Dopo un'attesa che è durata anni, finalmente il sogno degli astronomi si è avverato. Il telescopio spaziale James Webb della Nasa, il più potente ad essere mai stato costruito, ha appena osservato la Nebulosa del Granchio, uno dei più famosi e importanti corpi celesti che è possibile trovare all'interno della nostra galassia.
La nebulosa è formata da diversi agglomerati di stelle e da pulviscolo stellare che, per decenni, hanno impedito agli astronomi di osservare ciò che si presentava dietro di loro, quando si utilizzavano telescopi non in grado di indagare il cosmo fuori lo spettro della luce visibile come il famoso telescopio spaziale Hubble.
La nebulosa del Granchio è il frutto di un'enorme esplosione stellare nota come una supernova che è anche una delle più recenti tra quelle avvenute vicino la Terra, essendo deflagrata circa 7.500 anni fa e registrata per le prima volta dagli astronomi attorno all'anno mille, venendo persino scambiata varie volte per un segnale divino in Europa. Posta all'altezza della costellazione del Toro, ha continuato ad attirare l'attenzione degli astrofili e degli scienziati per intere generazioni, finché l'uso del cannocchiale permise per la prima di osservarne la superficie in maniera sempre più dettagliata, a partire dalle prime osservazioni compiute dai discepoli di Galileo.
Oggi gli scienziati della Nasa sono più interessati a carpirne i segreti e a fotografare la sua intera estensione tramite nuove tecnologie che permettono, per esempio, al James Webb Telescope di studiare la nebulosa soprattutto agli infrarossi. Usando infatti la NIRCam (Near-Infrared Camera) e il MIRI (Mid-Infrared Instrument), due strumenti presenti all'interno del telescopio, gli astronomi che ne controllano le lenti sono stati in grado di fotografare per la prima volta nella storia non solo le sue varie diramazioni, ma anche le sue singole emissioni di polvere.
Le immagini pubblicate recentemente permettono tra l'altro di capire quali sono gli eventi nascosti che stanno avvenendo oltre la nube principale, chiariscono i tecnici della Nasa, ed in particolare ci permettono di dare uno sguardo alla radiazione di sincrotrone, ovvero l'emissione di particelle cariche a velocità vicine a quelle della luce, che produce la nube lattiginosa che sembra avvolgere l'intera nebulosa. Tale fenomeno è prodotto dalla pulsar del Granchio, una stella di neutroni in rapida rotazione, il cui forte campo magnetico accelera le particelle presenti nello spazio vuoto e fa sì che emettano radiazioni.
Ma perché si chiama così?
L'origine del nome della Nebulosa del Granchio deriva dalla sua prima illustrazione, che fu effettuata nel 1844 dall'astronomo irlandese William Parsons, noto anche Lord Rosse. All'epoca infatti i telescopi utilizzati dagli astronomi non erano molto potenti e non permettevano di osservare bene i contorni dei corpi celesti. Rosse quindi fu tratto in inganno dalla sua stessa strumentazione che lo spinse a non disegnare adeguatamente i contorni della nebulosa e a riconoscervi in essa un granchio con le chele sollevate. Questo errore indusse ovviamente gli scienziati e lo stesso Rosse a credere che la nebulosa avesse davvero la forma di un animale, per quanto con il senno di poi tale scelta si sarebbe rivelata completamente sbagliata.
Per ragioni storiche e accademiche ovviamente oggi il nome della nebulosa è cambiato, per quanto il suo nome originale è rimasto ancora valido e venga ancor gergalmente utilizzato dagli scienziati nelle loro opere divulgative. Oggi però gli astronomi all'interno dei loro articoli scientifici preferiscono di gran lunga riferirsi ad essa come M1 o a NGC 1952, due nomi che si rifanno ai cataloghi astronomici oggi più utilizzati. Parsons non fu però il primo a sbagliare completamente l'interpretazione della forma della Nebulosa. Prima di lui infatti Charles Messier, uno dei più importati astronomi francesi, fornì sul finire del Settecento una rappresentazione ancora più fantasiosa, che consentì però a tutti gli appassionati di conoscere meglio la sua posizione.