Essere socievoli è una predisposizione che i cani hanno scritto nel loro DNA. Che "il miglior amico dell'uomo" fosse un animale sociale è qualcosa che l'etologia ha già dimostrato ma andare ad indagare nella mappa genetica e trovare "la forma" del desiderio insito che questi animali hanno di essere amabili e gentili con gli umani è una scoperta appena avvenuta e che sta in una struttura tridimensionale chiamata "cromatina".
La scoperta è stata fatta dai ricercatori del Dipartimento di Ecologia e Biologia Evoluzionistica dell'Università di Princeton, negli Stati Uniti, in collaborazione con il team del professore Ádám Miklósi del Dipartimento di Etologia dell'Università di Eötvös Loránd di Budapest.
Lo studio, pubblicato su BMC Genomics, dimostra che sia la sequenza lineare del DNA che la sua configurazione tridimensionale sono collegate al comportamento amichevole plasmato dalla domesticazione del cane, riuscendo così a "tradurre" i tratti sociali di questo animale in base ai meccanismi molecolari.
«La domesticazione del cane – scrivono i ricercatori nello studio – è collegata a diverse varianti genomiche. Tuttavia, gli impatti funzionali di queste varianti potrebbero non essere sempre semplici quando si trovano in regioni non codificanti del genoma. Nel complesso, abbiamo riportato prove che suggeriscono un'intrigante convergenza molecolare tra l'emergere di comportamenti ipersociali nei cani e gli stessi geni che, quando emizigoti, producono la sindrome di Williams Beuren umana caratterizzata da difetti cranio-facciali e comportamenti sociali intensificati. I nostri risultati sottolineano inoltre il potenziale ruolo spesso trascurato dell'architettura della cromatina nell'evoluzione sociale».
I tratti comportamentali come la socievolezza sono influenzati da numerosi geni, dalle loro interazioni, dai fattori ambientali e dalle esperienze di vita individuali. Già nel 2017, la ricercatrice della Pricenton Bridgett vonHoldt aveva identificato proprio questo collegamento tra un gene in particolare, GTF2I, presente nei cani e la sindrome di Williams-Beuren che riguarda la nostra specie.
Gli esperti hanno così approfondito questo spunto e sono arrivati alla conclusione che la selezione operata dagli esseri umani per ottenere cani con una maggiore gentilezza nei nostri confronti ha comportato cambiamenti proprio in questo gene che svolge un ruolo nello sviluppo neurale e nei percorsi correlati all'ansia e alla socievolezza. Poi hanno fatto un ulteriore step: «Nel nostro studio, abbiamo mirato a indagare in che modo le varianti genetiche influenzano la struttura 3D del DNA contenente questo gene», ha dichiarato Bridgett vonHoldt, co autrice della pubblicazione.
I ricercatori si sono basati su campioni di tessuto cerebrale forniti dalla Canine Brain and Tissue Bank dell'Università ELTE di Budapest. «I campioni del tronco encefalico sono stati raccolti da cani domestici soppressi per motivi medici e donati per la ricerca. Abbiamo incluso solo cani senza gravi malattie del sistema nervoso», ha chiarito la dottoressa Eniko Kubinyi, responsabile del Dipartimento di etologia presso l'ELTE.
Il risultato finale dello studio ha portato a scoprire che le varianti antiche e moderne del gene GTF2I influenzano in modo diverso la forma dell'ansa della cromatina e così è spiegato il collegamento alla sindrome di Williams-Beuren negli umani: «Molti pazienti WB hanno anomalie cranio-facciali spiegate da anomalie della matrice extracellulare e funzione alterata di GTF2I. In sostanza, segnaliamo una presunta convergenza molecolare tra il comportamento ipersociale nei cani e questa sindrome umana».