Il vasto e misterioso mondo animale è ricchissimo di una sorprendente varietà di abitudini e comportamenti differenti presenti in ogni singola specie e che stiamo man mano imparando a conoscere grazie alla ricerca. Tra questi rientra il gioco, un comportamento tanto evidente quando si manifesta, quanto difficile da comprendere a livello neurologico. Per questo da sempre desta moltissimo interesse, ma adesso, grazie al lavoro di un team di ricercatori, ne sappiamo qualcosa in più: in un nuovo studio hanno osservato l'attività cerebrale dei ratti mentre giocavano e hanno scoperto quale parte del cervello si attiva durante il gioco. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Neuron.
Studi di questo genere sono essenziali in quanto, attualmente, non si conoscono in maniera approfondita i percorsi neurali che controllano la giocosità degli esseri umani o di altri animali. È ovvio che per riuscire a studiare i meccanismi che si celano dietro al gioco e sperare di ottenere dei risultati veritieri, è bene simulare autenticamente ambienti che favoriscono questa attività. Animali come i ratti sono meno inclini a giocare se sono ansiosi o impauriti, quindi i ricercatori si sono assicurati che fossero a loro agio e poi hanno iniziato a giocare con loro solleticandoli sulla schiena e sulla pancia, un po' come siamo abituati a fare quando giochiamo con un bambino di pochi mesi. Proprio come quando i bambini ridono se divertiti, allo stesso modo i ratti squittiscono con un tono molto acuto e impercettibile dall'essere umano. Con la giusta attrezzatura, però, i ricercatori sono riusciti a individuare questi suoni che hanno permesso loro di assicurarsi che gli animali si stessero divertendo.
Osservando l'attività celebrale dei ratti, i ricercatori hanno trovato forti risposte neurali al solletico e al gioco in generale nella colonna laterale del grigio periacqueduttale, detto anche PAG. Si trova in una zona del cervello chiamata mesencefalo ed è noto per controllare le vocalizzazioni e la risposta di lotta o fuga. Il team ha scoperto che se questa parte del cervello veniva inibita, i ratti smettevano di giocare e non "ridevano" più così tanto frequentemente. D'altra parte, se provavano ansia e paura, smettevano del tutto di ridere e le cellule sensibili al solletico e al gioco nella colonna laterale del PAG diminuivano la loro attività. È evidente, quindi, che questa parte del cervello si accende e si spegne come un interruttore a seconda delle sensazioni che prova il ratto in un certo momento.
Capire quali sono i processi che si celano dietro il gioco è di fondamentale importanza. «Molte persone pensano che il gioco sia infantile o che non sia importante per un animale, ma non è così», afferma Michael Brecht, neuroscienziato della Humboldt-Universität di Berlino. Si tratta, infatti, di un comportamento polifunzionale: permette agli esemplari più giovani di scoprire e misurare l’ambiente in cui vivono e gli individui con cui si confrontano; consente anche di stabilire legami sociali, appianare le tensioni, conoscere un individuo estraneo. Ricopre, quindi, un importante ruolo nello sviluppo fisico e cognitivo e nell’affiliazione del gruppo, permettendo di rimanere in un contesto relativamente sicuro, non caratterizzato dall’aggressività, neanche quando le “mosse” del gioco sono riprese dal contesto di lotta o caccia.
Questa ricerca ha permesso al team da compiere passi da gigante, ma c'è ancora molta strada da fare per comprendere a pieno il ruolo e il funzionamento del gioco in tutte le sue mille sfaccettature. Per questo i ricercatori hanno in programma di studiare i processi che si instaurano durante il gioco in altri animali oltre ai ratti. Qualora dovesse ripresentarsi lo stesso meccanismo di attivazione del PAG in altre specie, allora si potrebbe fare un confronto tra la giocosità di quest'ultime e vedere se vi sono delle differenze. Pensano, inoltre, di vedere se cambia qualcosa nel momento in cui ai ratti viene proposto un nuovo gioco. È innegabile che ci sia ancora molto da scoprire, ma ciò che abbiamo scoperto finora ci ricorda quanto sia straordinaria la natura e quanto sia essenziale proteggerla e preservare la vita di tutte le sue creature che non sono poi così diverse da noi. Con il passare del tempo, abbiamo creato giochi per soddisfare il nostro desiderio di divertimento, quindi perché non dovremmo prendere in considerazione l'idea che gli animali possano provare una simile necessità di giocare?