B132 è un maschio di lince nato nel 2006 e avvistato la prima volta in Trentino nel 2008. Da allora veniva ripreso di tanto in tanto dalle fototrappole e, con le rare immagini del suo passaggio, ricordava agli abitanti della zona che sul territorio della Provincia Autonoma non vivono solo orsi, lupi e sciacalli, ma anche questi felini elusivi ed estremamente rari, almeno per quanto riguarda il versante meridionale delle Alpi.
L'ultimo avvistamento di B132 risale però, secondo il rapporto grandi carnivori, al mese di marzo del 2022, quando venne segnalata in Val Lorina, nei pressi di Storo. Da quel giorno è passato più di un anno e mezzo e non vi sono mai più state notizie a riguardo. Sono quindi sempre di più le persone convinte che l'unica lince trentina, sia orma morta.
Secondo Paolo Molinari, ricercatore, socio fondatore e coordinatore tecnico – scientifico del Progetto Lince Italia, in caso di conferma di questa ipotesi non bisognerebbe affatto stupirsi: «Generalmente una lince in natura non supera i 7/8 anni di età, quindi già in occasione degli ultimi avvistamenti B132, con i suoi circa 16 anni, era un esemplare eccezionalmente longevo. Sinceramente mi sorprenderei maggiormente se fosse ancora in vita – spiega l'esperto a Kodami – Purtroppo, però, la conferma della sua scomparsa lascerebbe il Trentino senza linci e per tornare a vederne una dovremmo sperare in un ampliamento dell'areale a partire dalla Svizzera, dove la popolazione è molto più vitale».
La storia di B132
Era il 23 marzo del 2008 quando B132, che al tempo aveva 2 anni, venne avvistata per la prima volta in Trentino e, più nello specifico, in Val di Sole, ovvero una delle valli più settentrionali della Provincia Autonoma. Inizialmente si credeva che la sua presenza potesse essere determinata da un presunto rilascio illegale, ma queste ipotesi vennero poi smentite grazie al monitoraggio radiotelemetrico e agli accertamenti genetici, capaci di dimostrare come il giovane esemplare fosse in realtà arrivato in Italia grazie al naturale processo di dispersione, che porta i giovani maschi a cercare un luogo ideale per insediarsi.
Fu grazie alle indagini sul suo conto che gli operatori della forestale riuscirono a risalire al luogo e all'anno di nascita dell'individuo, proveniente dal Canton San Gallo, in Svizzera settentrionale, dove dal 2000 al 2008 era stato attuato il progetto LUNO, il cui scopo era quello di trasferire alcune linci dalla zona del Canton Jura verso questa regione prealpina settentrionale.
Tra il novembre del 2006 e il febbraio del 2007, quindi ancora prima di arrivare in Trentino, B132 era già stato ripreso ben tre volte dalle fototrappole, mentre si muoveva insieme alla madre. Il 22 febbraio del 2008 era stato poi catturato dagli operatori del Parco nazionale Svizzero che lo avevano radiocollarato per monitorarne gli spostamenti ma, nei mesi seguenti, con il sopraggiungere della maturità, era uscito dal paese, raggiungendo prima la Lombardia e, infine, il Trentino.
Aveva raggiunto l'Italia scollinando dal Passo della Sforzellina, intorno ai 3 mila metri di quota, verso Pejo, nel Parco Nazionale dello Stelvio. Aveva poi attraversato la Val Rendena, la Val di Sole e la Val di Non e si era stabilito definitivamente nelle zone tra la Val di Ledro, la Val Daone e le Valli del Chiese, situate nella parte Sud occidentale della Provincia, a cavallo con la provincia di Brescia, proprio il luogo in cui, circa 18 mesi fa, è avvenuto di uno degli ultimi avvistamenti.
Il progetto UlyCA e la morte di Sofia
La lince è un animale estremamente raro in Italia, dove possiamo contarne meno di 10 esemplari diffusi tra il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte, la Valle d'Aosta e, finché non verrà accertata la morte di B132, il Trentino. Per favorirne il ritorno, negli ultimi mesi è stato realizzato il progetto europeo ULyCA, che ha portato alla liberazione di 5 individui nella zona di Tarvisio, una località a cavallo tra il Friuli Venezia Giulia, l'Austria e la Slovenia, famosa per essere un importante corridoio faunistico.
Anche in questo angolo Nord orientale d'Italia, però, nelle ultime settimane, le linci sono state al centro dell'attenzione a causa di una tragica morte. Sofia, una delle femmine rilasciate pochi mesi fa, è stata trovata senza vita in Austria e i risultati dell’autopsia hanno confermato che si è trattato di un atto di bracconaggio. Paolo Molinari, che del progetto ULyCA è coordinatore tecnico, commenta a Kodami con amarezza quanto accaduto: «Ciò a cui abbiamo assistito è un danno gravissimo, prima di tutto da un punto di vista ecologico, perché parliamo della scomparsa di una femmina reintrodotta proprio per favorire l'aumento del numero degli individui in questa zona d'Europa, dove a causa delle ridotte dimensioni della popolazione, vi è un alto rischio di consanguineità. Proprio per questo motivo, era stata scelta una femmina proveniente dal Canton Jura – spiega Molinari – Non sarà facile operare con un'altra liberazione, perché bisognerebbe prima di tutto trovare il soggetto adatto e poi riprendere il percorso che pensavamo di aver terminato. Oltre al danno ecologico, abbiamo analizzato anche l'aspetto economico di questa vicenda e siamo arrivati a quantificarlo in circa 77 mila euro. Un dato questo, che demoralizza, oltre a rappresentare un ulteriore ostacolo per il progetto».
In seguito alla morte di Sofia sono state molte le polemiche che hanno raggiunto i responsabili del progetto ULyCA, considerato da alcuni inutile o addirittura dannoso per gli animali: «A chi ritiene che la morte di Sofia, causata dal bracconiere, dimostri come sia necessario smettere di condurre progetti di reintroduzione, rispondo senza dubbio che la mia opinione è diametralmente opposta – conclude l'esperto – È proprio in una situazione drammatica come questa che dobbiamo insistere per superare l'ignoranza, ovvero la reale radice di questo terribile atto».