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6 Dicembre 2023
10:05

La crudele indifferenza che condanna i crostacei alla sofferenza

Quando i crostacei entrano nella filiera della ristorazione perdono ogni tutela e vengono considerati solo come alimenti. Così finiscono per affrontare lunghe agonie e terribili atti di crudeltà, come quello di buttarli nell’acqua bollente ancora vivi.

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aragosta

L’arrivo delle feste di Natale porta con sé, oltre alle tante disparità di un mondo sempre meno equo, molte sofferenze per gli animali che hanno la sfortuna di essere al centro delle tradizioni culinarie del nostro paese. Fra quelli meno tutelati, anche per una colpevole indifferenza di molti, a cominciare dai nostri legislatori, ci sono i crostacei e in particolare le specie che hanno la sfortuna di poter sopravvivere anche al di fuori del loro ambiente naturale come astici e aragoste, ma anche granchi e perfino cicale di mare, conosciute anche come canocchie.

Questi animali si trovano spesso, ancora vivi anche se agonizzanti, sui banchi delle pescherie e dei ristoranti: quando entrano nella filiera della ristorazione perdono molte tutele che sono riconosciute agli animali trasformandosi ed essendo considerati solo come alimenti. Così finisce che a molti di loro non vengono risparmiate né lunghe agonie, né veri atti di crudeltà come quello di buttarli nell’acqua bollente ancora vivi. Molti di loro sono costretti ad affrontare lunghi viaggi aerei prima di arrivare al punto vendita, basti pensare agli astici che arrivano vivi dal Canada, in scatole refrigerate e riempite di materiali assorbenti bagnati, che possono così garantire la loro sopravvivenza.

Animali che durante questi viaggi subiscono un progressivo decadimento della loro salute, oltre che del loro benessere, ma riescono a arrivare in massima parte vivi, tanto da poter essere ammassati in acquari marini, dove sono costantemente tenuti con le chele legate da grandi elastici. Per evitare danni a chi li maneggia ma soprattutto per prevenire la normale aggressività fra conspecifici, che essendo molto territoriali non possono essere lasciati con le chele libere perché si ammazzerebbero a vicenda.

Animali destinati a morire di fame se non vengono venduti prima, perché negli acquari dei punti vendita e dei ristoranti non è consentito alimentarli. Questa è la ragione per la quale, nonostante siano spesso custoditi molti esemplari in piccole vasche, l’acqua è sempre pulita, anche senza filtri: gli animali sono tenuti completamente a digiuno, tanto da perdere costantemente peso, sino a morire. Guardandoli li consideriamo animali vivi, ma nella realtà per la legge sono soltanto “alimenti vivi”, con ben poche tutele se non quelle garantite quasi esclusivamente, seppur a macchia di leopardo, da alcuni regolamenti comunali, come quello di Milano, che li considera meritevoli di ricevere una seppur minima difesa dai maltrattamenti. Vietando, per esempio, di consegnarli ancora vivi agli acquirenti.

I crostacei decapodi devono essere considerati come esseri senzienti, come hanno dimostrato gli studi scientifici. Per questa ragione nel nostro paese l’associazione Animal Law Italia ha lanciato una campagna per cercar di garantire, almeno, una miglior tutela di questi animali, così lontani da noi da non essere normalmente riconosciuti dalle persone come meritevoli di protezione dai maltrattamenti. Secondo Animal Law “Vi è ormai un elevato grado di consenso nella comunità scientifica sulla capacità dei crostacei decapodi di sentire dolore. A prova di ciò vi sono diversi studi sul sistema nervoso, sul comportamento e sulle risposte a stress in questi animali, i quali soddisfano 14 su 17 criteri del dolore proposti dallo studio Defining and assessing animal pain di Sneddon e altri autori. Il risultato è significativo, considerando che i tre criteri non soddisfatti non sono mai stati testati sui crostacei decapodi. In considerazione di questo si può, quindi, assumere che questi animali provino dolore e mettere in discussione molte delle pratiche alle quali sono soggetti di routine”.

Se i maltrattamenti di routine che vengono messi in atto nei confronti dei crostacei fossero compiuti su specie animali verso le quali esiste maggior attenzione, pur essendo allevate per usi alimentari, ci sarebbe una sollevazione popolare. Animali trasportati o custoditi fuori dall’acqua, mantenuti ancora vivi sul ghiaccio, costretti con le chele bloccate o, peggio, privati delle chele con una semplice torsione e senza anestesia oppure gettati vivi nell’acqua bollente. Senza avere una tutela che li possa mettere al riparo da crudeltà deliberate quanto insensate, se non quella riconosciuta in casi particolari da alcune sentenze della Suprema Corte che ha riconosciuto, nella conservazione su ghiaccio dei crostacei vivi, una detenzione in condizioni incompatibili con la loro natura, produttiva di gravi sofferenze.

Ognuno può essere protagonista del cambiamento mettendo in atto una molteplicità di azioni che vanno dalla riduzione sino all’eliminazione delle proteine animali, per arrivare alla scelta di rinunciare almeno a tutti quei cibi che comportano una grave sofferenza. Come quella delle oche utilizzate per produrre il foie gras, quella delle anguille tenute vive fuori dall’acqua o di tutti i crostacei decapodi venduti vivi. Una scelta responsabile che può condizionare il mercato costringendolo orientarsi sempre più verso una cucina meno crudele.

Una cosa importante da sottolineare è che non bisogna comprare i crostacei per liberarli: dopo ore o giorni, di patimenti questi animali hanno, quasi certamente, subito dei danni fisiologici irreparabili: rimetterli nel loro ambiente potrebbe solo prolungare la loro agonia, senza contare la possibilità di liberare nei nostri mari specie aliene, causando ulteriori danni.

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Ermanno Giudici
Esperto in diritti degli animali
Mi occupo di animali da sempre, ricoprendo per oltre trent’anni diversi ruoli direttivi in ENPA a livello locale e nazionale, conducendo e collaborando a importanti indagini. Autore, formatore per le Forze di Polizia sui temi dei diritti degli animali e sulla normativa che li tutela, collaboro con giornali, televisioni e organizzazioni anche internazionali.
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