Uno dei grandi classici dell'animazione su grande schermo, "il Re leone", ha attraversato le generazioni e stasera sarà trasmesso su Rai 1 sotto una nuova veste. Infatti, la pellicola che verrà mandata in onda è il remake live-action del 2019 diretto da Jon Favreau e prodotto dalla Walt Disney Pictures che mostra i protagonisti animali che abbiamo imparato a conoscere e amare nella versione originale del 1994 rivisitati con un magistrale lavoro di computer grafica. La storia di Simba, Timon e Pumba ha donato ai più piccoli i primi rudimenti di ecologia, ma sfortunatamente contribuisce anche a sottolineare diverse contraddizioni e stereotipi del mondo animale che ancora oggi è difficile estirpare dall'immaginario collettivo.
Lo vediamo fin dalle prime immagini del film. Un piccolo leone viene sollevato in alto di un anziano mandrillo e tutto il regno animale si inchina: è nato il nuovo principe, un leoncino simbolo di regalità e coraggio che, però, si discosta parecchio da ciò che realmente è un leone in natura. Minuto dopo minuto ci appassioniamo sempre di più alla trama, che è notoriamente ispirata all'Amleto di Shakespeare, ma ecco che subito notiamo una nuova incongruenza: le iene vengono rappresentate come malevoli tirapiedi di Scar, il "villain" principale della storia, codarde e senza cervello, una descrizione che senza dubbio non le rappresenta realmente.
Prima di sederci sul divano e goderci il film, dunque, può essere interessante dare un'occhiata approfondita a quali sono gli stereotipi che ci propone, chiarendo una volta per tutte come questi animali dovrebbero comportarsi in natura e quali, invece, sono caratteristiche attribuite loro senza motivo.
Gli stereotipi del re leone
Iniziamo subito dicendo che è naturale in una storia che rappresenta animali parlanti abbia una certa dose di antropomorfizzazione dei personaggi. Cerchiamo di effettuare un'analisi, dunque, che vada oltre alcuni aspetti che necessariamente devono essere ignorati come, ad esempio, gli arti superiori che gesticolano, alcuni personaggi che si mettono su due zampe o cose simili. C'è da dire che questo aspetto nel remake digitale è stato più o meno corretto, gli animali sembrano comportarsi più come tali, anche se i sentimenti e la loro espressione risulta ancora piuttosto umana.
Partiamo con uno dei protagonisti: Timon, il suricato che si accompagna sempre Pumba, il facocero. È un peccato smantellare l'amicizia fra i due animali, ma senza dubbio questa è una delle antropomorfizzazioni più grandi dell'opera. I suricati hanno un corpo lungo e snello, con arti altrettanto lunghi e sottili e una coda affusolata, un'anatomia perfetta per uno dei passatempi principali di questi animali: nascondersi.
Nonostante in uno dei diversi sequel venga effettivamente spiegato che Timon non sia molto bravo a nascondersi e per questo motivo non si trova più nella sua colonia d'origine, comunque immaginare questo animale lontano dal proprio gruppo sociale è impossibile. Questi mammiferi, infatti, sono una specie gregaria, con una sofisticata organizzazione sociale che può coinvolgere anche più gruppi differenti. Questi ultimi contengono solitamente dieci individui e sono formati da 1-3 femmine in calore, fino a quattro maschi adulti, diversi piccoli e una dozzina di giovani adulti. Il loro comportamento gregario è talmente tanto sviluppato da presentare perfino una distribuzione dei ruoli. La vedetta, infatti, è uno dei membri più importanti del gruppo, responsabile dell'avvistamento e la segnalazione di eventuali pericoli a tutta la colonia.
Come anticipato in precedenza anche le iene vengono rappresentate in modo estremamente immeritevole. La loro brutta nomea deriva principalmente da due aspetti: la forte aggressività e la dieta che secondo alcune dicerie si dovrebbe basare principalmente sul consumo di carogne, ma che in realtà è solo un mito per alcune specie. Le iene maculate, infatti, possono uccidere fino al 95% delle prede di cui si nutrono, mentre sono solo le iene striate ad essere per lo più spazzine.
Inoltre, le iene non sono affatto codarde: riescono ad allontanare anche predatori più grandi di loro come proprio gli stessi leoni e fra le due specie, dunque, non c'è alcuna relazione di subordinazione. Altro che simbolo di coraggio e regalità, dunque, il leone compete con questi carnivori allo stesso livello e se si vede soverchiato dal grande numero cede l'ambita preda e torna sui suoi passi con la coda fra le gambe.
Come il Re Leone racconta alcuni aspetti del mondo dei leoni
A questi stereotipi, però, si affiancano anche alcune rappresentazioni che, in un modo o nell'altro, mantengono fede alla realtà. Il giovane Simba, ad esempio, nonostante sia troppo piccolo in effetti per potersi allontanare dal suo branco e dovrebbe rimanere ancora diverso tempo vicino alla madre prima di essere svezzato, a suo modo racconta una verità del mondo dei leoni.
I giovani maschi infatti, una volta allontanati dal vecchio branco, restano insieme formando un piccolo branco di soli maschi o fanno squadra con altri nomadi non imparentati con loro. In questo senso Simba forma una sorta di strano branco con Timon e Pumba, uno trio che in effetti ha, come nella vita vera, lo scopo di formare una propria famiglia scacciando un altro maschio alfa (Scar) e prendendo così il controllo del suo branco.
Un altra caratteristica rappresentata metaforicamente nel film è il fatto di essere un cosiddetto predatore alfa. Il felide infatti si colloca all'apice della rete alimentare poiché non ha predatori in natura e può potenzialmente cibarsi di qualsiasi specie. Ecco dunque che immediatamente il leone viene subito rappresentato come il re della foresta, una visione sicuramente troppo antropomorfizzante che però rispetta senza dubbio l'idea.
Guardare il Re Leone con gli "occhi di uno zoologo", dunque, benché possa sembrare a un primo impatto poco romantico, ci permette di rivisitare ed esaminare nuovamente capolavori che, a guardarli bene, nascondono ancora oggi messaggi e strati narrativi nascosti. Non dobbiamo avere paura di osservare queste opere animate con uno sguardo "più scientifico", dunque, perché potrebbero rivelarci nuovi spunti di riflessione che fino ad oggi sono rimasti inesplorati.