La Russia è ricca di esemplari paleontologici e la brutale campagna di guerra che sta portando in Ucraina minaccia seriamente la ricerca in questo ambito.
La Siberia, infatti, è uno scrigno pieno di tesori per i paleontologi e ricercatori da tutto il mondo compiono annualmente viaggi in Russia per scoprire preziosi reperti sepolti nel permafrost, un terreno tipico delle regioni fredde dove il suolo è perennemente ghiacciato.
All'inizio di quest'anno, dopo due anni di restrizioni pandemiche, nel mese di febbraio, la Russia ha invaso l'Ucraina e da allora, per via delle restrizioni di viaggio e le sanzioni, molti paleontologi sono stati costretti ad annullare le spedizioni in questo paese.
A pagare le spese della guerra, dunque, una vittima inaspettata: la ricerca paleontologica, per cui molte collaborazioni con i ricercatori russi sono terminate o in pausa e molti lavori sul campo annullati.
La ricchezza paleontologica della Russia
La Russia è stata al centro di alcune delle più grandi scoperte archeologiche e paleontologiche del secolo tra cui il ritrovamento dell' Homo di Denisova, un'antica specie umana trovata in una grotta siberiana e descritta per la prima volta nel 2010. In Siberia sono stati scoperti anche una vasta gamma di altri resti risalenti al Pleistocene, un'era geologica che va da circa 2,5 a 11.700 milioni di anni fa, in un'epoca comunemente nota come "era glaciale".
La qualità e la quantità di questi resti è ciò che rende gli esemplari russi così speciali. Infatti fino al 90% di tutti i fossili di mammut conosciuti provengono dalla Yakutia, una regione della Siberia orientale, dove la terra è completamente coperta da permafrost, perfetto per preservare il materiale organico. Da questi reperti i ricercatori possono, quindi, estrarre materiale genetico perfettamente conservato per le diverse analisi da laboratorio.
L'unico modo con cui queste scoperte hanno avuto luogo è grazie alle strette collaborazioni fra scienziati russi ed esteri, collaborazioni che la guerra ha reso impossibili. Infatti, in risposta all'azione bellica russa, molti paesi occidentali e università hanno tagliato i legami con le istituzioni di questo paese.
L'influenza della guerra sulla ricerca
Non sono solo gli Stati, però, ad aver tagliato i ponti e sono tanti i paleontologi riluttanti a chiedere qualsiasi cosa al governo russo. I singoli ricercatori stanno evitando di contattare i colleghi russi preoccupati di essere passati al vaglio del Cremlino poiché molti di essi sono contrari alla guerra o con posizioni politiche contrastanti, ma, più dei ricercatori occidentali, sono quelli russi a dover pagare lo scotto.
I loro progressi saranno probabilmente bloccati finché le sanzioni impediranno ai centri di ricerca di ordinare reagenti dall'estero per le diverse analisi di laboratorio e i paleontologi russi hanno anche dovuto sospendere le loro spedizioni sul campo in Yakutia quest'anno.
Ma anche se le restrizioni di viaggio dovessero essere abolite, gli scienziati occidentali resterebbero a disagio nel tornare in Russia per via della situazione politica troppo instabile e molti ricercatori hanno paura che, se dovessero riprendere i contatti con le istituzioni russe, potrebbero finire in qualche modo in prigione.
La sicurezza, però, non è l'unica preoccupazione: ottenere l'accesso ai siti richiede permessi ufficiali, e i ricercatori occidentali sono preoccupati che i funzionari russi potrebbero negarglieli come mossa di propaganda. Inoltre, il ritorno sul campo dei ricercatori mentre il presidente russo Vladimir Putin rimane al potere potrebbe essere percepito come tacito sostegno del suo regime.
La situazione, dunque, è senza dubbio complessa, e anche se è importante continuare a studiare il passato geologico e paleontologico della Terra, sarà necessario aspettare ancora molto tempo prima che la situazione si stabilizzi e si possa ritornare nuovamente a fare ricerca.