ai canali, dove si insediano nutrendosi di ciò che trovano nei paraggi: i prodotti delle coltivazioni intensive. Samuele Venturini, biologo, scrittore e ricercatore sostiene però che la caccia, pur essendo la scelta più diffusa da parte delle istituzioni, non risolve il problema dei coltivatori della Pianura Padana, bensì li amplifica: «La Natura ha una grande abilità: si autoregola tendendo all’equilibrio, per questo motivo se, nel tentativo di eliminare una specie, optiamo per l’abbattimento non facciamo altro che creare nicchie libere nell’habitat, dove altri individui andranno naturalmente a insediarsi: ed ecco che il problema si sposta senza risolversi».

Il castoro in Svizzera come la nutria in Italia 

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Castoro europeo

«Per quanto riguarda i danni alle coltivazioni basterebbe guardare alla Svizzera – sostiene il biologo – dove, per evitare che i castori, parenti delle nutrie, creassero danni alle colture adiacenti ai canali sono stati stanziati fondi a favore dei proprietari dei terreni agricoli per interventi di distanziamento delle coltivazioni dagli argini e manutenzione delle discese all’acqua». Un ulteriore argomento trattato nella normativa svizzera è la necessità di cambiare la reputazione dell’animale. Il castoro svizzero infatti, come la nutria in Italia, non gode dell’affetto dell’opinione pubblica. Sarà la coda cilindrica che ricorda quella di un ratto o più probabilmente ne abbiamo sentito parlare a lungo come di un animale “sporco”, “pericoloso” che vive in habitat insalubri. In ogni caso la nutria in Italia viene considerata un animale poco gradevole, sebbene la sua somiglianza al cugino castoro, decisamente più amato, sia evidente.

Il valore della pendenza e della piantumazione 

«In Lombardia – spiega ancora Venturini – uno dei maggiori problemi consiste nella pendenza degli argini i quali vengono creati dall’uomo nel modo più rapido ed economico, ovvero con l’ausilio di ruspe. Se in questo frangente si ponesse maggiore attenzione alle pendenze, rendendole più dolci, verrebbe favorita la crescita spontanea della vegetazione tra il canale e la coltivazione, rendendo il terreno più stabile e meno soggetto a inondazioni e smottamenti». Il risultato sarebbe inoltre un ambiente in cui le nutrie possono trovare maggiore nutrimento, riducendo il rischio dei danni alle coltivazioni. La vegetazione delle discese all’acqua diventerebbe inoltre la sua naturale protezione dai predatori.

Nutria e Leptospirosi, i dubbi della LAV 

Un ulteriore fattore di rischio è rappresentato, secondo il Piano di Gestione nazionale della Nutria (pubblicato definitivamente nel maggio 2020), dai rischi sanitari generati da questo animale. La lega antivivisezione (LAV) ha però subito riscontrato superficialità a riguardo, richiedendo una revisione. Secondo il Piano Ministeriale infatti, gli studi dimostrerebbero come la nutria sia un serbatoio per il batterio della Leptospirosi. Le conclusioni degli studi citati riguardano invece solo la possibilità che la nutria contragga la malattia in ambienti condivisi con i ratti. «La Lav di Milano, insieme ad altre associazioni presenti sul territorio, ha inoltre partecipato ad un tavolo tecnico nel 2019 – spiega Azzolina – durante il quale abbiamo presentato le nostre proposte per l’eradicazione della nutria. A questo momento di scambio hanno partecipato però anche Federcaccia e Coldiretti che, si sa, hanno una voce potente di fronte alle istituzioni».

E allora perché continuiamo a cacciare la nutria?

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«Le soluzioni alternative e non cruente, approfondisce il biologo – riguardano diversi ambiti. Il primo è quello del controllo della fertilità in ambienti circoscritti, come è stato fatto a Buccinasco, in provincia di Milano nel 2009 e a Muggia, in provincia di Trieste». «Entrambi i progetti – continua il biologo – dimostrano come la sterilizzazione mirata porti ad una maggiore frammentazione dell’habitat, rispetto alla caccia». «Le soluzioni non cruente però – conclude Venturini – necessitano di un cambio di mentalità da parte delle istituzioni. Bisogna avere coraggio di cambiare rotta e pazienza di attendere i risultati». «Lav sta provando ad avere un dialogo istituzionale  per fare in modo che i metodi utilizzati per l’eradicazione della nutria cambino – sottolinea Azzolina – ma sembra di sbattere la testa contro un muro di gomma, sebbene non esistano motivazioni valide per cui non provare la strada della sterilizzazione. All’interno della legge provinciale viene data l’opzione della via non cruenta, perché scegliere il gas?».

«Ciò che manca – secondo Azzolina – è l’educazione alla sensibilità. Se non sei abituato a provare sensibilità per gli altri esseri viventi, non sei in grado di capire la differenza tra metodi cruenti e non cruenti». Ancora una volta quindi, dopo aver superato l’oceano per diventare pellicce e aver subito decenni di pregiudizi a causa dell’ignoranza delle sue origini, la nutria diventa vittima degli umani. Prima per la sua pelliccia e adesso che non c’è più bisogno di allevarla per tenersi caldo, perché scompaia il più in fretta possibile.

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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