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16 Febbraio 2023
13:06

La nuova mappa della foca monaca nel Mediterraneo disegnata grazie al DNA ambientale

Dopo un lungo periodo di monitoraggio, gli scienziati dell'università di Milano Bicocca presentano i loro risultati inerenti la popolazione mediterranea di Foca monaca, compiendo un importante passo in avanti verso la tutela e la conoscenza della specie.

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Nel corso del 2020 e del 2021, un gruppo di ricercatori dell'Università di Milano Bicocca e del Gruppo Foca Monaca Aps hanno effettuato un importante studio di monitoraggio sulla fauna marina dell'Italia e del Mediterraneo. Con il supporto infatti di altre nove associazioni ed enti di ricerca, gli scienziati hanno perlustrato buona parte del bacino del Mediterraneo centro-occidentale, alla ricerca delle popolazioni relitte della rara foca monaca (Monachus monachus) che da anni sta subendo un forte declino.

Per raggiungere questo scopo, i ricercatori hanno deciso di utilizzare come strumento d'indagine l'analisi del DNA ambientale, seguendo una procedura innovativa che non era stata mai sperimentata per questa specie. Nelle precedenti campagne di monitoraggio, infatti, si era principalmente utilizzata l'osservazione diretta e la raccolta degli avvistamenti per stabilire le dimensioni della popolazione europea. Questi metodi però non erano più sufficienti per monitorare questa specie in via d'estinzione.

I risultati di questa campagna di monitoraggio sono stati appena pubblicati su Scientific reports, e illustrano come questa specie sia principalmente presente – durante alcuni periodi specifici dell'anno – presso sei grandi aree, in cui si radunano un gran numero di esemplari: l'Adriatico settentrionale e non solo, il vasto tratto di mare che copre il Salento come il golfo di Taranto, fino a toccare la costa balcanica e le acque che circondano la Sicilia sul versante settentrionale, coprendo buona parte dell'isole minori (Eolie, Ustica, Egadi), il versante orientale della Sardegna e il canale di Caprera, che divide la Sardegna dalla Corsica, buona parte dell'Arcipelago Toscano, il mare che bagna Lampedusa e Linosa e il mare delle Baleari.

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L'analisi del DNA ambientale si basa su un metodo di monitoraggio non invasivo che prevede il campionamento dell'acqua di mare nel tentativo di estrarne DNA di origine animale, in questo caso proveniente dagli esemplari di foca monaca che li abitano. Per questo progetto di monitoraggio, così gli scienziati coinvolti hanno prelevato ed analizzato 135 campioni che sono stati raccolti in 120 località differenti del bacino. 

Gli scienziati dell'Università Milano Bicocca, alla pubblicazione del loro articolo, hanno rilasciato un commento con cui hanno presentato alla scienza la nuova mappa della popolazione. «L'analisi che abbiamo svolto ha rivelato la presenza del raro pinnipede in aree dove mancano osservazioni dirette da decenni. La ricerca ha così fornito una nuova “visione” della distribuzione territoriale della foca monaca, individuando sei aree di grande interesse dove saranno concentrate da subito le attività di monitoraggio dei prossimi anni. Altro dato rilevante è la positività di alcuni siti storicamente noti per la presenza della specie e anche di aree vicine alle piccole isole e alle Aree Marine Protette». Fra queste AMP, ci sono, per esempio quella, delle Egadi e delle Pelagie.

Il metodo di rilevamento che sfrutta il DNA ambientale è stato messo a punto da Elena Valsecchi, ecologa molecolare dell’Università di Milano-Bicocca. La stessa Valsecchi aveva pubblicato l'anno scorso un articolo in cui presentava le potenzialità di tale tecnica sull'autorevole rivista Biodiversity e Conservation. Valsecchi, inoltre, è anche la coordinatrice del gruppo di DNA ambientale marino (Marine eDna Group), che da anni promuove l'uso del prelievo di campioni d’acqua per effettuare questo tipo di studi.

È ora la stessa Valsecchi a ritenersi soddisfatta – insieme a Emanuele Coppola, presidente del Gruppo Foca Monaca APS e coautore dello studio – dopo aver dimostrato che il suo metodo funziona e può dimostrarsi molto utile per studiare quelle specie che sono molto difficili da osservare con i metodi classici.

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«Abbiamo rilevato la presenza della specie in circa il 50% dei campioni prelevati al largo dell’isola di Lampedusa nell’estate 2020 e in alcuni campioni prelevati tra il 2018 e il 2019 da traghetto al largo dell’arcipelago Toscano nell’ambito del progetto Med for Med, lungo la rotta Livorno-Golfo Aranci (Corsica Sardinia Ferries) – dichiara l'ecologa milanese alla stampa – L’analisi di circa 50 campioni di acqua prelevati nei mari italiani sia sotto costa che in alto mare ha anticipato anche alcune delle più importanti segnalazioni e avvistamenti di foca monaca avvenute di recente in Toscana e in Sicilia e ne hanno svelato la presenza in tratti di Mediterraneo finora inesplorati. Inoltre è importante sottolineare che questi monitoraggi devono essere svolti in modo omogeneo, duraturo e in maniera scientificamente corretta. Solo così potremo avere dati confrontabili che consentiranno di seguire nei prossimi anni il tanto sperato ritorno della specie nel Mediterraneo centrale. Un lieto evento atteso non solo dal nostro Paese, ma anche da Francia, Spagna, Marocco e Tunisia».

In verità, l'impiego del DNA ambientale nel monitoraggio della fauna selvatica si sta dimostrando sempre più utile ed efficace anche in altri studi recenti. Solo pochi giorni fa un'equipe giapponese aveva sfruttato la stessa tecnica per studiare un piccolo pesce di acqua dolce, mentre in Africa la stessa tecnica è utilizzata per studiare gli elefanti. Si sta dunque dimostrando molto versatile e facilmente applicabile a diverse specie e contesti.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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