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4 Marzo 2021
14:53

In Kenya un italiano punta sul turismo per salvare la fauna selvatica

La definisce la sua “seconda vita”. Dopo aver fatto il corrispondente dall’estero per alcuni dei maggiori quotidiani italiani, oggi ha cambiato missione e salva gli animali in Kenya. Dal 2003 vive lì ed è co-proprietario di quattro campi safari, il Saruni Mara, il Saruni Wild, il Saruni Samburo e il Saruni Rhino, quest'ultimo uno spazio dove si possono osservare 16 rinoceronti neri usando i metodi tradizionali del tracciamento dei Samburu, la comunità che da sempre ha vissuto in quelle zone. E' Riccardo Orizio.

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La definisce la sua “seconda vita”. Dopo aver fatto il corrispondente dall’estero per alcuni dei maggiori quotidiani italiani, oggi ha cambiato missione e salva gli animali in Kenya. Dal 2003 vive lì ed è co-proprietario di quattro campi safari, il Saruni Mara, il Saruni Wild, il Saruni Samburo e il Saruni Rhino, quest'ultimo uno spazio dove si possono osservare 16 rinoceronti neri usando i metodi tradizionali del tracciamento dei Samburu, la comunità che da sempre ha vissuto in quelle zone. Lui è Riccardo Orizio che per 20 anni, prima di fare questa scelta, ha sognato di spostarsi in Africa per occuparsi della fauna messa in pericolo. Nei parchi, si tutelano struzzi, giraffe, zebre di Grevy, ma anche elefanti e antilopi.

«Mi sono innamorato dell'Africa, mi sono innamorato della meravigliosa fauna del Kenya e mi sono anche innamorato dell'idea di contribuire a modi innovativi per proteggere la terra, la gente che possiede la terra e la fauna attraverso il turismo», spiega a Kodami. «Il mio lavoro non è solo quello di gestire queste proprietà per clienti internazionali e locali, ma di assicurarmi che le comunità nomadi Masai e Samburu traggano beneficio dai turisti, per diventare i principali protettori della terra e della fauna selvatica».

La formula messa in campo, volta proprio a garantire la salvaguardia della fauna del Kenya, è tutta particolare: l’80% dei dipendenti delle quattro aree verdi provengono dalle comunità e circa il 70% dei ricavi, spiega il giornalista e scrittore, vanno ai proprietari terrieri per evitare che si costruiscano abitazioni, fattorie o che i loro animali possano pascolare nelle aree che invece sono dedicate alla fauna selvatica. «Quando la terra è lasciata pura e incontaminata, gli animali selvatici prosperano e si moltiplicano. Quindi l'idea è quella di tenere la terra lontana dall'interferenza umana, assicurarsi che la fauna selvatica abbia spazio e possa muoversi a sufficienza», racconta Orizio.

La fauna selvatica in Kenya è di proprietà dello Stato, e si trova sotto la tutela del Kenya Wildlife Service, una struttura che gestisce circa l'8% delle terre del Paese, con 23 parchi nazionali, 28 riserve nazionali e 4 santuari nazionali. Inoltre, sotto la gestione del Kws ci sono 4 Parchi nazionali marini e 6 Riserve nazionali marine e 125 stazioni da campo al di fuori delle aree protette.

Il Covid-19 ha colpito la tutela degli animali selvatici in Kenya

E’ lo stesso titolare dei campi Saruni a dire che il crollo dell’80% dei ricavi del turismo internazionale causato dalla pandemia di Covid-19, ha avuto conseguenze negative proprio sui programmi di conservazione della fauna selvatica. Ma secondo l'International Rhino Foundation la pandemia può aver fatto bene agli animali: c'è stata una diminuzione degli incidenti di bracconaggio durante la prima metà del 2020. Con l'aumento della presenza di militari e polizia, con l'adozione di posti di blocco e la chiusura dei parchi governativi, le bande di bracconieri avrebbero ritenuto troppo rischioso andare a caccia senza destare troppi sospetti. Le restrizioni ai viaggi internazionali, inoltre, avrebbero chiuso le rotte del traffico di animali selvatici verso Cina e Vietnam, i più grandi mercati illegali proprio per il corno di rinoceronte. Ma l'allentamento delle misure, spiegano dalla Fondazione, potrebbero riportare i bracconieri in circolazione. La specie del rinoceronte nero in Africa ha avuto un lieve aumento della popolazione, pur rimanendo sempre in pericolo: ammonta a 5.630 esemplari rispetto ai 5.500 del 2019.

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