Un gruppo di ricercatori giapponesi è riuscito a dimostrare sperimentalmente la capacità dei gatti di individuare la posizione dei pet mate all'interno di uno spazio familiare. E' la prima volta che nei felini domestici viene provata questa abilità, indice di una cognizione di natura socio-spaziale. Anche se la cosa non sorprende. La sensazione è che negli ultimi anni la ricerca scientifica, con i suoi esperimenti sulla cognizione animale, stia andando a scardinare tanti piccoli luoghi comuni sul comportamento del gatto.
Lo studio pubblicato di recente su PlusOne e firmato da un gruppo di ricercatori giapponesi sembra confermare questo trend.
Lo studio
Gli scienziati, infatti, sono riusciti a dimostrare sperimentalmente – e quindi con tanto di esperimenti e dati – che un gatto è in grado di costruire una mappa mentale dell'ambiente in cui si trova e, all'interno di questa mappa, posizionare correttamente i suoi partner sociali, nello specifico il partner umano, il caregiver di riferimento.
L'ipotesi di partenza
L'ipotesi formulata dagli scienziati era che mettendo il gatto davanti ad una situazione paradossale per la quale il petmate all'improvviso non si trovasse nella posizione che il gatto si era figurato, questi avrebbe mostrato un certo livello di “sorpresa”. A questo scopo, un gruppo di osservatori sono stati istruiti a riconoscere le espressioni di mimiche e comportamentali legati a questa emozione.
La sorpresa espressa sarebbe quindi stata la dimostrazione dell'esistenza della mappa socio-spaziale.
Dov'è il pet mate?
In un ambiente familiare al micio, dunque, gli scienziati hanno creato una situazione sperimentale in grado di simulare una sorta di “teletrasporto” per cui il gatto si sentiva chiamare da una stanza (attraverso la voce pre-registrata del suo petmate) e subito dopo dalla stanza accanto ed è stata messa a confronto con situazioni in cui c'era coerenza tra l'origine del suono e la presunta mappatura del gatto. Nel primo caso, in effetti, i gatti hanno mostrato lo sbigottimento di chi non capiva come fosse possibile che il pet mate si trovasse quasi simultaneamente in posti distanti.
Miagolii e suoni estranei
L'esperimento è stato ripetuto utilizzando anche il suono del miagolio di un gatto familiare e quello della voce di un estraneo dello stesso sesso del pet mate di riferimento. In questi casi, tuttavia, non si è registrato lo stesso livello di sorpresa. I ricercatori hanno spiegato questa differenza con due ipotesi: la prima è che i gatti normalmente non comunicano tra loro attraverso i miagolii e, quindi, questi potrebbero rappresentare stimoli poco pregnanti per loro; l'altra ipotesi è che il portato emozionale del miagolio udito durante la fase di test fosse diverso rispetto alla voce del loro nome da parte del pet mate e che questo possa aver alterato la risposta.
Le radici biologiche della dimostrazione
Per quanto la dimostrazione scientifica di un fatto sia sempre un punto a favore del riconoscimento ufficiale delle abilità cognitive di questi animali, non possiamo dire che questo esperimento ci riveli qualcosa di straordinariamente nuovo sul comportamento del gatto.
Era più che plausibile, infatti, che le capacità socio-spaziali facciano da sempre parte del suo corredo di animale territoriale e di predatore solitario: saper mappare uno spazio in ogni dettaglio architetturale e saper poi figurare come si muovono altri individui – che siano competitori o partner sociali, simili o di altra specie -, è fondamentale per avere un controllo efficace ed efficiente del territorio. Inoltre, sapersi prefigurare la posizione di una preda senza vederla fisicamente (un'abilità nota come permanenza degli oggetti, già rilevata in passato nel gatto) o percependone semplicemente gli stimoli uditivi prodotti dalla sua presenza, è strumento imprescindibile per una caccia d'agguato e di sorpresa, ovvero quella dei gatti. E questi animali si sono evoluti per millenni per fare esattamente questo.
Comunque, non possiamo far altro che accogliere con giubilo qualunque elemento contribuisca a scalfire l'immagine di animale indifferente, scostante e dal comportamento tutto sommato “istintivo” (che per molti significa automatico) che la cultura popolare – ma anche certa parte della scienza – ci ha sempre restituito: i gatti sono animali straordinariamente adattabili, soprattutto sul piano sociale, e solo una cognizione ricca e sfaccettata potrebbe supportare tanta flessibilità.