La stagione degli accoppiamenti del cervo è iniziata da diverse settimane e con esso anche un turismo massiccio per ascoltare il loro bramito e osservarli. In particolar modo negli ultimi anni si è intensificato notevolmente e nel Cansiglio, un bosco situato nell'omonimo altopiano nelle Prealpi Bellunesi, gruppi di turisti approfittano dei pochi controlli per entrare nelle aree protette recintate durante la notte con le jeep.
«È da almeno 15 anni che è così e nonostante i cervi stanno diminuendo di numero, comunque molte persone continuano a venire e farebbero di tutto per avvistarli. Qui alcuni ristoranti hanno perfino chiamato questa stagione "il secondo ferragosto", per via dell'abbondanza di turismo e di entrate, ma il vero problema è che non c'è nessun controllo». Queste le parole che Toio De Savorgnani, ex-dirigente dell'associazione ambientalista Mountain Wilderness e fondatore dell'Ecoistituto del Veneto Alex Langer, ha riferito a Kodami per descrivere la situazione allarmante.
Spesso un turismo senza regole causa danni irreparabili alle popolazioni animali e, a volte, l'estinzione della specie in una determinata area geografica. Questo è quello che rischiano i cervi presenti in una dei boschi più suggestivi e ad alata ricchezza di biodiversità d'Italia: il Bosco del Cansiglio.
La storia del Bosco del Cansiglio
A quasi 2 ore di macchina da Venezia, a cavallo fra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, si estende solennemente l'Altopiano del Cansiglio a un'altitudine compresa tra i 900 m e 1.200 metri sul livello del mare. La fertile terra si eleva rapidamente dalla pianura veneto-friulana, una vera e propria conca coronata da alcune cime rocciose come il Costa, la Cima Valsotta, il Millifret e il Pizzoc. Riuscire a respirare quella fredda aria di montagna è un'esperienza che rinvigorisce lo spirito e il corpo e non sorprende che un ambiente del genere ospiti una quantità di forme di vita strabiliante.
«La Foresta del Cansiglio è una delle più belle faggete d'Italia ed è un luogo pubblico da circa 1000 anni – racconta Toio De Savorgnani a Kodami – Ha un alto valore conservazionistico poiché da secoli è vietata la caccia: già dalla metà del 1400 era il bosco della repubblica di San Marco, poi passò nelle mani di Napoleone che ne confermò il divieto di caccia e in epoca moderna, fino agli anni 70, era salvaguardato dal Corpo Forstale».
L'esperto ci racconta che un altro importante motivo di una così alta ricchezza di biodiversità è il divieto di taglio di molti alberi vetusti. Per secoli gli alberi dei boschi veneti sono stati utilizzati come principale fonte di legname per la creazione di imbarcazioni. Non tagliare questi grandi colossi verdeggianti significa far prosperare una parte della foresta che si lega principalmente ai grandi alberi: insetti saproxilici, ovvero che si nutrono di legno morto, grandi mammiferi come lupi e cervi, e molto altro.
«Sfortunatamente, però, i cacciatori da sempre hanno tentato di mettere le mani sopra questa alta disponibilità di animali – continua De Savorgnani – Questo perché circa 50 anni fa il cervo in tutte le Alpi era raro per via del bracconaggio e della caccia. Uno dei pochi luoghi in cui era possibile trovarlo era proprio qui, nella Foresta del Cansiglio. Inizialmente vi erano solo poche decine di individui, ma nel corso degli anni la popolazione è arrivata anche a 3.000 individui in uno spazio di 7.500 ettari. L'abbondanza di animali ha fatto molto parlare di se in tutta Italia fino a quando, negli anni 90, la Regione ha iniziato a parlare di voler limitare l'espansione dei cervi con un abbattimento massiccio».
Toio De Savorgnani con il suo lavoro nelle associazioni ambientaliste di cui ha fatto parte e ha fondato è riuscito a regalarci un quadro ben preciso della situazione: «All'epoca, circa 15 anni fa, l'Ispra aveva dato il via libera all'abbattimento dei cervi, ma ci fu una sollevazione generale delle associazioni animaliste che con un lavoro collettivo di protesta riuscirono a fermare il più grande abbattimento di cervi in area pubblica che si ricordi negli ultimi anni».
I danni del turismo per ascoltare il bramito dei cervi
Dunque l'azione delle associazioni e lo status particolare dell'area ha permesso a questi grandi ungulati di vivere e riprodursi per moltissimi anni, tanto da diventare un'attrazione turistica autunnale, periodo in cui in tutta la regione è possibile ascoltare il loro caratteristico bramito. La comparsa del cervo, però, ha porta con se anche un altro inquilino del bosco: «Da meno di una decina di anni è arrivato anche il lupo e 4 o 5 anni fa c'è stata la prima cucciolata. Il cibo per loro era parecchio, motivo per cui si sono trovati benissimo e oggi la popolazione è arrivata a circa una decina di individui».
De Savorgnani racconta, poi, un evento importantissimo per l'equilibrio ecosistemico del bosco, reale esempio di come la natura, senza la mano dell'uomo e con i giusti ritmi naturali, riesca a riportare in asse qualsiasi fenomeno di eccesso di popolazione. I lupi, infatti, hanno iniziato a praticare "overkilling", ovvero a uccidere più prede di quelle che necessitavano. Questo comportamento è solitamente applicato per evitare che altri branchi approfittino delle risorse alimentari della zona, una sorta di marcatura territoriale.
Così il numero di cervi è diminuito enormemente, ma ciononostante il turismo legato al loro bramito è rimasto una delle principali fonti di reddito della zona. Mentre il numero di cervi diminuisce a vista d'occhio, quello dei turisti non fa che aumentare. È proprio a questo punto che il fondatore dell'Ecoistituto del Veneto racconta le modalità con cui si verificano alcune gite organizzate estremamente dannose per gli animali:
«Da alcuni anni, vista che c'è sempre più richiesta e che i cervi sono sempre meno, alcune associazioni organizzano tour notturni in jeep e valicano persino le porzioni recintate del bosco per avvistare i cervi. Una volta raggiunti puntano i fari contro gli animali e c'è chi addirittura fa partire una musica di sottofondo per replicare l'atmosfera da documentario da National Geographic. Tutto questo è reso possibile dalla Regione, l'ente che dovrebbe tenere sotto controllo la situazione ma che al momento non fa nulla, mentre i Carabinieri Forestali sono troppo pochi per poter gestire il tutto». Insomma, un grave disturbo per gli animali da parte dei gruppi guidati che, purtroppo, fornisce ai bracconieri la confusione necessaria per poter agire.
Danneggiare in questo modo una comunità animale, per di più in un periodo così delicato, è inconcepibile e lo stesso De Savorgnani conferma che c'è un'unica soluzione: «Un tempo era possibile ascoltare il bramito in alcune conche particolari dove l'eco del loro verso era udibile ovunque si poteva rimanere a debita distanza. Ora non è più possibile. Per questo motivo è necessario aumentare i controlli».