L'arcipelago Raja Ampat in Indonesia ospita la più grande comunità di Mante della barriera corallina (Manta alfredi) del Sud est asiatico. Decenni fa però la caccia intensiva, il turismo senza controllo e il calo delle nascite dovute al surriscaldamento oceanico hanno provocato un calo demografico nell'area. Una perdita così consistente di biodiversità che anni fa gli attivisti e i ricercatori si attivarono per istituire delle riserve marine (AMP) e tutelare la fauna e i risultati ad oggi sembrano incoraggianti.
Dopo diverse stagioni, uno studio ha analizzato migliaia di fotografie scattate dai subacquei specializzati nel monitoraggio e ha confermato che attorno alle isole che costituiscono l'arcipelago i numeri delle mante stanno migliorando. Alcuni biologi pensano anche che questo sia il frutto delle limitazioni imposte alla pesca con le istituzioni delle nove riserve che proteggono la biodiversità del luogo.
L'impiego dei database fotografici
Sempre più spesso i ricercatori usano i database fotografici per comprendere le reali dimensioni di una popolazione animale. Che siano i rinoceronti in Africa, come le razze che nuotano attorno alla barriera corallina, le immagini scattate dalle sonde, dai turisti e dagli stessi ricercatori sono utili per identificare gli esemplari e seguirli nel tempo.
Per quanto riguarda lo studio pubblicato su Frontiers, sono stati identificati tramite database 1041 esemplari, durante un periodo di circa 10 anni, ovvero dal 2009 al 2019. Seppure le dinamiche della popolazione di M. alfredi nella regione sono ancora in gran parte sconosciute e seppure la specie non possa vantare il record che appartiene alla specie sorella, Manta birostris, i dati forniti dall'analisi fotografiche hanno permesso agli autori di comprendere come la probabilità di sopravvivenza apparente di ciascun individuo e i tassi di reclutamento pro capite sono fortemente legati al fenomeno di El Niño.
Il fenomeno climatico che provoca un forte riscaldamento delle acque dell'Oceano Pacifico nei mesi di dicembre e gennaio in media ogni cinque/sette anni. Inoltre il modello presentato nello studio stima come le elevate probabilità di sopravvivenza apparente degli esemplari possa essere statisticamente legato all'aumento significativo delle dimensioni delle sottopopolazioni delle AMP nell'arco dei dieci anni.
In una specifica area del Raja Ampat, lo stretto di Dampier, la popolazione stimata è passata dai 226 esemplari a 317 individui adulti (3,9% di esemplari in più all'anno), mentre in altre aree si è passati da 210 a oltre 510 esemplari (10,7% in più) nell'arco di pochi anni. La crescita demografica, per quanto sia solo stimata, sembra dunque essere stata confermata in gran parte della regione. Per comprendere quanto grande e realistica sia questa crescita, i ricercatori devono affinare i loro dati, magari acquisendo ancora un maggior numero di immagini, provenienti da sonde e subacquei specializzati.
L'importanza delle aree marine protette
Nonostante il declino mondiale delle specie marine, studi come questo sottolineano l'importanza del monitoraggio a lungo termine e della presenza dell'AMPs negli oceani come mezzi efficaci per contrastare la perdita della biodiversità marina. L'efficacia delle misure di gestione della conservazione sulle popolazioni di mante in questo angolo di Indonesia inoltre può essere un monito su come si debba investire nell'impiego di nuove tecniche di indagine, per comprendere il reale status di salute di una popolazione animale. Le aree marine protette sono infatti importanti dal punto di vista conservazionistico per tutte gli esseri viventi che vivono dentro o poco lontano i suoi confini, ma è il lavoro costante dei ricercatori, tramite il monitoraggio periodico, che permette di assicurare un responso positivo nei progetti di conservazione e protezione. Questo ci permette di riflettere, riferendoci alla situazione italiana.
Anche da noi in Italia esistono molte AMPs e tra l'altro disponiamo delle due più grandi: il santuario dei cetacei fra la Corsica e la Liguria e l'AMP delle Egadi. Dal punto di vista semplicemente numerico il Mediterraneo potrebbe (quasi) considerarsi sicuro, visto l'alto numero e la grandezza dell'AMPs. È però il ritardo dei monitoraggi e la difficoltà nell'intercettare fondi a costituire la maggiore minaccia della loro sopravvivenza. In un mare sempre più inquinato, povero, caldo e ricoperto di tubature, le poche AMPs – solo il 2,6 della superficie marina è da considerarsi protetta nel mondo – non bastano a salvaguardare l'intero ecosistema marino. Bisogna aumentarne di numero e assicurare che gli vengano assegnati i fondi per il monitoraggio, per garantire così un futuro alle specie che vi abitano.