«I primi macachi arrivati qui preferivano camminare sul bordo di cemento del giardino piuttosto che sulla parte erbosa perché per loro era una cosa nuova», è stato questo l'impatto di Valeria Albanese, ricercatrice e attivista per i diritti degli animali, quando ha accolto le prime scimmie reduci della sperimentazione animale all'interno del Centro di Recupero Animanatura Wild Sanctuary di Semproniano.
La struttura è immersa tra le colline e i boschi verdi della maremma toscana e ospita più di 100 animali che la Lav, la più grande associazione di tutela animale, ha salvato da allevamenti, circhi, traffico illegale e vivisezione. Tra questi ci sono anche i macachi di Giava, le scimmie più usate dalla sperimentazione animale.
Secondo la più recente Relazione sulle statistiche relative all'uso di animali a fini scientifici in Europa, Nel 2020 quasi 8 milioni di animali sono stati utilizzati per la prima volta in attività di ricerca, sperimentazione e istruzione nei 27 Stati membri e in Norvegia. Un calo del 7,5% rispetto al 2019 che però non ha coinvolto nello stesso modo tutte le specie.
L'utilizzo per la prima volta di cani – che per la maggior parte sono di razza Beagle – ha proseguito la tendenza al ribasso, diminuendo ulteriormente del 16%, in calo anche l'uso di cefalopodi (-90%). Tra gli altri cambiamenti significativi è aumentato l'impiego cavalli, asini e incroci con di 2.500 registrando +176%. Si è registrato anche un aumento del primo utilizzo di criceti (+66%) e gatti (+15%).
L'impiego delle scimmie, cioè dei primati non umani, negli Stati membri e in Norvegia è diminuito del 10%. Il dato però è solo una media su 28 Paesi che hanno normative tra loro non omogenee. «In Italia – spiega Albanese – l'impiego dei macachi di Giava è aumentato e in molti casi si tratta di animali che vengono catturati in natura».
La Direttiva europea sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, stabilisce che determinate specie vengano allevate appositamente e non prelevate dall'ambiente naturale. Questo ha motivazioni legate al benessere degli animali e alla conservazione, ma anche perché l'allevamento e quindi la selezione permette di conoscerne a fondo il patrimonio genetico degli animali impiegati nella ricerca. Secondo le disposizioni europee quindi l’uso di animali prelevati dall’ambiente naturale dovrebbe essere limitato ai casi in cui è impossibile raggiungere lo scopo usando animali allevati.
Si tratta di una regola formale che secondo l'attivista della Lav vale solo sulla carta: «Nella pratica, i laboratori europei chiedono agli allevatori che le scimmie siano almeno di seconda generazione – ubicati principalmente nelle isole Mauritius e in Cambogia – ma nei Paesi dei principali esportatori, che si trovano sulle isole Mauritius e in Cambogia, non ci sono controlli sufficienti. Sono stata in Cambogia e ci sono prove tangibili che le cattura avvengono anche allo stato selvatico. Prima della pandemia da Covid-19 era la Cina il principale fornitore, con il blocco delle export però tutti gli altri hanno dovuto fare fronte a una richiesta elevatissima alla quale non erano preparati».
I prelievi in natura dei macachi di Giava sono stati così ingenti da determinare il passaggio nella categoria "in pericolo" nella Lista Rossa della IUCN. «Nel Sud Est Asiatico questa specie era molto abbondante fino a qualche decennio fa, questo perché hanno alti tassi riproduttivi. Tuttavia ben presto si sono rivelate anche semplici da catturare e allevare – sottolinea Albanese – Quelli di Giava sono più piccoli rispetto ad altri macachi e quindi di più facile gestione, inoltre in natura vivono in gruppi numerosi e quindi è più semplice per allevatori e ricercatori farli stare in gruppo nelle gabbie. Non hanno un'aggressività molto spiccata nei confronti dei loro simili, al contrario dei macachi Reso o del Giappone che invece sono più dispotici».
La Direttiva europea in vigore ha lo scopo di tutelare gli animali usati nelle sperimentazione, ma prevede una protezione aggiuntiva per i primati non umani in ragione della loro prossimità genetica con l'essere umano, e della capacità di provare dolore e angoscia, esattamente come noi. Per porre fine alla cattura di animali in natura, anche a scopo di allevamento, la Direttiva aveva previsto di passare all'utilizzo di primati non umani allevati, in ultima analisi, in colonie autosufficienti, da genitori a loro volta allevati in cattività.
Quella dell'allevamento non può essere una soluzione, l'unica è che si passi allo smantellamento del sistema che impiega animali. Come sta accadendo già in alcune parti di del mondo: «I Paesi Bassi hanno investito 124milioni di euro per la realizzazione di un centro eccellenza che si basa solo su metodi sostitutivi». Una scelta che non ha radici sono nelle motivazioni etiche, ma anche sulla salute umana: «Vedendo in quali condizioni si trovano le scimmie che arrivano al nostro Centro di Recupero, mi chiedo quali dati possano fornire animali tenuti in queste condizioni».
Il Centro di Recupero di Semproniano accoglie due colonie di macachi. «Dal 2015 ad oggi abbiamo osservato che i macachi che arrivano da noi hanno alcune caratteristiche comuni: sono tutti senza muscolatura, poiché vivono in gabbie piccole, anche se rispettano gli standard imposti dalla legge. Hanno la pelle molto pallida che si scurisce quando hanno accesso all’esterno, questo perché trascorrono l'esistenza in ambienti privi di luce naturale. Per lo stesso motivo hanno carenze vitaminiche e alcuni sono più piccoli del normale».
Sul piano psicologico ed emotivo le cose non vanno meglio: «Sono spaventati da qualsiasi cosa. Per loro anche il tocco dell’erba è qualcosa di spaventoso, non avendolo mai sperimentato prima. Nelle prime fasi vediamo anche alcuni comportamenti stereotipati che le scimmie sviluppano in laboratorio: camminano facendo sempre lo steso percorso in maniera ripetitiva e senza un fine preciso. Molti arrivano da noi con parti del corpo prive di pelo, uno dei comportamenti stereotipati più gravi è proprio lo strapparsi il pelo, causato dallo stress. Sono comportamenti che vanno a scomparire nel tempo. Ricordo un individuo senza pelo sul collo perché sistematicamente andava a strapparselo e mangiarselo. Dopo il tempo trascorso dai noi il pelo è ricresciuto e le stereotipie sono sparite». Negli anni Albanese grazie all'osservazione dei macachi ha condotto e pubblicato progetti di ricerca che dimostrano proprio che è possibile riabilitare questi animali.
Nel frattempo, però, i macachi di Giava e tutti gli altri animali della sperimentazione continuano a soffrire nei laboratori.