Il biologo marino Daniel Pauly e l’economista della pesca Rashid Sumaila sono due coraggiosi studiosi dell’università della British Columbia (UBC) che, per il loro strenuo lavoro sull’insostenibilità ambientale della pesca in alto mare, hanno ricevuto il Tyler Prize for Environmental Achievement, considerato il “premio Nobel per l’ambiente”.
Pauly e Sumaila sono da molto tempo colleghi all’Institute for the Oceans and Fisheries dell’università canadese e hanno pubblicato numerosi studi sugli effetti per l'ambiente e per l'economia della pesca eccessiva in alto mare, i cui risultati portano tutti alla stessa conclusione: la pratica dovrebbe essere vietata.
È questo, infatti, l’urgente messaggio che i due ricercatori vogliono diffondere: «Il divieto di pesca in alto mare è uno dei modi più efficaci per invertire i danni inflitti all’oceano attraverso decenni di pratica eccessiva e insostenibile, principalmente per mano dei ricchi Paesi occidentali».
E, i modelli utilizzati nei diversi studi portati avanti, dimostrano proprio questo. La pesca eccessiva, infatti, aumenta le emergenze globali come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e l’insicurezza alimentare, in particolare per le comunità già vulnerabili, come le popolazioni indigene e le popolazioni del Sud del mondo.
Daniel Pauly è un biologo marino di origine francese e ha passato gran parte dei suoi 40 anni di ricerca documentando il rapido declino dei pesci marini e d’acqua dolce. È uno degli scienziati nel campo della pesca più citato al mondo. All’Institute for the Oceans and Fisheries della British Columbia è professore e capo progetto del Sea Around Us Project, iniziativa che identifica e qualifica i trend globali della pesca.
Durante la sua brillante carriera ha contribuito a sviluppare due progetti fondamentali: la FishBase, ovvero un’enciclopedia online di informazioni sui pesci e sulla pesca che comprende informazioni su oltre 30mila specie diverse e la ELEFAN (ELectronic Length Frequency ANalysis) che ha permesso di utilizzare specifici dati capaci di stimare la crescita e la mortalità dei pesci.
Rashid Sumaila è invece un economista della pesca e ha concentrato la sua ricerca sulla bioeconomia, ovvero la valutazione dell’ecosistema marino, e sull’analisi di questioni globali come i sussidi alla pesca, le Aree marine protette (AMP), la pesca illegale, i cambiamenti climatici, l’inquinamento marino da plastica e gli sversamenti di petrolio.
Ha lavorato in tutto il mondo, diventando uno degli esperti più citati di economia della pesca, economia delle risorse naturali e politica oceanica. Per i colleghi della UBC Science «il loro lavoro di Pauly e Sumaila ha avuto un impatto immenso sulla nostra comprensione della sostenibilità marina».
La presidente del Tyler Prize for Environmental Achievement, Julia Marton-Lefèvre, si è detta «onorata di conferire questo riconoscimento storico a scienziati che si dedicano alla protezione delle risorse naturali per le generazioni future scoprendo soluzioni praticabili e offrendo ai responsabili politici un percorso realistico verso una gestione sostenibile della pesca oceanica».
L'inaridimento dei mari di questi anni, che ha visto le specie marine pescate in quantità maggiore rispetto alla loro capacità di riprodursi, ha provocato lo sconvolgimento del delicato equilibrio degli ecosistemi marini. Ma purtroppo l’allarme degli scienziati su quella che sarà una vera e propria catastrofe se la sovrapesca non verrà fermata, rimane ancora praticamente inascoltato.
In una ricerca sui dati del pescato pubblicata nel 2006 sulla rivista Science si prevedeva un collasso di tutti gli stock ittici del mondo entro il 2048 se tali ritmi di pesca insostenibile fossero continuati.
Ma nonostante queste tragiche notizie, molti scienziati sono ancora convinti che la maggior parte delle popolazioni di pesci potrebbero riprendersi se si intraprendesse una rigida gestione delle attività di pesca e una corretta applicazione delle leggi che regolamentino le specie consentite, inclusa l’istituzione di limiti di pesca idonei.
Non è chiaro se i Paesi si impegneranno realmente ad ascoltare gli scienziati. Quello che è chiarissimo, invece, agli scienziati è che se così non sarà, le conseguenze saranno peggiori di quelle immaginate.