L’adozione di un cane di canile è uno degli eventi più belli che possano avvenire nella vita di una persona. In primis, arricchire la propria quotidianità con la compagnia di un vero amico ha un valore inestimabile. Inoltre, dare una seconda possibilità ad un essere che alla fine dei conti non è stato poi così fortunato è il valore aggiunto di questa decisione.
Un’adozione è considerata “di qualità” quando, dal lato dell’adottante, vi è informazione e consapevolezza e se, dal lato del rifugio, vi sono una buona gestione e un buon accompagnamento all’adozione. È ormai da abbandonare totalmente la visione per cui l’adozione può essere basata su criteri meramente estetici o di utilità.
Come procedere all'adozione e all'affidamento
Questa è la definizione che più mi piace per inquadrare l’adozione: l’adozione è un processo, non un evento. Tale processo inizia molto gradualmente e dovrebbe terminare con l’adattamento dell’animale nella nuova casa, e non il giorno in cui abbandona il canile. Molto spesso però la corretta metodologia per garantire adozioni di qualità viene trascurata e la sua importanza sottostimata. Nonostante negli ultimi anni stiamo assistendo a una crescente attenzione da parte di sempre più rifugi nella corretta gestione delle adozioni, molte strutture purtroppo non lavorano in questa maniera.
Il processo di adozione si divide quindi in tre fasi. La fase pre-adozione, la fase dell’adozione propriamente detta e la fase post-adozione. Tutte le tre fasi devono essere gestite da personale qualificato, come educatori, istruttori o veterinari, e attraverso la collaborazione tra questi. Molte persone purtroppo percepiscono questo processo come una trafila lunga e inutile. È invece ampiamente dimostrato che questa metodologia è alla base di un’adozione duratura nel tempo e che apporti qualità nella vita delle persone e del cane.
La fase pre-adozione
L’adozione deve essere anticipata da un processo di informazione e consapevolezza da parte dell’adottante, unici strumenti per arrivare ad una decisione finale ben ponderata. Solo se questo processo è completo, possiamo quindi parlare di adozione consapevole. Una serie di considerazioni devono quindi essere fatte prima della decisione. È il momento giusto per tutta la famiglia? Ci sono le condizioni adeguate? Siamo pronti ad affrontarne i costi? Siamo disposti a cambiare la nostra vita? Sì: perché un cambiamento è inevitabile.
La fase pre-adozione nel rifugio consiste invece nella valutazione individuale dei cani con lo scopo di delinearne le caratteristiche di temperamento e personalità. Nel caso di individui problematici, o che non siano ancora pronti per l’adozione, questa metodologia permette di fare una stima del lavoro di recupero comportamentale per preparare il cane all’adozione.
Queste due parti della fase pre-adozione sono quindi indipendenti tra di loro ma assolutamente necessarie e il rifugio sarà quindi il luogo d’incontro tra le due parti una volta che il potenziale adottante abbia maturato la sua decisione.
Il personale ha quindi il ruolo di conoscere ed inquadrare le principali caratteristiche dell’adottante o della famiglia. Questa parte avviene di solito tramite delle interviste strutturate, o tramite questionari. Tali strumenti sono indispensabili a chi lavora nel rifugio per ricevere alcune informazioni chiave utili a favorire l’adozione di qualità. L’obiettivo finale di tale indagine è “abbinare” il cane giusto alla giusta famiglia. Un esempio piuttosto esplicativo può essere lo stile di vita della persona o della famiglia. Una persona particolarmente dinamica, o che abbia uno stile di vita molto attivo, con lunghe passeggiate in montagna e jogging mattutino, e che vorrebbe inoltre condividere con il proprio compagno, avrà bisogno di un cane che possa reggere il ritmo a livello fisico, ma che abbia anche piacere, o necessità, di svolgere tali attività e tanto esercizio. Al contrario, una famiglia o una persona cosiddetta “pantofolaia”, non potrà adottare un cane particolarmente energico e attivo. Ne andrebbe del benessere psicofisico di entrambi.
Il personale del rifugio, una volta individuate quindi la composizione e le caratteristiche generali della famiglia o della persona, del luogo di vita, e considerate anche le aspettative verso l’adozione, potrà quindi scegliere il più adatto tra i cani del rifugio. Spesso ci possono effettivamente essere più candidati ma gli operatori organizzeranno gli incontri tra cane e potenziale adottante e quest'ultimo prende l’impegno di andare diverse volte in canile per fare delle passeggiate e approfondire la conoscenza con l’essere che a breve entrerà nella sua vita, per non uscirne mai più.
L’adozione propriamente detta e l’affidamento
Una volta creata questa nuova coppia, la fase seguente è l’adozione propriamente detta. In questa fase, il personale del rifugio fornisce all’adottante tutta una serie di informazioni sulla convivenza responsabile. Tra questi rientrano tutti i consigli legati all’arrivo del cane in casa, gli aspetti sanitari ma anche obblighi e responsabilità e si delinea così chiaramente l’importanza e il ruolo sociale che i canili ricoprono in questo senso. L’adozione è a tutti gli effetti un contratto che vincola il passaggio di proprietà dell’animale. Chi adotta, prende in carico l’animale e ne diventa pienamente responsabile per sempre.
I cani di canile, prima dell’adozione, devono essere visitati dal veterinario del rifugio, sterilizzati, vaccinati e sottoposti a profilassi per parassiti interni ed esterni. Per obbligo di legge devono inoltre essere identificati con microchip e registrati in anagrafe canina. All’adottante viene quindi consegnato il documento che certifica il passaggio di proprietà e il libretto sanitario dell’animale.
Quando un potenziale adottante si orienta però su un cane entrato in canile da meno di 60 giorni, non si può ancora parlare di adozione, ma piuttosto di affidamento. Una persona affidataria è quindi a conoscenza che, entro quel periodo, il cane può essere restituito al legittimo proprietario in qualunque momento venisse reclamato. L’adozione è disposta in forma definitiva qualora nessun proprietario reclami l’animale entro questo periodo di tempo.
Questo punto, a mio avviso, dovrebbe suscitare una riflessione. Nell’articolo sistema canili (Il sistema canili in Italia, la storia di un Paese e dei suoi randagi) abbiamo già riflettuto sulla criticità e criticabilità di tale decisione normativa. Voi cosa ne pensate? Possono essere ancora giustificabili dei tempi così lunghi per cani che già hanno subito dei grandi stress?
Inoltre, nonostante l’obbligo normativo preveda che i cani che vivono in canile e i cani adottati debbano essere sterilizzati, questo non è applicabile ai cani che non abbiano superato i 60 giorni dalla cattura. In questo caso, quindi, è fatto obbligo agli affidatari di sterilizzare i cani presso gli ambulatori dei servizi veterinari della ASL o strutture convenzionate allo scadere di questo termine temporale. Da un lato, tale disposizione può, in determinate circostanze, mettere in crisi la gestione dei cani in canile, pensiamo ai calori ad esempio. Dato ancor più grave è che un certo numero affidatari possano eludere la vigilanza sull’avvenuta sterilizzazione, gettando le basi quindi per la inottemperanza alla normativa.
La fase post-adozione
In termini tecnici, anche se può sembrare un ossimoro, l’adozione non termina il giorno dell’adozione. Il rifugio, anche tramite una rete di volontari, deve poter garantire un supporto post-adozione. Interventi specializzati di prevenzione svolti da educatori, istruttori o veterinari esperti in comportamento devono poter essere assicurati. Essi sono utili per rinfrescare un po’ la memoria agli adottanti sui principi base della comunicazione con il cane e della convivenza responsabile e per poter identificare piccoli segni anticipatori di problemi, che a volte possono non essere percepiti dalle persone direttamente interessate.
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