La morte del bambino, i dati sbagliati di Burioni e la Rete degli imbecilli mentre i Pitbull sono gli unici assassini

La notizia della morte di un bambino di 15 mesi, aggredito da due cani Terrier di tipo Bull, ha scatenato sui social le solite polemiche sull'aggressività di queste razze. A parlarne è stato anche il Professor Burioni, che però si è limitato a postare dei numeri senza alcuna considerazione ulteriore in merito.

22 Aprile 2024
15:50
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Caro professor Burioni, che strano rivolgermi prima a lei per parlare in realtà di una notizia devastante e che riguarda una morte orribile. Ed è pure difficile farlo considerando che non vuole nemmeno improntare una discussione su quanto ha postato sul suo profilo Facebook in merito all'aggressività dei Pitbull, considerando che invita le persone a non parlarne attraverso la sua bacheca, che intanto lascia però libera ai commenti. E lo ha fatto postando dei dati senza alcuna considerazione ulteriore in merito. E tutto ciò in una giornata orribile, non a caso ovviamente, in cui un bambino di un anno ha perso la vita a causa del comportamento aggressivo di due Terrier di tipo Bull.

Lo farò dunque qui su Kodami e sui nostri social, proprio perché lei è andato a toccare argomenti che noi trattiamo – speriamo – con la dovuta attenzione e soprattutto perché questa è la sede opportuna dove farlo in fin dei conti, piuttosto che sulla pagina Facebook di un esperto di ben altri temi.

Mi dispiace solo dover partire prima da una riflessione che riguarda proprio l'utilizzo dei Social Network da parte di chi, come lei, ancora è abituato a una "divulgazione" unidirezionale, tipica di anni in cui tanto nel suo campo quanto anche nel mio, il giornalismo, solo chi aveva in mano "posti di potere" – conquistati per carità anche (ma purtroppo non solo) in base alla meritocrazia e al valore della propria conoscenza – riteneva il proprio ruolo simile a un deus ex machina incontestabile che elargisce la sua cultura alle masse incompetenti.

Il mondo, per fortuna, è cambiato professore e se è vero che come aveva detto Umberto Eco «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività», è anche vero che per fortuna ha dato la possibilità a tantissime persone che hanno studiato e approfondito i temi di interesse di poter emergere e confutare, anche, quando qualcuno parla a sproposito di argomenti che non conosce.

Sia chiaro, non la pongo tra gli imbecilli ma né tantomeno tra gli esperti di Pitbull e nemmeno io mi sento tale, nonostante i miei studi che mi hanno portato a ottenere un titolo come esperta di etologia canina e un master come istruttrice e riabilitatrice cinofila. Ma ci terrei a condividere con il suo vasto pubblico e soprattutto con il nostro, la community di Kodami, quello che abbiamo cercato di spiegare tante volte sul nostro magazine. E lo abbiamo fatto mettendo insieme le competenze di varie professionalità, tra giornalisti, etologi, veterinari e altre figure appunto specializzate ognuna nel suo campo. E sa una cosa? Anche noi, a volte, abbiamo sbagliato scoprendolo proprio grazie all'apertura al confronto attraverso un sano utilizzo dei Social Network, accettando appunto le critiche di chi, le assicuro, è più competente di ognuno di noi quando si sfocia nella "tuttologia", cosa che noi abbiamo pure cercato di non fare mai, come precisavo.

Detto tutto ciò, e scusandomi per questa premessa proprio con i nostri lettori, entro nel merito di quanto da lei condiviso e a fronte di una notizia terribile che tutti i media riportano e che riguarda la tragica morte di un bambino a causa dell'aggressione di due cani, subito indicati come Pitbull, e che ad esempio su Kodami noi definiamo genericamente "Terrier di tipo Bull" perché non è solo la razza specifica di cui si dovrebbe discutere ma dei soggetti con le caratteristiche che rientrano nella tipologia.

Già solo questa è una prima informazione importante quando si parla di aggressioni da parte di cani, letali o meno che siano. Farsi una domanda e chiedersi: ma lo so di chi sto parlando? E le assicuro che pur conoscendo anche le caratteristiche di razza o di tipologia di cane comunque non basterebbe. Aiuterebbe però tantissimo divulgare proprio almeno questo aspetto come prima cosa quando accadono eventi così orribili e inaccettabili, chiaramente. Far sapere alle persone chi sono quei cani e perché possono arrivare a compiere atti del genere: non serial killer, non assassini di esseri umani ma individui che noi abbiamo selezionato, le cui attitudini sono state esasperate dalla nostra invasione nel campo della genetica. E poi, professore, questo non andrebbe fatto di certo per stigmatizzare una razza ma per sapere e capire, come del resto dovrebbe avvenire anche per i casi di cronaca nera che riguardano noi umani, in che contesto quell'evento tragico è maturato e chi è quel singolo individuo che ha attuato quel determinato comportamento.

Lei banalizza la situazione buttando nella Rete dei dati che non rimandano a uno studio specifico ma in cui viene indicato che il 66,9% delle aggressioni avviene da parte di Pitbull. I dati, come lei sa, sono fondamentali nella ricerca scientifica e questo probabilmente l'ha sollevata dal dubbio di aggiungere altro. Ma proprio lei, che è uno scienziato, dovrebbe divulgare anche la spiegazione relativa a quei numeri che ha postato per aiutare le persone a comprendere.

Ha mostrato un grafico a torta che descrive le razze dei cani presenti negli Stati Uniti preso da un sito di una associazione che a sua volta ha creato la statistica usando come fonte un'altra associazione che si chiama "Dogs Bite" e che "è un gruppo nazionale di vittime di morsi di cane che si impegna a ridurre gli attacchi gravi di cani". Insomma, di suo non ha trovato nulla che abbia direttamente verificato e ha usato come fonte una visione di parte, non scorretta ovviamente per chi ha subito traumi indicibili, ma da cui non è possibile trarre solo alcune conclusioni e invece non sottolineare che di quei dati non vi è certezza univoca visto che ci sono studi scientifici che dicono ben altro.

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Il grafico postato da Burioni

Cerchiamo di essere più precisi, allora, semplicemente. Prima di tutto: quello che è accaduto è facile dire che non dovrebbe semplicemente accadere, ma diamo delle informazioni che siano chiare e che aiutino davvero le persone a comprendere la situazione e non a fare un dibattito sterile e demagogico sulla singola razza e la responsabilità delle persone in generale.

Come ha scritto Laura Arena, veterinaria esperta in benessere animale e membro del nostro comitato scientifico, in primis bisogna sottolineare che con «i cani, nostri storici compagni di vita uno dei principali problemi che possono insorgere nella relazione con loro sono proprio le aggressioni come le morsicature verso componenti della famiglia, conoscenti, estranei o altri animali».

In letteratura scientifica, per quanto riguarda i cani autori dell'aggressione, c’è una grande variabilità che non permette di definire in modo chiaro e univoco le razze principalmente coinvolte nelle aggressioni dirette a persone, siano esse in ambiente domestico o no. Aggiunge la dottoressa Arena, infatti, che «gli studi epidemiologici sulle morsicature da parte di cani elencano tra le razze principalmente responsabili di aggressioni a persone, in primis, il Pastore Tedesco e suoi incroci, i meticci, il Cocker e lo Spring Spaniel, specialmente per le aggressioni dirette a familiari, il Labrador e Golden Retriever e i Terrier».

Banalizziamo, adesso: è ovvio che il morso di un Pitbull, di un Amstaff o di un altro Terrier di tipo Bull causa più danni di quello di un Pinsher ed è gioco forza che anche le denunce e le presenze ai Pronto soccorso saranno inferiori. Già solo questa valutazione automaticamente abbatte anche solo l'ipotesi di avere un dato completo e affidabile. La probabilità, chiaramente, che un Chihuahua non uccida e che un Pitbull arrivi a farlo è evidentemente maggiore ma è proprio per questo che bisogna tornare al concetto di adozione responsabile.

Anzi, per una volta su Kodami, per far arrivare il messaggio ancora più chiaro, mi permetto di usare proprio il termine più comune e comprensibile che a noi non piace ma per una volta pazienza: proprietà responsabile. Ebbene sì: bisogna conoscere la tipologia di cane, di un qualsiasi cane in generale e a maggior ragione di un Pitbull per uscire dalla logica di prenderlo solo perché ancora fa "figo". Bisogna spiegare alle persone che sono animali con un cuore di cristallo, che hanno una personalità sensibile e un delicatissimo e facilmente "solleticabile" stato di eccitazione ("arousal" in termini tecnici). E' solo sugli esseri umani che si può lavorare perché queste cose non accadano e noi di Kodami lo facciamo ogni giorno da quando abbiamo iniziato il nostro viaggio nella divulgazione della relazione uomo – animale. Contiamo che persone come lei facciano lo stesso, semplicemente.

A meno che non si decida di fare come nel Regno Unito, dove forse la decisione di sopprimere tutti i cani appartenenti alla razza American Bully XL è arrivata per una sola, rassegnata e allo stesso tempo fallimentare presa di coscienza: vanno eliminati gli animali che abbiamo creato, perché tanto la nostra specie non cambia: continueremo infatti a generarne tipologie sempre più estreme con cui, in fin dei conti, non ci interessa relazionarci davvero. E visto che non riusciamo a fermarci, eliminiamo loro.

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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