È mezzanotte e sull' HMS Beagle tutto l'equipaggio è sveglio tranne una persona. Le assi di legno del brigantino scricchiolano sotto il costante sciabordio dell'acqua che, come una ninna nanna, culla il sonno di un giovane naturalista imbarcato in quella che sarà la più grande avventura della sua vita. I marinai parlottano, ridacchiano, si mettono d'accordo. Poi si avvicinano lentamente all'amaca dove Charles Darwin, un ragazzo di 22 anni neodiplomato all’Università di Cambridge, dorme profondamente: «Darwin! – esclama Bartholomew James Sullivan, svegliando il giovane di soprassalto – Hai mai visto un "grampus"? No? Forse ti posso aiutare allora!»
Sullivan, tenente di vascello socievole e loquace sotto il comando del capitano Robert Fitz Roy, trascina per un braccio il naturalista che in men che non si dica dimentica il sonno e preso dall'entusiasmo inizia già a fantasticare sull'aspetto dell'animale. Siamo nell'800 e le creature che si nascondono sotto le onde sono ancora un mistero che gli scienziati con timore mistico e quasi religioso iniziano per la prima volta a svelare dolcemente.
All'epoca in Gran Bretagna con "grampus" si indica un grande e intelligente cetaceo dal dorso nero e il ventre bianco, probabilmente quella che oggi chiamiamo orca. Charles non ne ha mai vista una da vicino e si precipita sul ponte del brigantino in vestaglia da notte, gli occhi sbarrati e la mascella rilassata in un grande sorriso. Ad attenderlo sotto a un terso cielo stellato, però, non c'è nessun sorprendente avvistamento marino ma l'intero equipaggio che lo accoglie con quello che lui stesso definisce «un gran ruggito di risate». È il 1° aprile 1832, Darwin ha iniziato da poco più di 3 mesi l'epopea scientifica fra le più importanti della storia e ha appena subito uno dei più antichi pesce d'aprile mai documentati.
Il brigantino Beagle, la nave del viaggio di Darwin
Le fragorose risate degli uomini a bordo si spengono a poco a poco e ciò che rimane è il suono del vento e il beccheggiare della nave fra le onde, un piccolo punto di legno in mezzo all'Oceano Atlantico che avrebbe accompagnato quei marinai per ben 5 anni. Una nave all'apparenza mite e senza pretese, ma insospettabilmente tenace. Il Beagle, d'altronde, è un brigantino di classe Cherokee, ovvero un vascello agile con due alberi maestri, di appena 27 metri di lunghezza e 8 di larghezza con un equipaggio formato da ben 74 persone.
Il capitano Fitz Roy aveva preparato quella nave meticolosamente per il viaggio. Aveva rialzato notevolmente il ponte superiore, circa 20 o 30 centimetri di più rispetto alle navi della stessa classe. A quel tempo, infatti, le navi di classe Cherokee avevano la reputazione di "bare galleggianti", poco maneggevoli e facili all'affondamento e queste modifiche dovevano aiutarle a diminuire la raccolta d'acqua ai lati offrendo meno possibilità di appesantirsi e rovesciarsi.
Le migliorie fatte, però, non aiutano il giovane naturalista a combattere l'impietoso mal di mare che lo colpisce fin dal primo momento in cui mette piede sulla barca. Per giorni Darwin mangia solo uva e si vergogna di fronte all’equipaggio per la sua condizione, timoroso che Fitz Roy non lo giudichi all’altezza del viaggio. Cerca in tutti i modi di farsi forza e di non lamentarsi, ma successivamente al padre scriverà: «Quello che ho sofferto è qualcosa che non avrei mai immaginato. Ma la vera disperazione comincia solo quando sei così sfinito che basta un piccolo sforzo perché tu ti senta svenire. Non ho trovato altro sollievo che starmene disteso sulla mia amaca».
La prima tappa del viaggio di Darwin
Passano alcune settimane di navigazione da quel 27 dicembre 1831 in cui il Beagle era salpato dal porto di Plymouth e finalmente il 18 gennaio 1832 la nave giunge all'Isola di Santiago, a Capo Verde. Gli occhi di Darwin si posano per la prima volta su colori sconosciuti: ad alcuni metri dalla battigia di bianca sabbia fine, il blu del mare si mischia a tonalità di verde smeraldo dando vita a una limpida acqua color turchese. Darwin mette piede sulla spiaggia e dimentica subito il mal di mare esplorando con emozione per 12 giorni l'arcipelago, mentre Fitz Roy è occupato a determinare l’esatta posizione delle isole.
Per la prima volta il giovane naturalista calpesta sabbia, pietre e terra di un'isola di formazione vulcanica e un brivido di eccitazione inizia a corrergli lungo la schiena per la possibilità in futuro di poter scrivere un libro di geologia a riguardo. Nelle diverse ricognizioni che effettua raccoglie materiale botanico, zoologico e geologico osservando, registrando e facendo disegnare a un pittore imbarcato con l'equipaggio tutto ciò che ritiene interessante. Il nome dell'artista è Augustus Earle, un uomo dalle capacità poliedriche: interessato alla zoologia, alla botanica e all'antropologia, una figura che in una spedizione scientifica che si rispetti non può mancare.
È proprio durante una di queste sue esplorazioni che Charles si imbatte in diverse specie animali che lo affascinano enormemente, come un polpo che cambia colore che lui stesso successivamente definirà così: «Il vero colore, esaminato molto accuratamente, era grigio, con moltissime macchiettine giallo brillante. Questi mutamenti avvenivano così velocemente che si vedevano passare sul loro corpo di continuo nuvole di una tinta che variava dal rosso al marrone scuro». In una lettera indirizzata a un suo professore a Cambridge, John Stevens Henslow, Darwin spiega di aver trovato una nuova specie di mollusco, una scoperta che purtroppo si rivelò un fallimento: quel polpo era stato già scoperto da un altro collega naturalista, ma lui purtroppo lo scoprirà solo mesi dopo.
L'arrivo di Darwin in America
Il 16 febbraio gli esploratori si fermano per una piccola tappa su una serie di isolotti rocciosi dell’arcipelago di San Pietro e San Paolo e due settimane più tardi attraversano l’equatore per raggiungere finalmente le coste del Brasile. La baia di Botafogo a Rio de Janeiro doveva sembrare un paradiso per Darwin: una striscia di sabbia bianca incontaminata che abbraccia un mare cristallino nel quale si riflette un terzo cielo di primavera. Quel panorama, però, è l'unica cosa che può assaporare per diverse settimane poiché una malattia lo debilita al punto da essere costretto a rimanere a bordo della nave fino ai primi di aprile.
Una volta guarito, però, il giovane Charles non sta più nella pelle. Sale sulla prima scialuppa libera e solca quelle poche decine di metri che lo separano dalla sabbia. La piccola barca arriva quasi sulla battigia, un'ultima remata e poi gli stivali nell'acqua salata: Charles mette piede per la prima volta in America.
Da quel momento inizia ufficialmente la missione del capitano Robert Fitz Roy, il Beagle naviga lungo la costa per verificare meticolosamente le carte nautiche e Darwin si fa lasciare a terra diverse volte nei mesi successivi per intraprendere alcune esplorazioni. Durante la navigazione il naturalista britannico avvista focene, balene, pinguini e foche e riesce a collezionare numerose specie di artropodi.
A fine luglio la spedizione raggiunge il maestoso estuario del Río de la Plata, una rientranza formata dal fiume Uruguay e dal fiume Paraná lunga 290 chilometri. Non tutti i tentativi di attracco vanno a buon fine: una volta l’equipaggio viene preso perfino a colpi di cannone sulla sponda meridionale di Buenos Aires perché gli abitanti del posto sospettano che l'equipaggio porti il colera, un’infezione estremamente temuta che in quegli anni miete centinaia di vittime.
È durante le lunghe ore di traversata che Darwin apprende anche qualche rudimento di tassidermia. Ancora una volta, però, l’inesperienza ha il sopravvento e il buon e Henslow dall’Inghilterra non manca di fargli notare come i campioni inviati in patria avessero le etichette attaccate male, alcuni fossero ammuffiti o schiacciati e così via.
Nel settembre del 1832 Fitz Roy e il suo equipaggio esplorano le coste dell’Argentina ed è qui che Charles fa la conoscenza di uno strano strumento per cacciare: le bolas, dei legacci in cuoio con attaccate all’estremità delle sfere. Proprio in Argentina poi Darwin aggiunge una nuova scoperta alla sua collezione: il suo primo grande fossile di vertebrato, un megaterio.
Siamo giunti al dicembre del 1832. È passato un anno preciso da quando il giovane e incauto naturalista ha abbandonato casa sua in Inghilterra per solcare i mari e ora poggia le sue pupille per la prima volta sulle coste della Terra del Fuoco, lì dove il celebre esploratore James Cook proprio su un brigantino simile al Beagle decenni prima aveva battezzato isole e raccolto campioni di fauna e flora.
L’equipaggio trascorre un Natale piuttosto modesto, come d'altronde lo sono spesso le festività a bordo di una nave in missione. Si trovano vicino a Capo Horn e il clima di festa purtroppo non combacia per niente con il tempo atmosferico. Le onde si increspano sotto il legno impermeabilizzato della nave, i raggi di sole non riescono a penetrare la fitta coltre di nubi calata sui marinai: insomma, la navigazione è impraticabile. Proprio in una di queste tormente una delle scialuppe carica di disegni, reperti e materiali raccolti da Charles nel tempo si schianta fragorosamente su degli scogli, facendo precipitare sul fondo dell’oceano preziosi documenti che non potremo mai leggere.
Il viaggio di Darwin attraverso la Terra del Fuoco
La Terra del Fuoco su quel ragazzo appassionato di natura ha un effetto sconvolgente. Il paesaggio è mozzafiato non solo per la bellezza della vista, ma anche per il freddo intenso che gela i polmoni degli avventurieri ad ogni respiro. «L’azzurro del ghiaccio contrasta con il biancore della neve circondato dal verde scuro delle foreste», racconta sui suoi appunti lo scienziato. L’avventura sta cambiando la mente e lo spirito del giovane. Proprio in uno dei primi tratti di mare gelido solcato il Beagle è costretto a una brusca manovra: un blocco di ghiaccio gigantesco si distacca dalla costa e precipita in acqua provocando un’onda anomala che avrebbe travolto la nave se Darwin non avesse consigliato per tempo di cambiare rotta per evitare il disastro. Quel posto, oggi, si chiama ancora Darwin Sound, ribattezzato così da Fitz Roy in onore dell’eroico salvataggio.
Le condizioni estreme e avverse impediscono il corretto proseguimento della missione e con molta difficoltà i viaggiatori si dirigono a est. È il primo marzo del 1833 quando il gruppo raggiunge le isole Falkland, dove la marina britannica è interessata a stabilire dei punti di approdo sicuri. Quindi nel mentre il piano di Fitz Roy, sebbene con qualche intoppo, prende lentamente forma, il Beagle inizia a preoccupare diversi membri della ciurma: uno scricchiolio di troppo, dell’acqua in eccesso imbarcata, insomma il brigantino non sembra essere messo troppo bene. Per questo motivo il capitano acquista una seconda nave, la Adventure. Le due imbarcazioni fanno ritorno a Montevideo in aprile e qui Darwin inizia la sua prima grande esplorazione interna.
Ad accompagnare l'esploratore è Syms Covington che all’epoca ha solo 15 anni. Uno sguardo sveglio è celato sotto le sopracciglia nere e una massa di folti capelli bruni gli adorna il capo. Darwin ha assolutamente necessità di un aiutante e Syms sembra proprio l’assistente che fa per lui. I due partono per circa sei mesi per poi ricongiungersi con il resto dell’equipaggio solo a settembre.
Un’avventura marinaresca, dunque, si trasforma immediatamente in quello che oggi potremmo definire un “road movie”. Il 29 aprile 1833, Darwin e Covington sbarcano e si stabiliscono a Maldonado, in Uruguay. Dopo un'escursione nell'entroterra durata dodici giorni, passano diverse settimane a preparare le collezioni da spedire in Inghilterra. La presenza del giovane è talmente di aiuto al naturalista che in una lettera indirizzata al padre a datata 22 maggio 1833, Darwin scrive: «Avere un mio servo sarebbe una grande aggiunta al mio conforto, per queste due ragioni; per prima cosa il Capitano ha nominato uno degli uomini della nave come mio assistente personale, ma credo lo abbia fatto solo per prendere un altro marinaio per la sua nave. In secondo luogo quando in mare non mi sento bene non posso chiedere a nessun membro dell’equipaggio di starmi dietro».
Insomma Darwin vuole qualcuno che gli tenga la fronte durante i suoi continui mal di mare, ma la verità dei fatti è ben diversa: Covington si rivelerà molto più di un servo. Apprende rapidamente alcuni rudimenti di tassidermia e preparazione dei reperti biologici, in poche parole diventa l'assistente perfetto che qualsiasi naturalista vorrebbe al suo fianco.
A dicembre del 1833 il Beagle e l’Adventure salpano in direzione sud seguendo la stessa rotta dell’anno precedente e sulla via del ritorno, nella Terra del Fuoco, Darwin incontra finalmente un esemplare di una specie di uccello che cercava da tempo: la Rhea pennata, un animale molto simile a uno struzzo scoperto e descritto per la prima volta da un suo rivale naturalista, Alcide d'Orbigny, ma che per uno strano scherzo del destino oggi è noto come nandù di Darwin.
L'esplorazione delle Ande di Darwin
Il 1834 per Darwin e il resto dell’equipaggio è un anno difficile. Aprile in particolare risulta essere un mese difficile: la chiglia del Beagle si danneggia gravemente e Fiz Roy è costretto ad attraccare alla foce del Río Santa Cruz per ripararla. Passano settimane in cui l’equipaggio non può far altro che esplorare l’entroterra. Servono circa tre mesi affinché le riparazioni siano terminate, ma l’attesa viene ripagata: il brigantino riparte con lo scopo di doppiare Capo Horn. Già altre due volte gli esploratori avevano tentato l’impresa di superare quegli spuntoni di roccia così aspri e quel territorio così impervio, ma tutte le volte cause di forza maggiore hanno impedito la traversata. La terza, però, è la volta buona e nel giugno del 1834 il brigantino raggiunge la costa occidentale del Sudamerica.
L’esploratore ormai ha sulle spalle diversi anni d’esperienza. Ancora non ha il totale controllo del contenuto del suo stomaco durante le impietose mareggiate, ma la mole di dati raccolti, le osservazioni sul campo e i reperti inviati in Inghilterra stanno facendo roteare nel cervello dello scienziato teorie e supposizioni a dir poco rivoluzionarie. Ma non è ancora il momento di rivelare nulla: Darwin deve ancora esplorare Cile e Perù, regioni ricche di arcipelaghi, anfratti naturali e, soprattutto, zone umide tropicali che Charles dice di odiare con tutto se stesso.
Proprio per via dell’impenetrabilità di quelle foreste verdeggianti e il velo di mistero che copre la corteccia di ogni albero e il manto di ogni animale, Darwin decide di farsi accompagnare da coloni locali, indigeni che fin da subito il naturalista tratta con una dignità estranea al suo tempo. Questi disegnano mappe, gli raccontano dei percorsi più sicuri e lo aiutano persino a superare uno dei momenti più bui della sua vita.
È il 23 luglio 1834 e il Beagle getta l'ancora a Valparaíso. Darwin compra alcuni cavalli e assieme ad una guida organizza la prima lunga escursione nelle Ande. Il taccuino del naturalista inizia a riempirsi di nuove informazioni geologiche su alcune conformazioni rocciose che incontra in diverse miniere di rame, ma soprattutto rimane affascinato dalle formazioni vulcaniche della cordigliera. Un terreno dove il nero il marrone si mescolano formando un substrato bruno, denso, compatto, all’apparenza sterile ma che si rivela ben presto estremamente fertile.
Il 27 settembre torna a Valparaíso, ma qui è vittima di un'influenza che lo costringe a letto per circa un mese. Febbre tifoide, diranno alcuni medici e altri scienziati penseranno persino alla malattia di Chagas, una infezione causata da un parassita (Trypanosoma cruzi) trasmesso all'uomo dalla puntura di una cimice particolarmente diffusa in Sud America. Mentre Darwin rischia la vita, il Capitano Fitz Roy viene preso da forti paure e ansie per l’incarico che sta svolgendo e non crede di riuscire a continuare. Che il viaggio del Beagle sia destinato a concludersi proprio ora?
L'arrivo di Darwin nelle Galápagos
No, non ancora: non prima di aver raggiunto una delle tappe simbolo del viaggio di Darwin. Charles riesce a guarire, soprattutto grazie alle costanti cure degli indigeni rimasti al suo fianco durante i lunghi giorni di malattia. Dopo un’altra grande esplorazione delle Ande, infatti, quel brutto 1834 termina e a luglio del 1835 il brigantino salpa nuovamente verso ovest.
Il 15 settembre 1835 gli occhi di Charles si posano su una panorama che ormai ha imparato a conoscere e apprezzare. Isole immerse in un mare cristallino dove la terra bruna mescola i propri colori nella brezza marina e il verde fa capolino fra un’altura e l'altra: Darwin è di fronte all’arcipelago delle Galápagos. I membri della spedizione trascorrono ben cinque settimane esplorando le varie isole. Ogni ramo per Charles ha qualcosa di fondamentale da raccontare e gli uccelli di quelle isole sembrano cantare per lui una melodia nuova: le prime pennellate di una nuova teoria dell'evoluzione iniziano a creare un quadro nella sua testa.
Potremmo dire che questa nuova teoria è il vero tesoro che Darwin scova nell'arcipelago. Secondo una delle sue prime formulazioni, gli individui di una popolazione sono in competizione fra loro per le risorse naturali e in questa lotta per la sopravvivenza l'ambiente opera una selezione, detta "selezione naturale". La selezione naturale non è un entità vera e propria, ma un fenomeno che elimina gli individui più deboli, facendo sopravvivere solo i più adatti, quelli che poi trasmetteranno i loro caratteri ai figli. Nella mente dello scienziato si smuovono proprio questi ingranaggi, ma Darwin non è ancora pronto e una rudimentale teoria dell’evoluzione delle specie dovrà ancora attendere.
In ogni caso le prove di cui ha bisogno per le sue elucubrazioni sono tutte lì, davanti ai suoi occhi. Ad esempio in quei giorni il brigantino raggiunge l’isola di Charles, sotto il controllo dell’Ecuador, dove viene spiegato a Darwin che l'isola è facilmente riconoscibile grazie alla forma del guscio delle testuggini che la abitano. Entra in contatto anche con gli indigeni del posto, una popolazione costituita da duecento o trecento "indios" banditi dall'Ecuador sei anni prima per delitti politici, la cui fonte principale di cibo è rappresentata proprio dalle testuggini giganti.
Proprio riguardo al massacro di questi rettili effettuato dagli indigeni e, sopratutto, dai pirati che di tanto in tanto approdano e razziano l'arcipelago, Darwin scriverà: «Una sola nave ha ucciso duecento testuggini in un giorno, e mi è stato riferito che un’altra ha ucciso e portato 700 durante il suo soggiorno».
Nei giorni seguenti Darwin prende numerosi appunti sull’iguana terrestre delle Galápagos, un rettile endemico di quelle isole, e identifica anche alcune specie di uccelli fino ad allora sconosciute in Europa, quelli che successivamente saranno chiamati "fringuelli di Darwin". Parliamo di 13 specie di animali di piccole dimensioni che colonizzano le isole. Hanno una colorazione poco sgargiante, ma comunque c'è qualcosa di affascinante che attira l'attenzione dell'esploratore: la forma del loro becco.
Darwin comprenderà nel corso degli anni successivi che la dieta di questi uccelli è molto varia e una determinata specializzazione alimentare corrisponde una determinata forma del becco: piccolo e appuntito per gli insettivori, duro e uncinato per i mangiatori di grandi semi e così via. Darwin in quel momento, però, si limita solo ad osservare e annotare minuziosamente quei preziosi appunti, tasselli di un mosaico che ancora è difficile posizionare.
Il ritorno a casa di Darwin e le ultime tappe del viaggio
L’esplorazioni dei mesi successivi permettono agli avventurieri di osservare fenomeni unici. Sulle alture andine, ad esempio, l’esploratore nota dei veri e propri alberi fossilizzati sul passo di Uspallata, in Argentina. Immagina che un tempo dovessero essere stati sommersi dal mare, ma non riesce a capacitarsi di come un evento simile possa essere accaduto. Il 19 gennaio del 1835, invece, assiste all’eruzione del vulcano Osorno, in Cile. Passa poco più di un mese e a nord Darwin è testimone persino di un terremoto con effetti devastanti. Tempo dopo, analizzando l’altezza della terra, il capitano noterà che questa era cambiata confermando l’ipotesi che Charles aveva fatto all’epoca: una teoria dell’abbassamento e del sollevamento del suolo su scala continentale che avrebbe modellato il paesaggio nel corso di lunghe ere geologiche.
Il viaggio del Beagle e del suo equipaggio sta per volgere al termine. Un carico di conoscenze, esperienze e reperti ingombrano il cuore di Darwin e la stiva della nave. Arrivati a Tahiti il 9 novembre Darwin vede per la prima volta una barriera corallina. Gli uccelli marini cantano lontani nel cielo e la risacca accompagna i pensieri dello studioso mentre propone una nuova e brillante soluzione al mistero dell’origine degli atolli oceanici, uno dei principali incarichi per cui era richiesta la sua presenza sulla nave. Secondo tale teoria gli atolli si erano formati in seguito al progressivo sprofondamento di vulcani sott’acqua e alla contemporanea complementare formazione di fasce di coralli poco sotto la superficie.
Le lettere in cui racconta queste idee vengono pubblicate a sua insaputa su alcune riviste scientifiche e così, ancor prima di tornare in Inghilterra, il naturalista viene conosciuto e apprezzato in patria con somma sorpresa della famiglia. Il padre abbandona definitivamente l’idea di far cambiare al figlio idea sulla professione da intraprendere, non sapendo che il futuro di Darwin come naturalista è appena cominciato.
Prima di fare rotta verso casa passa ancora altro tempo, ma il 17 agosto 1836, dopo aver attraversato una tempesta ed aver fatto tappa alle Isole Azzorre per rifornimenti, il Beagle riporta a casa l’equipaggio al porto di Falmouth in Cornovaglia: è il 2 ottobre 1836.