È stato salutato con un evento storico il divieto di allevamento, uccisione e vendita di carne di cane in Sud Corea, dove si stima che siano ancora attivi legalmente tra i mille e i tremila allevamenti di cani destinati all’alimentazione per un totale che va dai 500 mila al 1 milione di animali destinati alla macellazione. Nella Repubblica di Corea, che occupa con i suoi 51 milioni di abitanti la parte sud della penisola coreana (ovviamente non è dato sapere dati riguardo al consumo di carne di cane nell’area nord del paese, nella Repubblica Popolare Democratica di Corea dove vige una dittatura di stampo totalitario) il divieto diventerà effettivo tra sei mesi con un periodo di transizione di tre anni: il business che ruota intorno all’allevamento e al consumo di carne di cane sarà ufficialmente illegale dal 2027, con sanzioni fino a tre anni di reclusione o una multa fino a 30 milioni di won sudcoreani (circa 20 mila euro).
Ma cosa succede nel resto del mondo? Per quanto i cani siano ormai ovunque compagni fedelissimi degli umani e sempre più considerati membri attivi del nucleo familiare ad ogni latitudine, non si può dimenticare che soltanto la cultura ebraica e quella islamica proibiscono di utilizzare la loro carne per usi alimentari. In entrambe le culture, infatti, l’uso della carne di cane come cibo è vietato. In Occidente invece, il rapporto che intercorre tra umani e cani è talmente strutturato e positivo da rendere persino offensiva l’idea di cibarsene. Malgrado questo in alcuni paesi del Nord America e in Europa i cani possono ancora essere mangiati legalmente: in Canada, ad esempio, non esiste un vero e proprio divieto di mangiare carne di cane, così come accade anche in Russia. Nel dicembre 2018 l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha firmato il Farm Bill, il principale strumento di politica agricola e alimentare degli Stati Uniti, che contiene l’esplicito divieto di consumare e commercializzare carne di cane e di gatto. In Italia invece l’onorevole Brambilla ha presentato alla Camera una proposta di legge (AC1720) che contiene lo stesso esplicito divieto. L’Australia ne vieta la vendita e la macellazione, ma non il consumo. Mentre anche in Africa ci sono ancora alcuni paesi dove mangiare carne di cane è consentito, essendo perfettamente legale in Ruanda, Nigeria e Namibia.
L’Asia è certamente il grande serbatoio del consumo di carne di cane e, in parte minore, di gatto. «Sono trenta milioni i cani e dieci milioni i gatti che ogni anno in Asia vengono uccisi per il commercio e il consumo della loro carne, per soddisfare la domanda in Paesi come Cina, Vietnam, Indonesia e Corea del Sud» spiega Martina Pluda direttrice per l’Italia di HSI Humane Society International che nel 2015 ha lanciato il programma “Models for change” che ha permesso di far chiudere 18 allevamenti in Corea del Sud, salvando oltre 2.700 cani, proponendo agli allevatori scelte commerciali alternative ai loro allevamenti.
Di tutti i paesi asiatici quello che più colpisce è sicuramente la Cina, un po’ perché si parla di numeri elevati – almeno dieci milioni di cani e quattro milioni di gatti uccisi e consumati ogni anno – un po’ perché ogni anno il mese di giugno ci costringe a ricordarci di quanto continua ad accadere dal 2010 a Yulin dove, per una banale operazione di marketing commerciale che non ha nulla a che vedere con la tradizione, si rinnova l’appuntamento con il Festival della carne di cane.
Fortunatamente l’edizione 2023 del Festival è stata caratterizzata dalla contemporanea diffusione di un sondaggio voluto da Humane Society International e dalla sua partner cinese, Vshine, e commissionato alla società di sondaggi cinese Suzhou Zhongyan Science and Technology Inc. che ha mostrato che solo una minoranza dei residenti di Yulin (il 19,3%) si oppone a un divieto di questo brutale commercio, mentre il 70% afferma che un divieto non avrebbe alcun impatto significativo sulla propria vita. Moltissimi, cioè l’81%, ha invece dichiarato che non si opporrebbe al divieto di mangiare carne di cane e di gatto, come hanno già fatto, nel 2020, alcune città della Cina continentale, come Shenzhen. Come sottolinea HSI «Nonostante i numeri siano agghiaccianti – sottolinea Martina Pluda – contrariamente a quanto si possa pensare, il consumo di cani e gatti non è molto diffuso in Cina. Infatti, la carne di cane viene consumata solo raramente dal 20 per cento dei cinesi e il 52 per cento è a favore di un divieto di consumo. Questo commercio si concentra principalmente in Cina meridionale, centrale e nord-orientale».
Soltanto nel 2020 le città cinesi di Shenzhen e Zhuhai hanno attuato divieti sul consumo di carne di cane e gatto e il Ministero dell'Agricoltura e degli Affari Rurali cinese ha rilasciato una dichiarazione ufficiale in base alla quale i cani sono animali da compagnia e non "bestiame" destinato al consumo umano. HSI però sottolinea che «Il commercio di carne di cane e gatto in Cina è fortemente alimentato da attività criminali, poiché si tratta per la maggior parte di animali domestici rubati e di randagi catturati dalla strada. Chi compie questi atti viene raramente individuato e perseguito legalmente».
E se la carne di cane è vietata a Hong Kong, a Taiwan, in Thailandia, a Singapore e nelle Filippine e nella provincia di Siem Reap in Cambogia, l ’altro paese asiatico ancora pesantemente collegato al commercio di carne di cane è il Vietnam, dove si calcola che ogni anno vengano trafficati e macellati circa cinque milioni di cani e un milione di gatti. «Mentre la vendita e il consumo di carne di cane non sono illegali nel Paese – spiega la Pluda – la movimentazione trans-provinciale, non tracciata, di cani è vietata dal 2009 e il furto di animali domestici è stato reso un reato nel 2016. Sebbene diverse città, tra cui Hanoi e Hoi An, si siano impegnate per porre fine a questo commercio, le leggi vengono raramente applicate». In Vietnam il consumo di carne di cane è strettamente collegato ad alcune credenze che attribuiscono a questo tipo di carne effetti benefici soprattutto se consumato nei periodi più caldi dell’anno: motivo per cui i picchi di consumo si hanno in corrispondenza dell’estate, soprattutto nell’area nord del paese, nelle province intorno ad Hanoi.
Nel Vietnam centrale, invece, in particolare l’antica città di Hoi An famosa per le sue lanterne, è stata la prima città vietnamita a vietare, nel 2021 la carne di cane e gatto grazie ad un impegno firmato dal sindaco della città, in collaborazione con l’associazione in difesa dei diritti degli animali Four Paws International. «Nonostante non esista alcuna prova scientifica, la credenza popolare attribuisce alla carne di cane proprietà medicinali e di incremento della virilità maschile. Inoltre, in Vietnam la salute e la sicurezza pubblica sono minacciate dalla rabbia che uccide circa settanta persone ogni anno – spiega ka Pluda. – In prevalenza questi casi sono legati a morsi di cane e un numero significativo è direttamente collegato alla macellazione e al consumo di cani. Uno studio del 2016-2017 su campioni prelevati da cani provenienti dai macelli di Hanoi, realizzato in collaborazione con il Centro nazionale di diagnosi veterinaria del Vietnam, ha rivelato che un cane su cento era affetto da rabbia».
Infine, in Indonesia non esiste una legislazione nazionale che limiti commercio e consumo di carne di cane e di gatto, sebbene ogni anno il fenomeno riguarderebbe almeno un milione di cani e un non ben chiaro numero di gatti. Il vero problema dell’Indonesia sembrerebbe però essere quello della rabbia strettamente collegato alla mancanza di regole che riguardino la movimentazione degli animali da un’isola all’altra. «Per rispondere a questa problematica – spiega ancora la Pluda. – il Servizio di sicurezza alimentare, marittima e della pesca di Giacarta ha pubblicato un divieto con l’intento di limitare il traffico di animali che possono trasmettere la rabbia e di prodotti animali non alimentari, per motivi di tutela della salute pubblica. Il provvedimento riguarda la cosiddetta Area speciale della città di Giacarta, l’area metropolitana più popolosa dell’Indonesia, che comprende la capitale, cinque città satellite e tre reggenze complete, tra cui parti delle province occidentali di Giava e Banten. Il commercio di carne di cane è ora vietato in 21 città e reggenze dell’Indonesia: Karanganyar, Sukoharjo, Semarang, Blora, Brebes, Purbalingga, Mojokerto, Temanggung, Jepara e Magelang; Salatiga, Malang, Semarang, Magelang, Blitar, Mojokerto, Medan, Surabaya e da marzo 2023 anche nella capitale Giacarta».
Tornando alla Corea del Sud fa ben sperare un sondaggio diffuso recentemente da Animal Welfare Awareness, Research and Education (Aware), secondo il quale il 94% degli intervistati ha affermato di non aver mangiato carne di cane nell'ultimo anno e il 93% ha assicurato di non volerlo più fare in futuro. Va però ricordato che, differentemente da tutti i paesi dove esiste questo tipo di consumo alimentare, la Corea del Sud è l’unico dove fino ad oggi erano legali gli allevamenti di cane destinati alle tavole, con particolari preferenze per alcune razze. «Oltre ai Jindo – la razza nazionale – e ai mastini tipicamente allevati per la loro carne, molte strutture allevano anche Labrador, Golden retriever, Cocker spaniel, Husky, Beagle e altre razze – spiega ancora la Pluda. – Si stima che si possa trattare di circa un milione e mezzo di cani, tenuti in più di mille allevamenti in tutto il Paese. Confinati in piccole gabbie di filo metallico, con poco cibo e acqua, senza stimoli, comfort, riparo o cure veterinarie adeguate, soffrono immensamente sia fisicamente che psicologicamente. La morte avviene per elettrocuzione».
Ad essere interessati a questo tipo di pasto sono le generazioni più anziane, convinte che mangiare carne di cane durante l’asfissiante caldo estivo porti sollievo. «A ottobre 2019 il sindaco di Seoul ha dichiarato la città “libera dalla macellazione dei cani” mentre nel dicembre del 2021, il Governo sudcoreano ha istituito una task force interministeriale per lavorare a un divieto e nel 2022 la first lady Kim Keon-hee si è espressa pubblicamente a favore di tale intervento legislativo. Si sta dimostrando un metodo efficace quello di sostenere il cambiamento con programmi concreti e interventi diretti, che diano alternative agli allevatori e ne allevino il disagio economico derivante dalla chiusura dell’attività.
Sono diversi i casi, anche grazie al programma “Models for change” lanciato nel 2015 da Humane Society International, di cambi di vita di allevatori che hanno significato la salvezza per centinaia di animali. Come nel caso del contadino sudcoreano Hwan Kim che nel 2020 ha chiesto aiuto a HSI per chiudere dopo 40 anni il suo allevamento di cani da macello ad Haemi, in cui vivevano, in condizioni davvero pietose, 170 tra cuccioli e cani adulti. «Non c’è futuro nella vendita di carne di cane. Il mercato sta già morendo e crollerà definitivamente» fu la motivazione che lo spinse al cambiamento.