Macchinari all’avanguardia per radiografie, ecografie, anestesia e endoscopie. Attrezzature per terapia intensiva e un kit di test rapidi per controllare nei koala la presenza della clamidia. Sono i macchinari del più grande ospedale mobile per la fauna selvatica inaugurato in Australia. L’obiettivo è avere la possibilità di arrivare in tempi rapidi direttamente sui luoghi di disastri ambientali in cui gli animali sono le vittime più numerose e più indifese. E l’Australia, con i suoi quasi 3 miliardi di animali uccisi nella "black Summer" del 2019/2020 è ovviamente particolarmente sensibile a questi argomenti.
«L’idea di un grande ospedale mobile è nata due anni fa – spiega Stephen Van Mil fondatore e CEO del Byron Bay Wildlife Hospital che è stato concepito con l’idea di capovolgere le modalità d’intervento portando i veterinari lì dove ce n’è bisogno – Poi dopo i catastrofici incendi della scorsa estate ci siamo resi conto che si trattava di una necessità davvero impellente. Vedere decine e centinaia di koala feriti accuditi in scatole di cartone o nei cesti della biancheria, in attesa di cure, mi ha fatto capire che dovevamo cambiare tutto».
Un camion con attrezzature d’avanguardia e autosufficiente
L'ospedale mobile è allestito all’interno di un camion di grandi dimensioni, completamente autosufficiente in quanto a energia solare, comunicazioni satellitari, approvvigionamento idrico e stoccaggio dei rifiuti. La sua marcia in più sarà la possibilità di arrivare direttamente sul luogo dove gli animali sono in difficoltà. «Entro pochi minuti il nostro team di veterinari esperti medicherà le ferite e somministrerà antidolorifici e farmaci – spiega Bree Talbot, capo dell’equipe veterinaria della fondazione – questo significa che possiamo iniziare il trattamento prima che si manifestino segni clinici gravi, quali infezioni o disidratazione. Possiamo facilitare la risposta per il trattamento di animali nativi feriti e traumatizzati ed evitare le sofferenze che la nostra preziosa fauna selvatica subisce durante eventi di crisi come gli incendi boschivi».
Regenerate Australia: 300 milioni di dollari raccolti dal WWF
Il progetto è una costola del piano Regenerate Australia del WWF, un programma di ripristino e rigenerazione della fauna selvatica e delle foreste che vuole investire 300 milioni di dollari in 5 anni per ripristinare la natura distrutta dagli spaventosi incendi della fine del 2019 e i primi mesi del 2020. «L’obiettivo è “far rinascere” letteralmente la fauna selvatica e gli habitat, rinverdire e rinvigorire le aree forestali colpite dagli incendi e fermare la distruzione degli ecosistemi – spiega Isabella Pratesi responsabile WWF Italia per la conservazione – anche noi italiani abbiamo contribuito, dimostrando che le foreste, dall’Antartide all’Australia, sono nei nostri cuori perché è aumentata la percezione di quanto siano importanti per le nostre vite». Si può ancora sostenere il progetto grazie alla raccolta fondi attiva sulla pagina dedicata. «Ogni contributo, anche il più piccolo, è un seme importante per il futuro del continente e delle meravigliose specie che lo abitano».
L’Italia e gli incendi. Anche qui serve un ospedale mobile?
Anche l’Italia è un paese a fortissimo rischi incendi e deforestazione. «In Italia però quando si parla di incendi non c’è ancora abbastanza attenzione alla sorte degli animali selvatici che abitano in boschi e foreste. Istrici, rettili, tartarughe, ricci, puzzole, faine: muoiono a migliaia negli incendi, ma hanno un fascino inferiore ai koala australiani e la loro morte colpisce molto meno. Il Gatto selvatico, specie in via d’estinzione, è sicuramente minacciato dagli incendi boschivi». Inoltre l’arrivo dell’estate e un’Italia sempre più protagonista nello scenario dei cambiamenti climatici, fanno pensare alla necessità di organizzarsi anche rispetto alla possibilità di intervenire direttamente su scenari di disastri naturali. «L’Italia non ha le distanze gigantesche dell’Australia e può contare, fortunatamente, su molte e ben attrezzate strutture di accoglienza per animali in difficoltà – aggiunge ancora la Pratesi – probabilmente sarebbero molto utili delle strutture mobili che facciano da raccordo con i centri già attrezzati, in modo da intervenire direttamente e magari trasportare gli animali recuperati in difficoltà presso le strutture che possono accoglierli e curarli e che sono già molto bene attrezzate. Pensiamo ad esempio alle tante tartarughe recuperate in mare che non riescono ad arrivare in tempo nei centri dove potrebbero avere tutte le cure necessarie per la loro guarigione e il ritorno al mare».