Se vivete con un cane e siete appassionati di musica, potreste aver incontrato alcune playlist o video musicali creati appositamente per i nostri amici a quattro zampe. Difatti, negli ultimi anni si sta sviluppando rapidamente una vera e propria industria attorno alla cosiddetta "dog music", ovvero musica progettata specificamente per essere ascoltata dai cani.
Ma un cane può davvero apprezzare e riconoscere la musica, trarne beneficio o persino godersi l'esperienza? Un nuovo studio recentemente pubblicato su Animal Cognition ha esplorato la musicalità nei cani, spianando la strada a nuove intriganti prospettive sulle capacità del migliore amico dell'uomo: i cani sono in grado di riconoscere l'altezza relativa delle note, ovvero riescono a riconoscere e distinguere i suoni gravi o acuti, un aspetto cruciale per la musicalità umana e che finora non era mai stato descritto nel cane. Si tratta di una delle capacità che caratterizzano l'intelligenza musicale descritta nelle teorie dello psicologo Howard Gardner.
«Che i cani possano apprezzare certi generi musicali era già noto nella letteratura sulle abilità cognitive dei cani. Musica classica, soft rock o musica ambientale hanno effetti emotivi positivi, e ci sono delle preferenze individuali nei cani, come d'altronde accade anche nella nostra specie – spiega a Kodami Claudia Pinelli dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e prima autrice dello studio – Tuttavia, ciò non implica necessariamente che i cani abbiano il senso della musicalità, cioè la capacità di percepire, apprezzare e comprendere elementi musicali come melodia, ritmo, armonia e altezza relativa delle note».
Questa caratteristica può infatti manifestarsi in diverse modi e gradi anche nella nostra specie e può essere influenzata da numerosi fattori sia individuali che ambientali. «Nel nostro studio ci siamo proprio concentrati su questo aspetto, verificando nello specifico se i cani fossero in grado di riconoscere le altezze relative delle note e le scale musicali. L'altezza di un suono è quella caratteristica che ci permette di distinguerlo come grave o acuto. Più la frequenza è bassa e più il suono sarà grave, come ad esempio un ringhio. Al contrario più la frequenza è elevata e più ci sembrerà acuto, come accade nel guaito», prosegue Pinelli.
L'ispirazione per questo nuovo studio, condotto anche in collaborazione con Cristina Giacoma dell'Università di Torino che studia bioacustica nei primati, deriva dalle precedenti ricerche sulle abilità cognitive dei cani condotte dal Laboratorio di Etologia Canina del Dipartimento di Biologia dell'Università di Napoli Federico II, che si occupa da molto tempo di studiare le forme di comunicazione umano-animale e gli effetti della selezione artificiale e del processo di domesticazione sulle abilità comunicative.
«I nostri studi hanno dimostrato che i cani si relazionano molto bene ai gesti anche quando la comunicazione gestuale è proposta da un estraneo, mentre presentano maggiori difficoltà nella comunicazione verbale con estranei – aggiunge Claudia Pinelli – Il nostro obiettivo in questo studio sulla musicalità si inserisce nella linea di ricerca sulle capacità di discriminazione uditiva dei cani e sulla loro musicalità, esplorando un campo di studio praticamente mai indagato attraverso protocolli innovativi».
In questo nuovo esperimento, i cani sono stati quindi addestrati ad associare due diverse ciotole (posizionate a destra o sinistra del conduttore) con una specifica sequenza di quattro note suonate in una scala ascendente o discendente. «I suoni erano puri, cioè non derivavano da alcun strumento musicale, ma erano generati digitalmente. Dopo diversi anni di sperimentazione con vari protocolli e testando numerosi cani, abbiamo identificato il protocollo più adatto, per il quale abbiamo reclutato un totale di 16 cani di razze diverse, di varie età e sesso, tutti con almeno un addestramento di base. I cani hanno ricevuto un addestramento dai rispettivi umani di riferimento nell'ambiente familiare delle loro abitazioni», spiega ancora Pinelli.
E come se la sono cavata i cani che hanno partecipato all'esperimento? «Mentre la maggior parte ha mostrato una dipendenza dai segnali visivi involontariamente forniti, dei 16 cani solo due cani hanno imparato ad andare nel lato giusto riferendosi alle sequenze di note e sono passati al test vero e proprio in cui le sequenze erano trasposte per valutare la capacità dei cani di comprendere il rapporto tra le note e utilizzare l’altezza relativa delle note quando identificano i cambiamenti nelle sequenze», spiega invece Biagio D'Aniello, professore di zoologia dell'Università degli Studi Federico II di Napoli e coordinatore dello studio.
«Entrambi i cani hanno dimostrato la capacità di riconoscere l'altezza relativa delle note, rispondendo in maniera corretta alle sequenze trasposte. Il nostro studio, quindi, fornisce prove convincenti di variazioni individuali nelle capacità dei cani di percepire l'altezza relativa delle note, un aspetto cruciale della musicalità umana, che non era mai stato descritto precedentemente nei cani», sottolinea D'Aniello.
L'utilizzo della musicoterapia come arricchimento ambientale per i cani è effettivamente un fenomeno in crescita negli decenni, sia tra le mura domestiche che all'interno dei rifugi e dei canili. Si tratta però di un campo ancora in parte inesplorato e che grazie a questo nuovo studio potrà essere ampliato e sviluppato ulteriormente. «Il dato interessante è che anche in un campo in cui i cani non sono generalmente considerati esperti, come la produzione della musica, scopriamo che alcuni di essi la capiscono e, questo è qualcosa di stupefacente – aggiunge Biagio D'Aniello – Sarebbe interessante approfondire ulteriormente le cause delle variazioni individuali nelle capacità dei cani rispetto alla musicalità, così come esaminare come le esperienze di vita e l'ambiente influenzino tali abilità. Inoltre, potrebbero essere condotti studi per determinare se le razze canine mostrano una diversa predisposizione alla musicalità rispetto ad altre».
Nuovi e intriganti interrogativi apriranno inevitabilmente anche nuove prospettive, linee di ricerche e persino ulteriori campi applicativi. Per esempio, la musicalità nei cani è una capacità innata o appresa? Qual è il significato di questo fenomeno da un punto di vista evolutivo? «Non lo sappiamo, come non sappiamo tantissime altre cose della loro cognizione. Una volta risposto a queste domande, potremmo forse spingerci a considerare possibili applicazioni pratiche», sottolinea ancora Biagio D'Aniello.
Più proseguono gli studi sulla cognizione e le capacità cognitive degli altri animali, più si assottigliano le distanze tra noi e le altre specie, spesso in modi completamente inaspettati e sorprendenti. «Quando ho iniziato i miei studi sulle abilità cognitive dei cani qualche decennio fa, cercavo più le differenze che le similarità con la nostra specie. Tuttavia, ogni volta che ottenevo dei risultati, trovavo più similarità che differenze – conclude D'Aniello – Ora, anche in un campo in cui i cani dovrebbero essere del tutto incapaci perché non producono musica e non la usano come forma di comunicazione (come fanno ad esempio gli uccelli), più procedo con i miei studi e più mi rendo conto che i cani sono più simili a noi di quanto avessi potuto immaginare per quanto attiene le loro abilità cognitive. Forse questa è una delle ragioni per cui condividiamo ambienti, cose ed emozioni da circa 30.000 anni».