Con la quindicesima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sulla tutela della biodiversità attualmente in corso a Montreal e la presentazione dell‘aggiornamento della Lista rossa delle specie minacciate dell’International Union for Conservation of Nature, il direttore generale dell’IUCN, Bruno Oberle, ha proclamato l'allarme generale per la fauna marina, che rischia in pochi anni di venire completamente distrutta a cause delle attività umane.
Il bilancio presentato durante la COP infatti è desolante. Secondo gli ultimi dati rilevati dagli studi tecnici, effettuati in tutti i mari del mondo, la maggioranza delle specie marine rischia di estinguersi e circa 2,2 milioni di specie, ovvero il 90% di quelle presenti negli oceani, rischiano di scomparire prima ancora di venire scoperti, provocando esiti imprevedibili per la salvaguardia delle catene trofiche, per l'approvvigionamento alimentare umano e la regolazione degli ecosistemi marini e del clima.
«Si sta per profilare una tempesta perfetta insostenibile per le attività umane che decimerà anche la vita marina in tutto il mondo. Mentre il mondo guarda alla conferenza delle Nazioni Unite per impostare il percorso per il recupero della natura, semplicemente ci rendiamo conto che non possiamo permetterci di fallire. Abbiamo urgente bisogno di affrontare le crisi legate al clima e alla biodiversità, con profondi cambiamenti nei nostri sistemi economici, o rischiamo di perdere i servizi ecosistemici che ci forniscono gli oceani», ha affermato Oberle, in una lettera pubblicata sul sito dell'IUCN ed intervistato dai giornalisti americani presenti a Montreal.
Un futuro poco incoraggiante
Il documento che presenta meglio questi dati è quasi auto esplicativo. Buona parte delle specie che abitano gli abissi non sono stati ancora scoperti e non conosciamo il loro ruolo biologico all'interno degli ecosistemi conosciuti. La loro perdita porterebbe inavvertitamente a conseguenze molto gravi, per il benessere di tutte le altre specie presenti sul pianeta, senza considerare l'esaurimento delle risorse generato dalla loro morte che potrebbe portare ad apocalittici cambiamenti nella nostra dieta, quanto nella biodiversità delle profondità marine. Si potrebbe scommettere tra l'altro che alcune di queste specie sono molto importanti per contrastare il riscaldamento globale e l'acidificazione degli oceani. L'estinzione dunque aggraverebbe anche questi altre crisi.
Qualora si volesse scongiurare il pericolo rappresentato dall'estinzione di un così elevato numero di specie, bisognerebbe dunque iniziare a proteggere la fauna e gli ecosistemi marini in maniera più intensiva. Sono difatti isolate e pochi di numero rispetto l'estensione dell'oceano le aree marine protette che dovrebbero garantire la salvaguardia delle specie più a rischio. Incrementare la loro estensione e il loro numero porterebbe ad un miglioramento delle condizioni ambientali marine, affermano gli studiosi.
Affinché le politiche di protezione del mare possano però essere applicate, le diverse comunità umane necessiterebbero di molti cambiamenti, tra cui l'abbandono di alcune tecniche di pesca e l‘imprescindibile cambiamento della dieta in quelle regioni dove c'è un eccessivo commercio non necessario di proteine di origine animali. Buona parte dell'Occidente infatti, come alcune regioni ricche dell'Asia e del Sud America, consumano molto più pesce di quanto sarebbe necessario per le loro popolazioni di sopravvivere. E queste eccedenze nel consumo, lo pagano in parte le popolazioni ittiche, ma soprattutto le popolazioni umane povere che dispongono solo del pescato come fonte nutrizionale di proteine animali.
Inoltre, come si legge nel documento presentato dall'IUCN, bisognerebbe aumentare la qualità della conservazione delle specie nell'aree che si trovano al di fuori delle diverse giurisdizioni nazionali, dove avvengono il maggior numero di crimini ambientali nei confronti degli ecosistemi marini, per migliorare ulteriormente la chance di sopravvivenza di tutte quelle specie di cui noi non siamo in grado di valutare lo status di salute.
Sversamenti illegali di inquinanti, pesca di frodo, affondamento di vecchie navi, pirateria, installazione nascosta di allevamenti intensivi illegali, dove poter produrre pesce a buon mercato, ignorando le norme sanitarie nazionali, sono solo alcuni dei problemi che affliggono infatti il cuore degli oceani, aldilà dei noti problemi legati all'acidificazione e al surriscaldamento. Per questa ragione gli ambientalisti e le associazioni presenti alla COP15, tra cui WWF, chiedono ai leader presenti impegni concreti, affinché tutti i paesi del mondo si adeguino a nuove norme universali che tutelino il benessere delle specie marine.
Per Sean T. O’Brien, presidente e amministratore delegato di Nature Serve, il futuro dell'umanità e di queste specie è collegato all'affrontare le insidie che si nascondono dietro queste crisi. «Gli effetti combinati dell’attività umana sulle popolazioni della fauna selvatica sono innegabili. Questo aggiornamento della Lista Rossa fornisce le prove più recenti di come gli esseri umani non stiano adempiendo alle loro responsabilità come custodi della Terra … Dobbiamo lavorare insieme per prendere decisioni basate sulla scienza che diano la priorità alla conservazione del nostro mondo naturale».
Barney Long, invece, Senior Director di Conservation Strategy, preoccupato sulla risoluzione di questo conflitto fra esseri umani e animali, sostiene che «Invertire questi trend al ribasso richiede un approccio ecosistemico olistico, che tenga conto dei vantaggi fondamentali della protezione e del ripristino della Terra, come un’isola, nell’ambiente marino circostante. Noi abbiamo lanciato la Island-Ocean Connection Challenge per ripristinare almeno 40 ecosistemi insulari significativi a livello globale a beneficio di isole, oceani e comunità entro il 2030. Chiediamo ad altre associazioni o realtà ambientaliste di unirsi a noi».
Difficile restare indifferenti a questi appelli. L'ultimo elenco di prossime estinzioni evidenziati dall'IUCN segnala per esempio rischi notevoli per un tipo di corallo che forma strutture simili a dita nei Caraibi. Il corallo sta morendo in tutto il mondo a causa del sbiancamento e di malattie, cambiamenti climatici e inquinamento. E per quanto alcune nazioni come l'Australia abbiano contrastato alcune scelte che prevedono di inserire molte specie di coralli nell'elenco di specie a rischio della CITES, la convenzione di Washington che tutela il mercato dei prodotti di origine animale e vegetale di specie selvatiche, la necessità di tutelarli cresce sempre di più.
Tra i più grossi animali marini considerati prossimi all'estinzione globale abbiamo i dugonghi (Dugong dugon), la specie simbolo di questo accorato appello da parte delle associazioni e dell'IUCN.
Nel 2015, l'IUCN ha classificato questa specie come vulnerabile in tutto il mondo. Gli ambientalisti in particolare sono preoccupati per due sue popolazioni. La prima popolazione vive nelle acque al largo del Mozambico ed è scesa a soli 250 individui. La seconda si trova in Nuova Caledonia. Delle due popolazioni, la prima è quella considerata più a rischio, mortalmente vicino al pericolo di estinzione, ma in generale è l'intera specie ad essere vulnerabile. Come la popolazione cinese, che all'inizio di quest'anno è stata dichiarata funzionalmente estinta.
"Estinzione funzionale" significa in gergo che anche se alcuni esemplari di una popolazione possono ritenersi ancora vivi, il loro numero è troppo piccolo per mantenere una condizione vitale, ovvero non avrà il numero necessario di figli capaci di riprodursi. Dunque se molteplici popolazioni di una specie cominciano a cadere vittima di estinzioni funzionali, si prevede che il futuro della specie non sia roseo. Ma mentre in passato una estinzione funzionale poteva preoccupare gli studiosi riguardo solo al benessere della specie vittima del singolo evento estintivo, da ora in avanti ciascuna piccola estinzione potrà essere considerata come quella decisiva che causerà il crollo di un ecosistema, considerando il numero elevato ed anomalo di specie che rischiano contemporaneamente di svanire per colpa dell'uomo.
L'ecosistema marino è come un complesso castello di carte che invece di avere delle salde fondamenta nel suolo galleggia tra le correnti, non perdendo la propria coerenza grazie alla coesione che esiste fra le varie componenti della struttura. Se talvolta un componente – ovvero una carta, che rappresenta una singola specie – si perde, la struttura del castello può resistere alla corrente, ma fino ad un certo punto. Quando infatti più carte vengono travolte e trascinate via, la coesione dell'intera costruzione si dissolve e l'ecosistema muore, non avendo più nessun componente collegato ad altre carte tramite i servizi ecosistemici.
Non sappiamo se quando il dugongo scomparirà, l'ecosistema delle due popolazioni presenti in Mozambico e Oceania subirà così tanti danni da deperire. Sappiamo però che qualora la previsione dell'IUCN si rivelasse vera – e non abbiamo dati da contrapporre a questa profezia – presto buona parte della vita sulla Terra svanirebbe di esistere, favorendo un futuro a cui nessuno di noi vuole immaginare di vivere.