L’accumulo compulsivo di animali, conosciuto anche come animal hoarding, è un disturbo mentale che porta a raccogliere, nei modi più disparati, un grande numero di animali senza riuscire poi a occuparsene in modo effettivo. Una patologia grave che causa problemi non solo agli animali, involontari soggetti di maltrattamento in forme anche gravissime, ma anche alle persone malate e a tutto il nucleo familiare, in particolar modo quando vi sono minori.
Questo disturbo in Italia è molto spesso ignorato e liquidato come un inconveniente igienico, mentre in realtà è una patologia sulla quale occorre intervenire, comprendendo e rimuovendo le condizioni che hanno portato alla creazione di situazioni di degrado inaccettabili.
Le motivazioni che portano a questa sottovalutazione vanno ricercate principalmente nella difficoltà di organizzare interventi multidisciplinari complessi, per cui spesso le amministrazioni pubbliche coinvolte gettano la spugna ancor prima di arrivare a una valutazione dell’intera vicenda. Con il paradosso che, specie nei piccoli comuni, sono proprio i funzionari pubblici a affidare a questi soggetti patologici gli animali rinvenuti sul territorio quando hanno difficoltà nella loro collocazione per mancanza di strutture idonee a riceverli. Mai come in questo caso il classico gatto che si morde la coda!
Parliamo di questa problematica con Emanuela Prato-Previde, studiosa del rapporto fra uomini e animali e docente di psicologia alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Statale di Milano, che da molto tempo studia il fenomeno dell’accumulo compulsivo di animali.
La patologia che porta all'accumulo di animali è riconosciuta come un disturbo psichiatrico?
Il Disturbo da Accumulo (DA) è stato riconosciuto come disturbo mentale autonomo recentemente nella quinta edizione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali) del 2013, come categoria diagnostica a sé stante all’interno del capitolo sui disturbi ossessivi-compulsivi. Fra le varie tipologie di accumulo oltre a quello di materiali e oggetti esiste un fenomeno legato espressamente a quello degli animali.
Che sofferenze origina questo fenomeno a uomini e animali, pensando per esempio ai contesti familiari?
Spesso il problema dell’accumulo riguarda una singola persona, prevalentemente di genere femminile e con un’età superiore ai 50 anni. La sofferenza è grave ma relativa alla persona stessa e ovviamente agli animali accumulati.
In genere parenti e famigliari, se possono, si tengono lontani dalla situazione invivibile: i conviventi appena ne hanno possibilità lasciano la casa e le altre persone che hanno legami con l’accumulatore interrompono le frequentazioni e, purtroppo, raramente segnalano il fenomeno e quindi interferiscono con la sua risoluzione.
Altre volte invece ci sono persone che vivono con il soggetto accumulatore che possono subire gli effetti negativi di questo problema, sia a livello di salute che psicologico, ma non sono in condizioni di segnalare la situazione o chiedere aiuto. All’apice del fenomeno le condizioni igieniche possono essere completamente fuori controllo, con ambienti invasi da deiezioni, avanzi di cibo e spesso anche dai cadaveri non rimossi degli animali morti. Il soggetto accumulatore, inoltre, ha scarsa cura della propria igiene, anche perché gli stessi servizi sanitari risultano essere occupati da animali e impraticabili.
In alcuni casi di accumulo ci può essere un partner coinvolto nel fenomeno, possono esserci minori, genitori anziani dipendenti o anche invalidi che vengono trattati come l’accumulatore tratta sé stesso e gli animali. Una caratteristica della patologia è infatti quella negare, minimizzare o addirittura non percepire proprio l’esistenza del problema relativo al degrado delle condizioni di vita proprie degli altri e degli animali.
Le persone “succubi” dell’accumulatore vengono così danneggiate in termini di salute, condizioni di vita inaccettabili e anche dall’abbandono psicologico. Gli animali hanno problematiche sia fisiche – diversi tipi di patologie o livelli alti di denutrizione e mancanza di cure veterinarie – ma anche psicologiche perché le loro necessità etologiche non vengono minimamente rispettate, costringendoli a vivere in una condizione di distress costante che lascia tracce profonde e durature sotto forma di disturbi del comportamento. Un fatto che ha produce come risultato la difficile adozione di questi animali da canili e gattili, una volta che vengono sottratti al soggetto patologico.
A suo parere si fa abbastanza per contrastare il fenomeno?
Assolutamente no soprattutto da noi in Italia. In alcuni Paesi la situazione è migliore. E sono state messe a punto delle strategie di intervento, che seguono moduli operativi con procedure standard.
Il fenomeno è complesso, poco conosciuto, la sua diffusione sfugge e i casi emergono quando la situazione esplode. I casi di accumulo sono oggettivamente molto difficili da indagare e risolvere a causa della loro complessità. L’intervento spesso richiede il coinvolgimento di più istituzioni, come i servizi per la salute mentale e quella pubblica, i servizi sociali per la tutela degli anziani e dei minori, le forze dell’ordine, e quanti si occupano della tutela degli animali. La gestione dei casi di accumulo è frequentemente lenta, faticosa e costosa. Risulta essere necessario, inoltre, sensibilizzare la popolazione sul fenomeno, sul ruolo dei cittadini nell’identificare i casi e segnalarli nell’interesse delle persone e degli animali coinvolti nel fenomeno.
La modalità di intervento più efficace deve comprendere un approccio multidisciplinare, integrato e coordinato basato sulla cooperazione stretta e non sulla competizione dei singoli enti, per affrontare e risolvere la molteplicità delle condizioni problematiche che vanno dall’insufficiente cura della salute fisica e mentale del soggetto, alle esigenze degli animali e alla cura e messa in sicurezza dell’abitazione. Quando questo accade gli esiti sono buoni e le recidive si riducono.