Fino ad una decina di anni fa, in cinofilia esistevano addestratori convinti che per comunicare efficacemente con un cane bisognasse fare cose “da cani”. Curiosamente questa convinzione si limitava alla sola comunicazione avversativa, quella cioè che ha come obiettivo il far capire al cane lo sdegno per un suo comportamento ritenuto inaccettabile. Così c'era gente che capovolgeva di peso il cane per terra come fa la cagna con i cuccioli per redarguirli, altri premevano il muso con le mani per mimare la bocca di un cane più autorevole, altri “ringhiavano”, letteralmente, fissando il cane negli occhi quando volevano manifestare la loro rabbia. C'è stato chi è arrivato a mordere l'orecchio al proprio cane per punire la condotta. Mai nessuno, però, che si mettesse a sculettare a gattoni per esprimere entusiasmo.
Per fortuna è arrivata la scienza a salvarci e a mostrarci con sempre maggiore chiarezza che le capacità socio-cognitive dei cani sono complesse a sufficienza da esimerci da tutto questo. Oggi nessun cinofilo minimamente preparato si sognerebbe di prendere un cane a morsi per redarguirlo. Semplicemente abbiamo imparato che i cani sanno leggere in modo accurato il comportamento e l'emotività degli esseri umani senza richiedere a noi l'assunzione di pose improbabili.
Socchiudere gli occhi per comunicare con i gatti
Questi ricordi mi sono tornati in mente qualche tempo fa in seguito alla pubblicazione di un articolo scientifico di Tasmin Humphrey e colleghi apparso in ottobre su Scientific Reports, in cui si dimostrava che i gatti riconoscono e rispondono allo slow blinking da parte degli esseri umani. Per slow blinking si intende un comportamento in cui il gatto socchiude ripetutamente gli occhi mentre mantiene il contatto visivo con un altro individuo. Si tratta di un segnale dal significato conciliatorio, è il modo con cui il gatto dichiara la propria non belligeranza durante un'interazione (diversamente dalla comunicazione di minaccia in cui lo sguardo è fisso e ad occhio aperto) e la comunica al suo interlocutore.
Con una serie di prove, gli sperimentatori hanno dimostrato che un gatto risponde con lo slow blinking se il proprietario lo propone e lo fa più spesso di quanto possa accadere con un estraneo che faccia altrettanto. Inoltre un estraneo che manifesti lo slow blinking viene avvicinato con più probabilità rispetto ad uno con espressione neutra. La conclusione, rimbalzata su più siti tematici, è che lo slow blinking può essere visto come un canale emotivo efficace per la comunicazione uomo-gatto, visto che i gatti vi rispondono.
Come il gatto comunica con noi
Solo un mese prima una volontaria in campo animalista mi aveva chiesto cosa ne pensassi dello slow blinking che lei usava per tranquillizzare gli ospiti del gattile e comunicare le sue buone intenzioni nei loro riguardi (questa pratica appartiene effettivamente alla cultura popolare da decenni). Le risposi che sono convinta che i gatti abbiano una lettura del comportamento e dello stato emotivo umano che va ben oltre l'utilizzo di un gesto che, per altro, non rientra nel nostro “vocabolario” di specie. Non lo usiamo con spontaneità: è sempre l'imitazione un po' scimmiesca di qualcosa che non ci appartiene, il che ci rende poco credibili. Non dubito che un gatto tenda ad associare lo slow blinking agito da un essere umano (o da altre specie, ma questo è da dimostrare) ad un'assenza di minaccia, nello stesso modo in cui noi esseri umani associamo invariabilmente un abbraccio ad un gesto d'affetto, anche quando ad esprimerlo è un gatto su un peluche. Tuttavia, sono anche convinta che ai gatti non si possa mentire e che loro sappiano, anche per ragioni evolutive, leggere i nostri stati emotivi e le nostre intenzioni da molti altri dettagli della nostra comunicazione non-verbale. Se la comunicazione complessiva è confusa e contraddittoria, non sarà lo slow blinking a convincere un gatto a fidarsi di noi.
La comunicazione emozionale con il gatto
Nella comunità dei gattofili è esperienza assai condivisa, per esempio, la capacità dei gatti di anticipare l'intenzione del proprietario di applicare sulla pelle l'odioso antiparassitario. Nemmeno il tempo di pensarlo, di prendere la pipetta dal cassetto che quelli si son già dileguati, mostrando una inspiegabile dote da mentalisti, capaci di cogliere ogni rigidità muscolare, ogni sfumatura dello sguardo, ogni minima irregolarità del nostro respiro.
I risultati di Humphrey e colleghi, allora, a mio parare sono importanti perché aprono nuove finestre di consapevolezza sul funzionamento percettivo dei gatti ma continuo a pensare che quel che è efficace davvero nella comunicazione con loro sia la nostra autenticità. Sia il porci in un modo sinceramente umile davanti ai loro occhi indagatori, senza secondi fini e senza aspettative personali, in modo che possano davvero prendere le misure della nostra anima, lasciando loro il tempo e il modo di trarne delle conclusioni e trovare soluzioni. Muoversi in maniera fluida, comunicare e sentire sinceramente ma, soprattutto, personalmente, è la cosa che conquista davvero i gatti. Diversamente rischiamo di finire, seppur con intenzioni magnanime, come gli addestratori morsicatori, convinti che per farsi capire basti mimare dei gesti, per quanto concretamente percepibili per la scienza, riducendo la comunicazione uomo-gatto ad un esercizio meccanicista di stimolo-risposta, una visione ormai superata dalla moderna concezione della mente animale. Ma, soprattutto, continueremo a non riuscire a comunicare realmente con un animale sensibile ed emotivamente complesso come il gatto.