Un po’ per la pandemia di Covid, un po’ per le polemiche che hanno investito la cerimonia negli ultimi anni, i Golden Globe di quest’anno sono andati in scena in sordina, senza dirette, red carpet né eccessiva copertura mediatica. I vincitori (e i vinti) sono però stati comunicati praticamente in contemporanea con l’annunciazione, con la pubblicazione dei nomi sul sito ufficiale, e ci è voluto poco per scoprire che a vincere come miglior film drammatico è stato “Il potere del cane”, il western diretto da Jane Campion con protagonisti Benedict Cumberbatch e Kirsten Dunst.
Il romanzo di Thomas Savage
Il film è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 1967 di Thomas Savage, ed è ambientato a inizio Novecento: Cumberbatch interpreta Phil Burbank, allevatore e proprietario di un ranch, mentre Dunst dà il volto a Rose, nuova moglie di suo fratello, che si trasferisce al ranch con il figlio Peter, giovane e sensibile. Tra i tre nasce un rapporto contraddistinto da antipatia e quello che diventa vero e proprio odio, e il film si concentra proprio sull’evoluzione di questo rapporto. Sullo sfondo il Montana del 1925, le sconfinate pianure in cui pascolano mandrie di bovini, la natura selvaggia che ha potere di vita e di morte su cui la abita e la colonizza.
Il libro è considerato un capolavoro della narrativa americana del genere, e per anni Hollywood lo ha osservato tentando di portare sul grande schermo, sino a quando Campion (che ha vinto anche il Golden Globe per la migliore regia) non ha trovato il coraggio di farlo per Netflix, con ovvi risultati alla luce del suo talento, della storia alla base e degli attori ingaggiati. Ciò che non è ovvio a tutti, però, è il significato dietro il titolo del libro e del film.
Il versetto dei Salmi
Il titolo del film – e del libro – è tratto dai Salmi, nello specifico dal versetto 22:20, che racconta la sofferenza di Gesù sulla croce. In italiano recita: "Libera la mia vita dalla spada, e salva l'unica vita mia dall'assalto del cane", in riferimento al “branco di cani” che insidia Gesù. In inglese il versetto viene universalmente riportato in questo modo: "Deliver me from the sword, my precious life from the power of the dogs", che tradotto in modo letterale in italiano diventa "Liberami dalla spada, la mia preziosa vita dal potere dei cani". Da qui, dunque, il titolo del romanzo di Savage e del film, "Il potere del cane".
«Così come si presenta il titolo, è una specie di avvertimento – ha spiegato la stessa Campion a IndieWire – Il potere del cane sono tutti quegli impulsi profondi e incontrollabili che possono salire in superficie e distruggerci». E il riferimento specifico – senza entrare troppo nel dettaglio, per evitare spoiler – è la lotta interiore che attanaglia anche il protagonista Phil Burbank: «Persino Donald Trump ha problemi a mantenere la sua potente facciata maschile – ha spiegato ancora Campion a IndieWire – Quando le cose non gli sono andate bene è crollato. Non riusciva nemmeno a pronunciare le parole "Ho perso". Ha creato questa enorme finzione. Anche pronunciare la parola "fallimento" non è un'opzione per uno come lui, per questo tipo di uomini».
Nessun riferimento dunque al cane in quanto tale, ma un’allegoria per descrivere quegli impulsi che si agitano sotto la superficie. La natura e gli animali, però, giocano un ruolo fondamentale nel racconto: Cumberbatch è un ranchero, e per calarsi nel personaggio si è addestrato nei luoghi più remoti e selvaggi del Montana, imparando tutto ciò che c’è da sapere su mandrie e bovini, sul lavoro e su un intero stile di vita. Per farlo è arrivato anche a castrare un toro, oltre naturalmente a cavalcare, abilità condivisa con tutti gli altri protagonisti del film.