Jambolina è solo l’ultima. L’ultima ad essere stata liberata dalla sua prigione, una gabbia minuscola e arrugginita, dove viveva prigioniera da quando il Covid-19 aveva bloccato il circo e gli spettacoli ai quali era obbligata in Ucraina. Jambolina è, anzi era, una "selfie bear", un “orso da selfie”, come vengono chiamati i plantigradi trascinati sulle spiagge con un anello conficcato nelle narici o prigionieri in piccole gabbie, in genere accanto ai grandi ristoranti o ai distributori di benzina, per strappare qualche spicciolo ai turisti di passaggio che vogliono scattarsi una foto ricordo. Il triste destino dei selfie bears ha accumunato negli ultimi decenni centinaia di orsi che vivono aldilà dell’Adriatico, in tutti quei territori che si estendono dalla Russia alla Grecia.
I “selfie bears” una triste tradizione ancora viva
Una triste tradizione ancora attiva soprattutto nei Balcani, nell’area dell’ex Jugoslavia frantumata negli attuali Bosnia ed Erzegovina, Kossovo, Serbia, Croazia e Slovenia. Ma presente anche in Macedonia, in Montenegro e in Albania. Per Jambolina fortunatamente un giorno la storia è cambiata. Recuperata da Four Paws, associazione internazionale in difesa degli animali molto attiva anche nei Balcani, è stata portata in salvo in Svizzera. Un lungo viaggio, 2.400 chilometri per raggiungere il santuario di Arosa Bear Land, dove ha potuto incontrare i suoi nuovi amici, Amelia e Meimo, anche loro sfuggiti alle catene e ora curati e assistiti nella loro nuova casa.
Cooperazioni internazionali per i salvataggi
Jambolina è davvero l’ultima di una lunghissima serie. Tanti i salvataggi che, grazie ai volontari e alle associazioni internazionali, riescono a strappare questi orsi ad un destino terribile fatto di catene, privazioni, esibizioni e violenze. Nel 2017 una collaborazione internazionale ha portato al Parco Nazionale d’Abruzzo Piero, Leone e Sonia tre orsi dal terribile passato molto simile, che in Italia hanno trovato una nuova casa e gli spazi adatti alla loro nuova vita. Nel 2018 coinvolto anche il Bioparco di Roma in un’altra operazione internazionale che ha portato nella capitale Sam, Mary e Ganni, tre cuccioli di orso bruno salvati in Albania.
Gli orsi albanesi: prigionieri, morti o venduti
«Fino a qualche anno fa erano una cinquantina gli orsi detenuti illegalmente in Albania ed esposti per le foto ricordo – racconta Sajmir Shehu, Bears Albania project manager e coordinatore di Four Paws per l’Albania – grazie ad azioni congiunte fra varie associazioni siamo riusciti a liberarne 33 che dopo qualche mese di attesa siamo riusciti a trasferire all’estero. Ma la situazione qui è molto complicata. Il progetto di Four Paws per un grande santuario per orsi, circa 11/12 ettari di terreno a disposizione di almeno una ventina di orsi che sarebbe dovuto costare al massimo 3 milioni di euro, non ha mai visto la luce. Progetto bloccato sicuramente per problemi burocratici, per mancanza di fondi ma probabilmente anche perché l’area è più interessante per progetto più redditizi». Dell’altra ventina di orsi si sono perse le tracce. «Venduti o probabilmente morti – continua Sajmir – quando crescono e mangiano troppo e diventa complicato tenerli in gabbia, molti se ne disfano. Di uno soltanto abbiamo notizia: si trova in una gabbia nei pressi di un ristorante molto conosciuto di Tirana. I proprietari sarebbero anche disponibili a cederlo, ma vogliono che non venga trasferito troppo lontano. Incredibilmente, malgrado li costringano a vivere in condizioni inammissibili per un essere vivente, in qualche modo si mostrano affezionati».
I cuccioli sono più a rischio
«La situazione dei cuccioli è quella che ci preoccupa di più. Ne abbiamo individuati cinque o sei in cattività ma non riusciamo a coinvolgere le autorità che fanno finta di niente malgrado le nostre sollecitazioni- Un paio sono nel nord dell’Albania, a bordo di barche che risalgono i fiumi tra le montagne, e servono ad attrarre i turisti. La situazione è stata segnalata anche al ministro dell’Ambiente albanese ma è molto difficile da sbloccare perché mancano le strutture dove portarli in salvo prima del trasferimento all’estero. Come dicevo la situazione è molto complicata e questo rischia di danneggiare il processo di sensibilizzazione che eravamo riusciti ad attivare, perché si sta diffondendo l’idea che le autorità non sono interessate a intervenire».
Gli orsi da combattimento: il fenomeno dei “bears baiting”
«Sappiamo per certo che in Bosnia Erzegovina e nel nord della Macedonia e in Montenegro la situazione è abbastanza simile. In Serbia forse un po’ migliore. Ma è preoccupante anche il fenomeno degli orsi da addestramento Li utilizzano per addestrare i cani da combattimento: abbiamo video che lo testimoniano». Il fenomeno dei Bears Baiting è molto antico e testimoniato in maniera abbondante nell’Inghilterra elisabettiana dove era considerato un divertente spettacolo. L’orso era incatenato ad un palo al centro di un’arena circolare e gli veniva scagliati contro cani da caccia particolarmente aggressivi, fino alla morte di uno e di entrambi. Abolita alla fine dell’800, la pratica sopravvive nella forma violenta di addestramento per i cani da caccia obbligati a combattere contro un orso incatenato. Spettacoli molti violenti che attraggono spettatori e scommesse illegali, soprattutto nell’area balcanica.
La diminuzione degli orsi selvatici e la vendita su Internet
Negli ultimi anni si è assistito ad una diminuzione costante anche degli esemplari liberi e selvatici. La trasformazione del clima, il bracconaggio e la deforestazione sono le cause maggiori del fenomeno. «In tutta l’Albania contiamo ancora soltanto 180 orsi liberi – spiega Sajmir – una riduzione significativa, tanto che ormai l’orso balcanico è stato inserito nelle liste degli animali in pericolo di estinzione. Sappiamo per certo che esiste anche una compravendita tramite internet di animali selvatici, fra cui l’orso o le parti di esso. Attraggono molti mercati, tra cui quello asiatico. Seguiamo molte vicende e cerchiamo sempre di intervenire. A volte riusciamo a trovare un accordo con i proprietari per eliminare gli annunci, ma molto spesso ci rispondono che sono morti o che li hanno già venduti. E non possiamo fare più niente».