Il bracconaggio dell'avifauna è un fenomeno ancora molto diffuso in Italia, rotta importante per tantissime migrazioni stagionali, dai piccoli pettirossi ai grandi rapaci. Il nostro Belpaese è in Europa quello con più casi accertati. In nessun altro stato membro dell'UE così tante persone cacciano illegalmente uccelli e da nessun'altra parte sono in uso così tanti metodi di cattura illegale.
I luoghi dove avvengono le predazioni sono sparsi su tutta la Penisola e sono molto ben conosciuti da quel mondo che, con tutti gli strumenti possibili, dalle tagliole, agli archetti, alle reti nascoste nella vegetazione, cerca di distruggere ecosistemi e biodiversità.
Sono gli stessi luoghi dove i Carabinieri forestali del CITES hanno l’onere di far rispettare la Convenzione di Washington, la carta che dovrebbe controllare il commercio degli animali e delle piante, una delle principali cause dell'estinzione delle specie viventi. Il gruppo specializzato di militari lavora costantemente con attività e operazioni di prevenzione e repressione dell’illegalità.
La kill zone segnalate dal Ministero dell’Ambiente
Per cercare di difendere al meglio gli uccelli migratori di questi luoghi, il ministero dell’Ambiente ha individuato delle kill zone del bracconaggio italiano, dove viene fatta quotidianamente dai carabinieri attività e operazione di prevenzione e repressione dell’illegalità. E, pur con fatica, i risultati si vedono. Anche grazie a leggi dure che prevedono accuse di reato molto gravi, che vanno dall’associazione a delinquere alla ricettazione, al maltrattamento di animali.
Valli alpine e prealpine della provincia di Brescia
Val Camonica, Val Trompia e Valle Sabbia sono le principali valli dove ogni anno, tra settembre e ottobre, avviene il contrasto contro la cattura dell’avifauna. In queste zone è soprattutto il pettirosso l’uccello più catturato, insieme al fringuello, alla peppola, alla cincia mora e altri ancora. La motivazione principale della cattura di questa piccola specie di volatile è per rendere omaggio alle ricette della cucina tradizionale veneta e bresciana con la tipica polenta e osei. Il problema è che la caccia di questi uccelli è vietata perché sono una specie protetta.
A rischio i fischioni e le oche selvatiche sul Delta del Po
Sul Delta del Po le specie più in pericolo sono i fischioni, le oche selvatiche ma anche le folaghe e beccaccini. Qui i militari, per fermare la predazione agiscono con le barche, perché il territorio con le sue insenature e i suoi boschi dove i cacciatori riescono a infiltrarsi, è un luogo molto complicato per combattere il bracconaggio.
Sullo Stretto di Messina si uccide il falco adorno per superstizione
Sullo Stretto di Messina la difesa è nei confronti principalmente del falco pecchiaiolo, detto anche adorno, ma tra gli altri, ci sono anche la poiana, il nibbio bruno, il gufo di palude, il gheppio e il capovaccaio. Addirittura qui la caccia di questo volatile, non ha risvolti economici, ma assurdamente si fa per una superstizione secondo la quale uccidere un adorno prometterebbe una vita tranquilla. Un usanza barbara che sta fortunatamente scemando, grazie sia alle campagne di prevenzione dei militari, sia agli sforzi di volontari e associazioni ambientaliste.
In Sicilia il bottino solo le uova dell'Aquila e della berta maggiore
In Sicilia chi se la vede brutta è l’aquila del Bonelli alla quale il bracconaggio “ruba” le uova dai nidi. Ma non se la passa bene nemmeno il falco lanario, nonché diverse specie di altri falconiformi. Molto diffusa la predazione delle uova della berta maggiore che depone un solo uomo l’anno in tre luoghi diversi, ma di cui Linosa è il più importante.
Gli altri black spot controllati sono le coste e zone umide pugliesi, soprattutto il Foggiano, col Parco nazionale del Gargano e la riserva naturale salina Margherita di Savoia; la Sardegna meridionale, le coste campane e laziali comprese le isole Ponziane e Flegree.