“Chiudiamo per sempre gli allevamenti di visoni”: l’appello arriva dalla Lav, che ha lanciato una campagna – #voceaivisoni – e una raccolta firme per chiedere al governo che la chiusura temporanea dei 5 allevamenti di visoni da pelliccia stabilita per l’emergenza coronavirus diventi permanente.
La decisione del ministro della Salute era arrivata dopo la conferma della positività al Covid-19 di alcuni visoni presenti in un allevamento di Capralba, in provincia di Cremona, analisi che avevano portato all’abbattimento di oltre 28mila animali. Da qui un provvedimento che stabilisce la chiusura di tutti gli allevamenti, prolungato sino al 31 dicembre 2021. Decisione che si traduce, come sottolinea la Lav, in 40.000 cuccioli salvati dall’uccisione per farne pellicce. Non è chiaro se il provvedimento verrà prolungato, ma la richiesta della Lav arriva in un periodo in cui la spinta verso una moda più sostenibile e cruelty free si è fatta più forte e si è allargata a macchia d'olio.
Qualche settimana fa sono state consegnate le oltre 880.000 firme raccolte dalla Fur Free Alliance (coalizione cui aderiscono anche Humane Society International Italia e Lav), per chiedere ai leader mondiali di decretare definitivamente la fine dell’allevamento di animali da pelliccia, e la lettera aperta delle associazioni non si limitava a parlare del fenomeno da un punto di vista etico ma anche sanitario. Diversi studi hanno infatti dimostrato come diversi virus arrivino all’uomo facendo il cosiddetto “salto” dall’ospite animale, e la stretta correlazione tra allevamenti, wet market e pandemie zoonotiche: David Quammen, giornalista scientifico e autore di un libro che è diventato un caposaldo per comprendere come avvenga lo "spillover”, lo ha spiegato con dovizia di particolari in una puntata del nostro format di video interviste MeetKodami.
Moda cruelty-free, gli stilisti che hanno detto addio alla pelliccia
Alla luce di questa aumentata sensibilità sull’argomento anche il mondo della moda ha iniziato a rispondere. Il numero di marchi che hanno annunciato l’intenzione di abbandonare le pellicce per le collezioni è in aumento, anche tra quei brand da sempre sinonimo di lusso e opulenza. Tra i big che hanno per primi hanno detto addio alle pellicce ci sono Giorgio Armani e Gucci: re Giorgio le ha abolite da ogni collezione del gruppi già a partire dalla stagione 2016/2017 e recentemente ha anche annunciato che non utilizzerà più neppure la lana d’angora. Nel 2018 si è aggiunto Marco Bizzarri, amministratore delegato di Gucci.
Sono poi arrivati Valentino, Brunello Cuccinelli, e tutto il gruppo Kering, un colosso di cui oltre a Gucci (che aveva già deciso in autonomia) fanno parte anche Yves Saint-Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen e Brioni. Anche Chanel, Prada, Versace e Michael Kors si sono aggiunti alla lista, per non parlare di Stella McCartney, pioniera nel campo della moda sostenibile e cruelty-free, le cui creazioni sono tutte di fatto “vegane”.
Gran Bretagna e California contro le pellicce
Proprio Stella McCartney a marzo aveva firmato una lettera insieme con colleghe e connazionali come Vivienne Westwood e Erdem Moralioglu inviandola al primo ministro britannico Boris Johnson per chiedere la messa la bando delle pellicce. L’allevamento di animali da pelliccia è stato vietato in Inghilterra già dal 2000, ma è ancora consentita l’importazione e la vendita: il “manifesto” degli stilisti britannici mira proprio ad approvare un provvedimento nazionale che vieti anche l’importazione e la commercializzazione.
Restando in Gran Bretagna, la prima a rispondere agli appelli è stata la regina Elisabetta, che nel 2019 ha deciso di dire addio per sempre alle pellicce e optare per la cosiddetta “faux fur”, la pelliccia sintetica: la sovrana continua sporadicamente a indossare vecchi capi con pelliccia vera, ma qualsiasi nuovo acquisto segue la linea etica, così come già fa Kate Middleton, che possiede dal canto suo un cappello di alpaca prodotto la pelliccia di animali deceduti per cause naturali. E Peta ed Ecopel, brand specializzato in ecopelliccia, hanno recentemente presentato una variante cruelty-free del copricapo indossato dalla Guardia Reale della Regina, realizzato per tradizione in pelliccia d’orso: la proposta fatta al Ministero della Difesa britannico è di fornire gratuitamente, per 10 anni, la quantità di faux fur necessaria a realizzare i copricapi, risparmiando non solo una mattanza di orsi ma anche soldi che il governo dovrebbe spendere per realizzare i copricapi tradizionali.
Spostandosi oltreoceano, un provvedimento di messa al bando delle pellicce è stato invece già adottato in California, dove il governatore Gavin Newsom ha approvato una legge (la AB44 Fur products: prohibition) che vieta l’importazione e la commercializzazione di prodotti di pellicceria a partire dal primo gennaio 2023.
La pelliccia creata in laboratorio
Sempre più brand insomma hanno adottato – o dovranno adottare – la pelliccia sintetica per le loro collezioni. Restano però dubbi anche sulla faux fur riguardanti non soltanto il risultato finale a livello estetico e tattile, ma anche sulla sostenibilità dei materiali da cui è composta e sul processo di produzione. E proprio come accaduto per la carne prodotta in laboratorio, un’azienda si sta specializzando nella creazione di vere pellicce in vitro sfruttando il follicolo: Furoid è un marchio dell’azienda olandese GeneusBiotech, ed è un biomateriale coltivato in laboratorio appositamente per l’industria delle pellicce. Identico alla pelliccia animale dal punto di vista molecolare, è stampato in 3D e combina cellule con fattori di crescita a biomateriali per creare componenti biomedicali che imitano le proprietà dei tessuti, basandosi sullo stesso procedimento seguito per la carne coltivata o sintetica.