Cacciare per portare a casa come ricordo il corpo dell'animale ucciso o parte di esso: la testa, la pelle, ma anche artigli, orecchie, piedi o denti, conservati ed esposti come souvenir a dimostrazione delle proprie abilità venatorie.
Ecco di cosa si tratta quando si parla di caccia al trofeo: un passatempo praticato prevalentemente da unʼelite benestante e nato nellʼOttocento, durante lʼespansionismo europeo, per dimostrare la propria superiorità sui territori esotici dʼoltremare e sulle popolazioni native.
Un crudele hobby strettamente legato al desiderio di esprimere potere e senza alcun legame con la caccia legata alle necessità alimentari.
Si potrebbe pensare che, con il tempo, questa macabra abitudine sia andata scemando, oppure che non ci riguardi da vicino, ma non è esattamente così.
LʼUnione Europea, infatti, è ancora oggi il secondo importatore di trofei di caccia al mondo, dopo gli Stati Uniti, e ogni anno, migliaia di persone decidono di viaggiare da una parte allʼaltra del Pianeta, spendendo cifre esorbitanti, per poter uccidere elefanti, leoni, gazzelle e numerosi altri animali.
Una realtà brutale, immorale e in continua crescita che, oltre a creare inutili sofferenze, mette seriamente a rischio la conservazione di moltissime specie, che, in alcuni casi, anche a prescindere dalla pressione venatoria, stanno registrando un declino della popolazione, come ad esempio il rinoceronte nero (Diceros bicornis), lʼaddax (Addax nasomaculatus) e la gazzella dama (Nanger dama).
Per quanto riguarda i grandi predatori, come leopardi e leoni, invece, il loro declino non rappresenta un evento drammatico solo per la specie, ma è capace di cambiare lʼintero panorama ecosistemico, con una conseguente alterazione delle popolazioni di ungulati e piccoli primati.
I numeri di una strage silenziosa a cui partecipa anche lʼItalia
Chi ha a cuore la conservazione di specie ed ecosistemi, probabilmente, si starà stupendo del fatto che queste attività siano ancora oggi legali. Eppure, sebbene molte specie siano protette, i trofei vengono indicati nelle legislazioni internazionali come “oggetti personali e domestici”. Il Cites, che regolamenta il commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, ne concede quindi l’importazione e l’esportazione, facendo solo richiesta di specifici documenti emessi dal paese di origine e, in alcuni casi, quello di destinazione. La materia varia in base alla categoria di protezione della specie, ma per il momento non impedisce agli europei di proseguire in questo terribile mercato di morte. Solo tra il 2014 e il 2020, infatti, in Europa abbiamo importato 20.678 trofei di caccia, per una media di circa 3000 importazioni l'anno.
LʼItalia, in particolare, nello stesso arco di tempo è stata responsabile dellʼimportazione di 437 trofei provenienti da specie protette a livello internazionale e, di questi, 41 erano di leopardo africano.
I paesi che importano il maggior numero di trofei in Europa sono Germania, Spagna e Danimarca e, da soli, rappresentano oltre il 50% di questo macabro mercato di corpi.
Vi è poi un ulteriore fenomeno, ovvero quello dellʼesportazione di trofei a partire da paesi appartenenti alla stessa Unione Europea. Anche in questa parte del mondo, infatti, è possibile partecipare a battute di caccia organizzate appositamente per poter portare a casa il proprio souvenir di esseri viventi ormai senza vita. I paesi in cui ciò avviene più spesso sono la Romania, la Francia e la Spagna che, insieme, esportano il 57% del totale di trofei provenienti dallʼUnione Europea.
Nella tragica classifica delle specie maggiormente importate, al primo posto si trova la zebra di montagna di Hartmann (Equus zebra hartmannae), che rappresenta addirittura il 32% del totale, seguita dal babbuino nero (Papio ursinus) e lʼelefante africano (Loxodonta africana). Al quarto posto si trova, invece, il leopardo (Panthera pardus) e al quinto lʼorso bruno (Ursus arctos).
Cosa possiamo fare per bloccare lo sterminio di animali causato dalla caccia al trofeo?
Uno degli aspetti più tristi e paradossali di questa terribile barbarie è legata al fatto che sia del tutto legale causare la morte e oggettificare individui di specie che in realtà sono tutelate da convenzioni internazionali e questo nonostante la maggior parte della popolazione europea si dica contraria alla caccia al trofeo.
A dimostrare la posizione dei cittadini è un sondaggio condotto da Savanta ComRes in Germania, Italia, Polonia, Danimarca e Spagna, commissionato da Humane Society International (HSI), unʼorganizzazione internazionale che si batte con forza a livello globale contro lo sfruttamento e il maltrattamento degli animali e, in particolare, contro la caccia al trofeo.
Secondo i risultati del sondaggio, che ha coinvolto oltre 10 mila persone, lʼ86% degli italiani è contrario alla caccia al trofeo in generale e la percentuale sale allʼ88% quando si parla di animali protetti.
Tra gli intervistati, soltanto il 25% si è detto consapevole del fatto che questo tipo di caccia è ancora consentita in Europa e appena la metà dei partecipanti al sondaggio sapeva che gli stessi italiani viaggiano allʼestero per cacciare con il solo obiettivo di portare a casa un trofeo.
Se nonostante queste opinioni nette, la terribile barbarie della caccia al trofeo è ancora legale, cosa si può fare per cambiare davvero le cose?
Un'importante soluzione potrebbe essere quella di bloccare lʼimportazione e lʼesportazione di trofei per quanto riguarda tutte le specie, con un divieto introdotto da più Stati Membri dell’Unione Europea. Proprio per questo motivo, HSI ha collaborato alla presentazione di due proposte di legge, ha realizzato numerose attività di pressione politica e sensibilizzazione e ha lanciato una petizione dal nome #NotInMyWorld, che ha l'obiettivo di fare pressione sul governo italiano e avvicinarsi ad un futuro in cui l'importazione e lʼesportazione di trofei siano finalmente attività vietate dalla legge.
Questa pratica ha messo a rischio la conservazione di moltissime specie, già minacciate anche per la riduzione dellʼhabitat, dalla crisi climatica e dalle attività dellʼuomo sullʼambiente. La caccia al trofeo, nel contesto critico che stiamo vivendo, oltre ad essere anti etica è anche una dimostrazione di irresponsabilità e di disinteresse per il futuro del Pianeta Terra.