Il grande viaggio ricomincia sempre. Malgrado coccodrilli e leoni in agguato lungo il grande fiume Mara, gli gnu ripartiranno come ogni anno per lasciarsi alle spalle la siccità e trovare nuovi pascoli bagnati dalle piogge. La grande migrazione africana, tra il Masai Mara al confine col Kenya, l’Area di Conservazione di Ngorongoro e il Parco del Serengeti, è pronta anche quest’anno a diventare il grande spettacolo d’Africa che non si può perdere, almeno una volta nella vita.
Un fenomeno, migliaia e migliaia di zoccoli che calpestano 800 chilometri tra fiumi e savana, che fa accorrere centinaia di turisti ogni anno ma che potrebbe scomparire, se non si adotteranno le giuste politiche per evitare che questo straordinario ecosistema protetto rimanga isolato dal territorio che lo circonda e non più in grado di garantire la possibilità di movimento per gli animali.
Cos’è la grande migrazione
La migrazione di due milioni di ungulati, gnu ma anche enormi gruppi di zebre e gazzelle di Thomson, gazzelle di Grant ed antilopi alcine o eland, viene considerato uno degli spettacoli più affascinanti del mondo. Gli animali migrano alla ricerca di pascoli per riprodursi o partorire ma soprattutto alla ricerca di acqua e cibo. Tra giugno e settembre migliaia di animali concluderanno il loro cammino affrontando la prova più’ difficile della migrazione: passare per il fiume Mara che confina col Kenya, in cui si mimetizzano enormi coccodrilli del Nilo.
«Il viaggio dei protagonisti della Grande Migrazione, i quasi due milioni di ungulati, inizia nel sud del Serengeti, con la nascita di mezzo milione di giovani esemplari tra gennaio e marzo – spiega il sito del Parco Nazionale del Serengeti in Tanzania. – Il viaggio di 800 chilometri dell'immenso branco di gnu è la più grande migrazione di mammiferi sulla terra: coincide con l'inverdimento delle erbe nutrienti nelle pianure di erba corta durante la stagione delle piogge. Queste aree sono più sicure perché i predatori possono essere facilmente individuati, rendendolo un luogo ideale per il parto. Tuttavia, le pianure si seccano e gli gnu sono costretti a spostarsi alla ricerca di pascoli più verdi nel corridoio occidentale. L'estensione settentrionale dell'ecosistema ha le precipitazioni più elevate, ma le erbe sono meno nutrienti. Questo è il rifugio della stagione secca per gli gnu, almeno fino a quando il sud non diventa di nuovo verde. Il risultato è un movimento in senso orario da sud, ovest, nord e ritorno a sud».
Verso il Masai Mara, affrontando 3 mila coccodrilli
Quando a maggio arriva la siccità, il branco si sposta a nord, verso il Masai Mara in Kenya, masticando l'alta erba verde, seguito rapidamente da gazzelle e zebre. «La migrazione non è priva di rischi: – avverte il parco – attraversare fiumi significa affrontare circa 3 mila coccodrilli, in paziente attesa di una preda. Per non parlare della famosa popolazione di leoni del Serengeti: di gran lunga la più numerosa in Africa. Poi, con l'inizio delle brevi piogge alla fine di ottobre, la migrazione fa ritorno nel Serengeti. Entro dicembre, le mandrie attraversano Seronera – un piccolo insediamento nel Serengeti centrale dove si trova il Centro visitatori ufficiale del Serengeti – per tornare di nuovo ai luoghi di parto e il cerchio è completo».
Tra maggio e luglio gli gnu, dopo aver banchettato con l'erba verde del Serengeti sud-orientale e dopo aver dato alla luce la loro prole, iniziano a prepararsi per il loro viaggio lungo 800 chilometri. Da questo momento si può assistere ad uno spettacolo straordinario come può esserlo più di un milione di animali in marcia in una colonna lunga fino a 40 chilometri.
«Durante la migrazione, la mandria si sposterà verso il Corridoio Occidentale, dove dovrà affrontare il primo grande ostacolo: l'attraversamento del fiume Grumeti. Molti animali non sopravvivono alla traversata poiché sono attesi dalla popolazione della zona di coccodrilli di grandi dimensioni pronti a divorarli». Tra luglio ed agosto la mandria si sposta più a nord per affrontare il prossimo grande ostacolo: il fiume Mara. L'attraversamento del fiume è il momento delle foto più iconiche, quelle dove una moltitudine indistinta di animali si accalca, si spinge, cade si rialza, corre, spinta come da una forza invisibile e inesorabile, dove il conflitto naturale tra preda e predatore diventa spettacolo, dove la debolezza dell'uno diventa risorsa per la sopravvivenza dell'altro.
«Ma si deve considerare che non tutti gli animali fanno lo stesso giro, hanno abitudini e tradizioni diverse – spiega Davide Palumbo, biologo e ventennale guida WWF Travel, che di grandi migrazioni ne ha viste parecchie girando l'Africa dal ’96 fino al oggi. – Per osservarli ci muoviamo con mezzi fuoristrada, ovviamente rimanendo a distanza. Sono animali che non temono l’uomo e tendono ad avvicinarsi: proprio per questo è fondamentale non avventurarsi in fuoristrada selvaggi che li disturberebbero. Non interferire nei loro movimenti naturali è sempre la priorità».
Il pericolo della sua lenta scomparsa
Andare a vedere questo spettacolo, però, è anche un modo di conservarlo, spiega ancora Palumbo. «Attualmente la situazione nel Serengeti appare florida- racconta – addirittura è tornato il licaone, unico carnivoro di quest’area che era stato dichiarato estinto. – Così come si sta espandendo di nuovo, riprendendosi il suo ruolo ecologico, anche il rinoceronte. Quindi in questo momento il teatro della grande migrazione appare assolutamente soddisfacente». Ma è la prospettiva di cosa potrebbe accadere in futuro che, in qualche modo, preoccupa gli appassionati e i conservazionisti. «Il quadro va visto in prospettiva – afferma Palumbo. – Quello che potrebbe succedere è questo ecosistema rimanga isolato come non lo è mai stato, perché ha sempre avuto connessioni con altre aree di migrazioni parallele o di piccoli percorsi migratori alternativi che convergono nella grande migrazione del Serengeti».
Ma cosa potrebbe interrompere questo “ciclo della vita" Che niente ha interrotto in milioni di anni? «Il rischio, soprattutto nel lato nord verso il Kenya, è di vedere un progressivo isolamento di questo ecosistema a causa dell’”agro-business”, cioè dell’espandersi delle coltivazioni a danno dei corridoi faunistici attraverso i quali si spostano gli animali – conclude Palumbo. – Ovviamente che le popolazioni sfruttino il territorio al di fuori delle aree protette è comprensibile e anche necessario, ma serve un criterio per non prosciugare gli ecosistemi protetti proprio per mancanza di connessioni con il territorio circostante: lasciare corridoi di passaggio, soprattutto quelli che gli animali hanno tradizionalmente sempre usato, permetterebbe una resilienza di gran lunga maggiore rispetto invece ad un ecosistema frammentato e segmentato dove gli animali sarebbero costretti a rimanere confinati in aree che sono ottimali solo stagionalmente, non potendo più connettersi ad altre zone quando le piogge dovrebbero attirarli e innescare un processo migratorio».